Come pregare quando vorresti rinunciare al ministero
Questo articolo fa parte della serie Come pregare.
Le battaglie di un pastore
Ogni pastore è una persona con i suoi doni e la sua personalità unica, con i suoi pregi e i suoi difetti; tuttavia molti pastori hanno alcune cose in comune.
La maggior parte di noi combatte contro l’insicurezza. Troppo spesso siamo degli stacanovisti e dei perfezionisti. Tendiamo a essere ossessionati da ciò che gli altri pensano di noi. Quasi sempre neghiamo, specialmente agli altri pastori, che ci interessa quello che le persone pensano di noi. Combattiamo contro lo scoraggiamento. Non amiamo i lunedì.
Se siamo nel pastorato da molto tempo, con ogni probabilità abbiamo preso in considerazione la possibilità di mollare tutto e fare qualcos’altro nella vita, qualunque altra cosa. Una volta, un mio amico pastore era diventato talmente depresso da chiedere a sua moglie di aiutarlo a squalificarsi intenzionalmente dal ministero. Grazie a Dio, riuscii a dissuaderlo da quell’idea assurda.
Dopo quello che ho appena scritto, la cosa che sto per dire potrebbe sembrare strana: Nonostante le difficoltà (solitamente stagionali e non sempre presenti), amo essere un pastore e non desidero fare altro nella mia vita, almeno la maggior parte delle volte.
C’è stato però un momento specifico in cui avrei voluto mollare tutto. Avevo appena terminato il terzo anno del mio primo pastorato a tempo pieno. Era stato un anno terribile, a dir poco. Nemmeno il secondo anno era stato molto buono. Il primo anno? Non fu una luna di miele.
Ma l’evento che mi fece venir voglia di andarmene via il più lontano possibile capitò dopo che ebbi finito di predicare una domenica mattina nella primavera del 2014. Uno degli anziani, con grande sorpresa della mia famiglia e della congregazione, si alzò, salì al pulpito e chiese un voto di fiducia nei miei confronti mentre mia moglie e i nostri quattro bambini piccoli assistevano alla scena dalla seconda fila. La sua fiducia nella mia leadership era finita, arrivò a chiamarmi “un leader mancato”. Se già stavo pensando di lasciare il ministero, quelle parole mi convinsero che era arrivata l’ora.
La congregazione rimase in silenzio, rifiutandosi di votare per me o contro di me, ma in quel momento sapevo che quello era il capolinea; il mio pastorato in quella chiesa era finito lì e forse il ministero in generale. Sette giorni dopo, dallo stesso pulpito lessi la mia lettera di dimissioni, cercando invano di trattenere tre anni di lacrime amare. Non sono un tipo che di solito piange, ma la diga si era rotta, e le lacrime tracimarono.
La mattina dopo, dissi alla mia famiglia che avremmo fatto ritorno alla mia città natale dove avrei ricominciato la mia precedente carriera di giornalista. Ero arrabbiato con la congregazione e con Dio. Le parole del mio ex-anziano riecheggiavano nel mio cervello. Come poteva un leader mancato essere chiamato a pascere il popolo di Dio?
Feci l’unica cosa che potevo fare: lessi i Salmi. Lessi 2 Corinzi così tante volte da impararne a memoria una buona parte. E pregai per ore ogni giorno. Che cosa prega un pastore che è sul punto di lasciare il ministero? Ecco alcune cose per cui ho pregato:
1. Ho pregato che Dio mi aiutasse a pensare a lungo termine.
Satana spesso usa le emozioni come armi contro di noi. Questo è doppiamente vero per i pastori. Non vi dico quanti lunedì, soprattutto durante i miei primi anni come pastore, mi sono chiesto se era meglio che mi dedicassi a qualcos’altro. Forse il sermone che avevo predicato era stato piatto o un critico si era sfogato direttamente con me o attraverso una email.
Se il ministero mi ha insegnato qualcosa, è la lezione che Gesù ha esposto in Marco 4:26-29: Non ho il controllo delle cose e niente di buono accade da un giorno all’altro. Presto divenne evidente che non dovevo prendere la decisione affrettata di lasciare il ministero basandomi solo sulle emozioni. Col tempo, la volontà di Dio sarebbe diventata chiara. Così passai alla preghiera numero due.
2. Ho pregato per ricevere illuminazione da Dio.
Che cosa mi stavano dicendo i fatti? C’erano altre chiese interessate a farmi diventare il loro pastore? C’erano opportunità di predicare come ospite in altri pulpiti? Pastori più giovani o nuovi nel ministero stavano ancora cercando i miei consigli? Più pensavo di lasciare il ministero, più le porte si aprivano in ognuna di queste categorie. Dopo aver lasciato la mia prima chiesa, ho predicato in qualche chiesa quasi ogni weekend.
Un gruppo di membri della mia ex-chiesa voleva fondare una nuova chiesa con me come pastore. Non era una buona idea, ma speravo che fosse un segno rivelatore. Altre due chiese mi invitarono a inviare il mio curriculum perché avevano posti disponibili nel pastorato. Un’altra mi chiamò, mi fece fare un colloquio e dopo una settimana mi propose di essere il loro unico candidato a pastore principale. Non mi concessero il tempo per pensare e pregare adeguatamente sulla loro proposta, così rinunciai all’invito; ma l’opportunità in se stessa mi aiutò a chiarire le cose. Stavo pregando che Dio mi mostrasse che cosa fare, ed egli lo stava rendendo chiaro: visto che mi stava dando alcuni segni illuminanti, non ero affatto finito come pastore.
3. Ho pregato che Dio cambiasse il mio cuore nei confronti del ministero.
Desideravo cambiare vocazione. Ad un certo punto, stavo per accettare un lavoro diverso dal ministero nella mia città natale. La paga era buona. Conoscevo il mio potenziale datore di lavoro da una vita. Quel lavoro mi avrebbe fatto sentire al sicuro. Mi avrebbe dato un riparo dalla pioggia battente delle critiche, sarebbe stata una fortezza contro gli occhi puntati su di me da persone che sembravano non aspettare altro che io cadessi. Presi anche in considerazione di tornare a fare il giornalista, la mia vocazione prima entrare nel ministero.
Ma c’era un problema: volevo ancora essere un pastore. Dio non stava cambiando i miei desideri. Casomai, l’assenza dal pastorato me lo stava facendo amare di più. Per me, quello è stato un motivo sufficiente per continuare a chiedere a Dio di aprire una porta per il ministero in un altro posto.
4. Ho pregato che Dio mi aiutasse a trovare la mia identità in Cristo e non nell’essere un pastore.
Lo ammetto: a volte mi chiedo se trovo la mia identità nell’essere l’uomo che guida la chiesa e che predica quasi tutte le volte. Per molti anni, prima di arrendermi al ministero vocazionale e di frequentare il seminario, ho lavorato come giornalista. Cercavo di avere successo in quel campo con ogni fibra del mio essere, spesso lavorando 70-90 ore a settimana. Se mi avessi chiesto chi ero, avrei risposto: “Sono un giornalista”. Il mio lavoro era al centro della mia identità. Investigando il mio cuore di quegli anni, credo che fosse diventato un idolo.
È facile fare delle cose buone, come il ministero pastorale, dei sostituti di Dio. Chiedi a Dio di esaminare il tuo cuore e di aiutarti a rispondere accuratamente a questa domanda: Sarei felice se non facessi più il pastore e mi “limitassi” a essere un membro attivo e fedele di una chiesa solida? Uno dei miei mentori mi fece questa domanda mentre stavo cercando di capire se rimanere o meno nel ministero. Da allora, ho pregato Dio di essere meno attaccato al ministero pastorale e di essere saldamente aggrappato a Cristo, e di trovare la mia soddisfazione e la mia identità in lui. Il ministero pastorale è un pessimo dio.
5. Ho pregato per umiltà e santificazione.
Robert Murray M’Cheyne è famoso per aver detto: “Il più grande bisogno della mia gente è la mia santità personale”. Negli anni ho cercato, benché in modo imperfetto, di fare della santità una ricerca incessante: uccidere il peccato e pregare che Dio pianti e faccia crescere il frutto dello Spirito in me. Particolarmente durante tempi di dubbio, ho chiesto a Dio di usare le mie circostanze per rendermi simile a Gesù, per rendermi santo. Uno dei versetti più spaventosi in tutta la Scrittura è Ebrei 12:14: “Impegnatevi a cercare la santificazione senza la quale nessuno vedrà il Signore”. Comprendi perché è spaventoso? Se non stiamo ricercando la santificazione, allora la domanda non è più “sono veramente chiamato al ministero?, ma è molto più importante e seria.
Sono convinto che stagioni di afflizione e dubbio nel ministero sono delle opportunità per crescere e maturare di più. Per parafrasare John Piper, ho chiesto a Dio di non sprecare la mia sofferenza e il mio dubbio, ma di usarli per produrre un copioso raccolto di giustizia in me. Non sappiamo sempre quello che Dio sta facendo quando soffriamo o dubitiamo. Infatti, sono convinto che di solito non sappiamo esattamente quello che Dio sta facendo in noi o attraverso di noi perché la vita cristiana è una gara di fede (Ebrei 12:1-2). Ma possiamo essere certi che egli sta operando in noi e per noi in 10.000 modi che i nostri occhi non possono vedere.
6. Ho pregato per la grazia di perseverare.
È anche importante pregare per la grazia di perseverare. Spesso pensiamo alla grazia di Dio unicamente in termini di salvezza. Ad ogni modo, il Dio che ci salva per grazia ci custodisce anche per grazia. L’intera lettera agli Ebrei è un sermone sulla grazia di perseverare nella fede.
La dottrina della perseveranza dei santi può anche essere intesa come la preservazione divina dei santi (Salmo 31:23b). Incidi queste parole sulla porta del tuo cuore: “Infatti avete bisogno di costanza, affinché, fatta la volontà di Dio, otteniate quello che vi è stato promesso” (Ebrei 10:36). Prega ogni giorno per una fresca ondata di grazia nella tua vita e nel tuo ministero.
Se farai il pastore per molto tempo, ti capiterà di dubitare della tua chiamata. Non sprecare l’opportunità per crescere in maturità. Lascia che essa ti porti sulle tue ginocchia.
Jeff Robinson Sr. (PhD, The Southern Baptist Theological Seminary) è redattore senior di Gospel Coalition ed è il pastore principale della Christ Community Church di Louisville. E’ anche professore aggiunto di storia della chiesa al Southern Baptist Theological Seminary. E’ coautore di To the Ends of the Earth: Calvin's Missional Vision and Legacy.
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