Prega per vedere la Chiesa come Dio la vede
Criticare la chiesa è facile, specialmente in un’epoca come la nostra. Anche se molti di noi sono consapevoli dei pericoli di un cristianesimo consumista, pochi di noi sfuggono del tutto alla sua influenza. So di poter assumere un atteggiamento di critica distaccata quando mi metto a valutare sermoni, musica e piccoli gruppi come se stessi facendo la recensione di un frullatore su Amazon.
Accanto al consumismo, viviamo in un tempo in cui criticare la chiesa va di moda. Un sottile disprezzo nei confronti della chiesa fa guadagnare rispetto persino in alcuni ambienti cristiani. Siamo i disincantati e i disillusi, quelli che dentro di sé alzano gli occhi al cielo davanti ai cliché cristiani e a tutto quello che puzza di rigore ecclesiale. Quando i non credenti condividono le loro rimostranze contro “la religione organizzata”, a volte reagiamo con qualcosa di più che un cenno di comprensione.
Che sia frutto del consumismo o del cinismo, un tale spirito critico nei confronti della chiesa di Dio non appare in nessuna parte nel Nuovo Testamento.
Ritratti divini del popolo di Dio
Ma qualcuno potrebbe dire: “Ah, la chiesa del Nuovo Testamento era completamente diversa da quella che troviamo oggi. Se solo potessimo tornare al Nuovo Testamento!” È vero, sono passati venti secoli dall’età apostolica. Ma le chiese del primo secolo non erano quei paradisi spirituali che a volte immaginiamo.
Le chiese del Nuovo Testamento erano composte da santi-peccatori proprio come le nostre. Essi erano tentati alla frustrazione, all’impazienza e alla divisione proprio come noi (Efesini 4:1-3). Anch’essi avevano bisogno di sentirsi dire di non “disprezzare” e di non “giudicare” gli altri fratelli (Romani 14:3). A volte erano talmente in disaccordo da non poter più collaborare nel ministero (Atti 15:36-41).
Eppure Pietro e Paolo, Giacomo e Giovanni non hanno mai mostrato lo spirito di critica che così spesso ci caratterizza. Benché non avessero paura di esortare e persino riprendere i loro fratelli cristiani, gli apostoli si adoperavano per vedere (e per aiutarci a vedere) la chiesa come essa è realmente agli occhi di Dio: la famiglia di Dio, il corpo del Signore, il tempio dello Spirito, la sposa di Cristo.
Famiglia di Dio
Chi sono queste persone che si riuniscono con noi la domenica mattina: il padre di quattro figli che canta stonato, la persona che serve la comunione con una maglietta poco adatta, la giovane donna dall’insolita sonora risata? Se sono in Cristo, sono gli “amati figli” del Dio Altissimo (Efesini 5:1).
Spesso preghiamo “Padre nostro”, eppure ci approcciamo all’amore fraterno con una certa noncuranza. Ma per gli apostoli (e per noi nei nostri momenti migliori), il fatto che Dio ci chiami suoi figli bastava a suscitare meraviglia per l’eternità (1 Giovanni 3:1). Se non lo avesse detto Gesù stesso, chi avrebbe osato immaginare che quelli che lo seguono gli sono “fratello, sorella e madre” (Marco 3:33-35), e per giunta, che egli non si vergogna di questa famiglia (Ebrei 2:11)?
Eppure è così. Questi cristiani che cantano con noi, pregano per noi, ci parlano con le Scritture, e a volte ci frustrano a non finire sono fratelli dello stesso Salvatore, destinati ad abitare insieme a noi nella casa del Padre nostro (Giovanni 14:2). Essi sono persone “più strane di quanto avremmo creduto, e più degne di quanto le avessimo giudicate”, come scrisse C.S. Lewis (I quattro amori, 25). Essi sono la nostra famiglia in Cristo.
Corpo del Signore
Non solo siamo fratelli appartenenti alla stessa famiglia, ma facciamo anche parte dello stesso corpo. Paolo osserva: “Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e tutte le membra non hanno una medesima funzione, così noi, che siamo molti, siamo un solo corpo in Cristo, e, individualmente, siamo membra l'uno dell'altro” (Romani 12:4-5). Possiamo apparire diversi l’uno dall’altro come una rotula è diversa da un naso, ma siamo legati insieme da tendini eterni e ossa immortali, con Cristo stesso quale nostro capo.
Paolo dà per scontato che alcune parti del corpo “sembrano essere più deboli”, “meno onorevoli”, persino “indecorose” (1 Corinzi 12:22-23). Noi stessi potremmo essere tentati a dire di qualche membro del corpo, forse sottovoce, “Non ho bisogno di te” (1 Corinzi 12:21). Eppure il pensiero stesso tradisce un’ignoranza di fondo su ciò che è la chiesa: non un insieme di individui, ma un corpo di membri. Non esiste un cristianesimo da individui solitari, perché in realtà non ci sono individui, soltanto occhi, mani, orecchie e arti, che sopravvivono solo quando sono attaccati al corpo.
Tempio dello Spirito
Alla crocifissione di Gesù, la cortina che copriva l’ingresso al luogo santissimo del tempio “si squarciò in due, da cima a fondo” (Marco 15:38). La santa presenza di Dio, che una volta sedeva sopra i cherubini (Salmo 80:1; 99:1), non avrebbe più dimorato nel tempio di Gerusalemme, avrebbe invece dimorato nella chiesa.
“Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?” chiede Paolo ai Corinzi (1 Corinzi 3:16). Nota lo scandalo contenuto in questa affermazione. Paolo sta dicendo che ovunque è la vera chiesa, per quanto sia imperfetta come quella di Corinto, lì c’è Dio. L’apostolo Giovanni, consapevole di questa meraviglia, scrive: “Nessuno ha mai visto Dio”. Eppure: “Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e il suo amore diventa perfetto in noi” (1 Giovanni 4:12). Il Dio invisibile dimora, tra tutti i luoghi possibili, nella comunità visibile della vera chiesa.
Naturalmente, Dio è onnipresente; non possiamo fuggire da lui nemmeno se lo volessimo (Salmo 139:7-12). Ma se intendi incontrare la santa presenza di Dio, dove Dio dimora in gloria e grazia, allora non scalare la cima di una montagna, non inseguire esperienze estatiche, non guardarti dentro. Riunisciti invece con la comunità umile e ordinaria dei santi, e sappi che lì c’è “un tempio santo nel Signore […] che ha da servire come dimora a Dio per mezzo dello Spirito” (Efesini 2:21-22).
Sposa di Cristo
Quando giungiamo alla fine della storia della redenzione e intravediamo il mondo a venire, l’immagine finale della chiesa che Dio ci dà non è quella di una famiglia, di un corpo o di un tempio, ma di una sposa. “Poi venne uno dei sette angeli [...] e mi parlò, dicendo: ‘Vieni e ti mostrerò la sposa, la moglie dell’Agnello’” (Apocalisse 21:9). Qui vediamo che l’ex prostituta si presenta davanti al Marito che l’ha redenta, finalmente “gloriosa, senza macchia, senza ruga o altri simili difetti” (Efesini 5:27).
Al momento, lo splendore della chiesa è debole. Macchie e rughe deturpano ancora la bellezza del suo volto. Ma il fuoco della passione del suo Sposo, al cui paragone il nostro amore più travolgente non è che una scintilla, un giorno la renderà pronta. Presto sarà rivestita della sua gloria (Apocalisse 21:2).
Non dobbiamo ignorare i difetti di questa futura sposa per dedicarci fedelmente a lei ora. Con gli occhi della fede, la vediamo come un giorno sarà: come una donna senza macchia e senza ruga, “pronta come una sposa adorna per il suo sposo” (Apocalisse 21:2). E poi continueremo ad amarla come lei è.
Il popolo che Dio ama
Se potessimo vedere la chiesa come essa realmente è, probabilmente i nove decimi delle nostre critiche scomparirebbero. Ci ritroveremmo a stare in stupito silenzio davanti a questa famiglia di Dio, a questo corpo del Signore, a questo tempio dello Spirito e a questa sposa di Cristo, stupiti non solo per la sua bellezza, ma anche per il privilegio di farne parte.
A dire il vero, non tutte le nostre critiche scomparirebbero. Dalla bocca di quelli che amano la chiesa a volte escono parole dure, come ci ricordano Gesù e gli apostoli (Apocalisse 3:19; 1 Corinzi 4:14). Ma le nostre critiche sarebbero ben lontane dall’ipercriticismo consumista o dal freddo disprezzo. La nostra critica verrebbe espressa con tristezza, sospiri e preghiere, e ci spingerebbe a sacrificare le nostre vite per il popolo che Dio ama.
Scott Hubbard si è laureato al Bethlehem College & Seminary ed è redattore per desiringGod.org. Vive a Minneapolis con sua moglie Bethany e il loro figlio.
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