Come imitare gli eroi della Bibbia

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Negli ultimi anni, i credenti hanno avuto problemi con il concetto di imitazione. Per i liberali statunitensi, Gesù è stato ampiamente ridotto al buon esempio di servitore, cioè il tipo di ragazzo il cui amore e la cui disponibilità dovrebbero essere imitati. I conservatori invece hanno reagito in modo totalmente diverso, evitando o addirittura condannando l’imitazione.

Per tutti gli altri nel mezzo, invece, la dieta di Daniele è un modello, Gesù è un capo esemplare e i sermoni moralistici e poco vangelocentrici basati sul “sii come” a volte abbattono senza pietà le anime dei santi.

Chiunque sia cresciuto con questi insegnamenti, ha storie che illustrano la confusione. Ricordo di aver camminato sette volte intorno a una proprietà della chiesa nel tentativo di pregare per risolvere un problema di drenaggio. I leader della nostra chiesa sono stati ispirati dal libro di Giosuè ed Ebrei 11:30. Stavamo tentando di imitare le azioni dei personaggi biblici nella speranza che avremmo ottenuto lo stesso successo.

Per coloro che sono confusi o preoccupati per le imitazioni, i tre capitoli finali di Ebrei (Ebrei 11-13) fungono da breve manuale per l’esercizio della fede, l’obbedienza e l’imitazione di Gesù e dei santi. Esaminiamo adesso due importanti caratteristiche di questi tre capitoli che ci aiutano ad evitare errori e a mettere in pratica l’imitazione.

1. Definizione biblica di imitazione

Questa sezione di Ebrei ci aiuta a definire l’imitazione. La confusione aumenta quando la definiamo in modo troppo netto. Per quelli che vivono nell’era dei cloni o delle fotocopiatrici, questo concetto può essere difficile da comprendere, ma l’esatta duplicazione è difficilmente l’obiettivo dell’imitazione biblica. E’ qui che ci si sbaglia. Quando Paolo dice ai Corinzi “siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo” (1 Corinzi 11:1), non stava dicendo loro di prendere esattamente 12 discepoli o di parlare in aramaico (o camminare intorno alla chiesa per sette volte), ma li stava chiamando a vivere una vita basata sul sacrificio della Croce.

Questo è esattamente ciò che troviamo quando esaminiamo Ebrei 11 nel suo contesto letterario. L'autore non si aspetta necessariamente che i suoi lettori siano crocifissi come Gesù, né li invita a conquistare Canaan o vincere guerre. Vuole piuttosto che i suoi lettori si preparino a fare il bene e soffrire (Ebrei 12: 4; 13: 1–25). 

C’è una grande enfasi su cosa hanno perso questi personaggi a causa della loro fede ed obbedienza. Se da un lato ci sono successi notevoli, le perdite che si sono accumulate nei secoli sono molte: vita, famiglia, terra, beni familiari, eredità, salute, prosperità, importanza sociale e reputazione. I santi dell’Antico Testamento hanno negato se stessi e hanno portato le loro croci come ci è stato chiesto di fare in Marco 8:34, e perciò sono degni di contemplazione e imitazione.

Come Ebrei 13:7 suggerisce, l’imitazione della fede dovrebbe essere precisa. Ma quando si tratta del comportamento, Gesù e i santi diventano più imitabili quando ci impegniamo nella riflessione creativa dei loro modelli di vita. In nessuna epoca i santi sono impegnati in una "duplicazione precisa" della crocifissione di Gesù. Ma in entrambe le epoche, uno modello conforme alla croce contrassegna le vite dei santi.

2. Fede come motivatore per l’imitazione

Con la ripetizione “per fede”, l'autore di Ebrei ci mostra nel capitolo 11 il contesto teologico necessario per la nostra imitazione (si veda anche Ebrei 13:7). Charles Drew osserva che la “conoscenza limitata” degli antichi “non ha impedito loro di guardare allo stesso Salvatore di cui ci fidiamo”. Questo è vero anche se abbiamo una rivelazione più piena su questo lato della croce e risurrezione. La fede che ottiene le cose sperate e promesse da Dio (Ebrei 11:1), cioè credere che Dio esiste e ricompensa coloro che lo cercano (Ebrei 11:6), è il punto d’accesso e il contesto continuo per una vita fedele in ogni generazione.

L’Antico Testamento ci ha insegnato che le opere non valgono nulla senza la fede, anche se ci stiamo sforzando di copiare Gesù. Ecco perché la forma d’imitazione moralistica fallisce. L’altra parte della medaglia è ugualmente importante. Ebrei armonizza ripetutamente fede ed obbedienza (e incredulità e disobbedienza) in modi che mostrano come la fede e le opere vadano a braccetto (Ebrei 3:18-19; 4:2,6; 5:9-10; 10:23-39). I personaggi di Ebrei 11 sono i nostri antenati sia nella fede sia nelle buone opere. E sono i nostri antenati nelle buone opere perché sono i nostri antenati nella vera fede.

Per Ebrei come per Giacomo e il resto del Nuovo Testamento, la vera fede non è mai inerte, ma sempre all’opera. Come Lutero notoriamente scrisse nella sua prefazione di Romani, la fede “è una cosa viva, impegnata, attiva e potente… Non si chiede se è necessario fare buone opere, ma prima che la domanda venga posta, le ha già fatte e le fa costantemente”. Sia che il compito fosse quello di costruire un'arca, offrire un figlio, nascondere spie o conquistare Canaan, le buone opere provenivano “per fede” in Ebrei 11.

La lista dei santi ci mostra come, nelle parole di Lutero, “la fede è una fiducia viva e audace nella grazia di Dio, così sicura e certa che il credente affiderebbe ad essa la sua vita mille volte”. Nella storia d'Israele, uomini e donne di fede hanno avuto l’audacia di affidare le loro vite credendo nelle promesse di Dio. Come risultato, hanno ottenuto le promesse. Hanno abbandonato gli idoli. Sono morti o hanno rischiato la morte, scegliendo la fedeltà al Dio d’Israele invece che alle divinità delle nazioni. Non vedevano l'ora di avere un'eredità migliore di quella che potevano ottenere in una vita terrena.

Inoltre, Gesù è “il modello perfetto della loro fede imperfetta”. La sua fiducia nel Padre ci mostra che tipo di figli, pieni di fede, dovremmo essere di fronte alla sofferenza (Ebrei 12:1–11). Anche noi siamo chiamati a mettere in gioco la nostra vita sulla bontà di Dio e affidarci pienamente alla sua capacità di mantenere le sue promesse, proprio come fecero Gesù e i santi dell'Antico Testamento.

Non sprecare gli esempi biblici

Ebrei 11 ci invita a perfezionare il nostro approccio all'imitazione, ricordandoci che la fede nel Dio che mantiene le sue promesse è sempre il contesto essenziale per l'imitazione.

Una vita fedele, ai giorni di Israele come ai nostri, richiede fede e santità piuttosto che incredulità e mondanità. Ebrei 11 suggerisce che se non riusciamo a seguire l’esempio dei credenti dell'Antico Testamento come modelli di fede e obbedienza, ci stiamo privando di un ingrediente inestimabile nel discepolato cristiano. Forse l'autore include così tanti dei nostri antenati nella fede per dire: “Abbiamo bisogno di tutti gli esempi che possiamo avere”.


Jason Hood è pastore alla North Shore Fellowship (PCA) di Chattanooga, Tennessee. è anche professore di Nuovo Testamento al Gordon-Conwell Theological Seminary, e autore di Imitating God in Christ: Recapturing a Biblical Pattern.

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