Sei modi in cui noi cristiani possiamo rispondere allo strano nuovo mondo in cui viviamo

Il mondo è cambiato sotto i nostri occhi. Nuove concetti sull’individualità sfidano la visione cristiana, e ci siamo ritrovati in un luogo ostile dove è pericoloso sfidare il nuovo status quo.

Opporsi al matrimonio omosessuale, per esempio, nel registro morale del giorno non è sostanzialmente diverso dall’essere un razzista. L’epoca in cui i cristiani potevano essere in disaccordo con le convinzioni generali del mondo secolare e tuttavia essere rispettati come membri onesti della società sta finendo, se non è già finita. La verità è che le ultime vestigia di un immaginario sociale plasmato dal cristianesimo stanno rapidamente svanendo, e molti di noi si ritrovano a vivere come stranieri in uno strano nuovo mondo.

La rivoluzione nell’individualità, soprattutto quando si manifesta nelle diverse sfaccettature della rivoluzione sessuale, è destinata a esercitare pressione sulle nostre vite, dall’insegnamento all’asilo nido fino alle politiche sui pronomi sui luoghi di lavoro. I cristiani possono ancora scappare, per così dire, ed evitare alcune di queste cose per un certo periodo di tempo, ma non possono nascondersi per sempre. Prima o poi ognuno di noi  dovrà probabilmente affrontare una situazione difficile generata dal concetto moderno di individualità. Questo ci porta a domandarci come dovremmo vivere e cosa dovremmo fare quando la pressione per conformarsi al pensiero del mondo si fa intensa. Ecco sei modi in cui i cristiani dovrebbero rispondere a questo nuovo mondo.

1. Riconoscere la nostra complicità

La prima cosa da fare è essere consapevoli della nostra complicità nell’individualismo espressivo dei nostri giorni. Questa affermazione ha tuttavia bisogno di essere precisata, perché non tutto l’individualismo espressivo è un male. Abbiamo dei sentimenti; abbiamo uno spazio psicologico interiore che influenza profondamente chi siamo.

Storicamente, mentre Rousseau sviluppava la sua nozione del sé radicato nei sentimenti interiori, Jonathan Edwards scriveva I sentimenti religiosi ed investigava quello spazio interiore da una prospettiva dichiaratamente cristiana. L’individualismo espressivo è corretto nell’affermare l’importanza della psicologia per conoscere chi siamo e nell’insistere sulla dignità universale di tutti gli esseri umani. Potremmo anche aggiungere che tale accettazione dell’individuo è in sintonia con l’urgenza esistenziale del Nuovo Testamento nel modo in cui esso enfatizza l’importanza della fede personale nel rispondere al Vangelo. Solo io posso credere per me. Questo pone l’“io” in una posizione molto importante.

Tuttavia ci sono anche alcune criticità. Pensiamo, per esempio, alla libertà religiosa. Si tratta di una virtù sociale. Quale cristiano vorrebbe vivere in una nazione dove la chiesa è perseguitata e dove adorare Dio è considerato un crimine? Eppure le nazioni in cui c’è libertà religiosa sono solitamente nazioni in cui ci sono molte chiese, per non dire religioni, alle quali una persona può scegliere di appartenere.

Nel raggio di 15 chilometri dallo studio di casa mia in Pennsylvania nel quale sto scrivendo, ci sono decine di chiese: Presbiteriane, Luterane, Ortodosse Orientali, Battiste, Cattoliche Romane. Ma anche i termini “Presbiteriano”, “Luterano” e “Battista” coprono una serie di denominazioni diverse. Questo è il risultato della libertà religiosa, che è una cosa buona. Tuttavia, essa ha pure l’effetto di rendere la religione simile a un mercato dove il fedele è il cliente e la chiesa il venditore. Ciò significa che nella religione l’autorità pende verso il fedele, il cliente, in un modo che asseconda i bisogni percepiti dell’io psicologico.

Per dirla in termini più netti, vale la pena notare un commento fatto da Philip Rieff: “Un tempo, se gli uomini erano infelici andavano in chiesa per trovare la motivazione della loro infelicità; non si aspettavano di essere felici, questa è un’idea della filosofia greca, non cristiana o ebraica”.

Un concetto del genere è incomprensibile oggi: noi cristiani intuitivamente andiamo in chiesa per sentirci bene—forse per incontrare gli amici, per cantare inni edificanti (tradizionali o moderni che siano) o per stimolare la nostra mente con un buon sermone o deliziare le nostre orecchie con della bella musica. Le preghiere, personali e comunitarie, tendono a concentrarsi sull’alleviamento dell’infelicità, non sull’essere in grado di comprenderla. Tendiamo a scegliere la chiesa che si adatta con quello che ci fa sentire bene. Questo è vero sia per le persone emotive a cui potrebbe piacere un culto pentecostale sia per gli amanti della bellezza artistica, che potrebbero essere naturalmente attratti dall’Anglicanesimo alto, dal Cattolicesimo o dall’Ortodossia, sia per persone (come me) che amano i libri, a cui potrebbero piacere i sermoni che stimolano la mente delle chiese Riformate.

Forse ho esagerato un po’. Ma se siamo onesti con noi stessi, la maggior parte di noi deve ammettere che la nostra scelta in fatto di chiesa non è interamente guidata da convinzioni teologiche. Il gusto personale ha il suo ruolo, ed esso è influenzato dalle aspettative della società psicologizzata e terapeutica in cui viviamo, ci moviamo e siamo.

Questo si collega anche a un altro modo in cui la chiesa è diventata più simile al mondo di quanto essa si renda conto: il culto della felicità personale. Naturalmente non c’è niente di sbagliato nell’essere felici, ma la natura della felicità è cambiata nel corso degli anni diventando simile a una sensazione interiore di benessere psicologico. Una volta che iniziamo a pensare alla felicità in questi termini, la visione della vita cristiana esposta nelle lettere di Paolo, in particolare in 2 Corinzi, diventa incomprensibile. Potremmo non aderire tutti in modo esplicito al vangelo della prosperità, ma molti di noi pensano alla benedizione divina in termini di felicità individuale. Questo è un risultato della cultura psicologizzata e  terapeutica che si è infiltrata nel nostro cristianesimo.

Ci sono anche altre aree di complicità. Quante chiese hanno preso una posizione ferma sul divorzio consensuale, un concetto basato su una visione del matrimonio che lo considera privo di significato una volta che la felicità personale di una o di entrambe le parti non viene soddisfatta? Quanti cristiani permettono alle loro emozioni di governare la loro etica quando un caro parente o un amico fa coming out dichiarandosi gay o transgender? In un certo qual modo, siamo tutti complici di questo strano nuovo mondo.

Non è facile capire come affrontare questa complicità, ma alcune considerazioni sorgono spontanee.

Primo, dobbiamo esaminare noi stessi, individualmente e comunitariamente, per capire in quali modi abbiamo compromesso il Vangelo con lo spirito di questo secolo. Poi dobbiamo  ravvederci, invocare la grazia del Signore e cercare di riformare le nostre convinzioni, atteggiamenti, intuizioni e pratiche. Niente di meno è richiesto per una vera riforma su questo punto.

Secondo, la consapevolezza della nostra complicità dovrebbe renderci umili nel modo in cui interagiamo con chi non è d’accordo con noi su queste questioni. Non può esserci posto per la preghiera farisaica con la quale ringraziamo il Signore per non essere come gli altri.

Terzo, essere consapevoli della nostra complicità ci permette se non altro di praticare in futuro la necessaria autocritica e autodisciplina. Non possiamo fare a meno di scegliere la chiesa in cui adoriamo. Persino chi è cattolico dalla nascita oggi sceglie di continuare a frequentare la chiesa perché ci sono molte altre opzioni disponibili, tra cui non andare affatto in chiesa. Ma dopo aver scelto la chiesa, possiamo disciplinare noi stessi per impegnarci a servire quella chiesa, seguirla e rifiutarci di permettere a noi stessi di lasciarla semplicemente a causa di questioni di poco conto o di gusto personale. Questo sarà tutt’altro che perfetto e facile, ma non vedo altra scelta se non l’autoconsapevolezza e l’autodisciplina al riguardo.

2. Imparare dalla Chiesa antica

I cristiani tradizionali di solito sono quelli che prendono sul serio la storia. La nostra fede è  radicata in affermazioni storiche (supremamente l’incarnazione di Gesù Cristo e gli eventi e le azioni della sua vita) e vediamo le nostre comunità religiose poste in una linea che va indietro nel tempo da Pentecoste e oltre. Così, quando si trovano di fronte a sfide particolari, i cristiani spesso guardano al passato per trovare speranza nella loro esperienza presente. I protestanti solitamente guardano alla Riforma e i cattolici all’Alto Medioevo. Se solo potessimo tornare a quel mondo, ci diciamo, tutto andrebbe bene.

Chiunque abbia una percezione realistica della storia sa che i ritorni al passato sono nella migliore delle ipotesi virtualmente impossibili. Tanto per cominciare, né la Riforma né l’Alto Medioevo sono state le epoche d’oro che la nostalgia religiosa vorrebbe farci credere. Le società in cui la chiesa operava in quei periodi se ne sono andate per sempre, in gran parte grazie al modo in cui la tecnologia ha ridisegnato il mondo in cui ora viviamo.

Se volessimo trovare un precedente per i nostri tempi, credo che si debba andare ancora più indietro nel tempo, al secondo secolo e alla chiesa immediatamente post-apostolica. In quel tempo, il cristianesimo era una setta poco compresa, disprezzata, marginale. Era sospettata di essere immorale e sediziosa. Mangiare il corpo e il sangue del loro dio e chiamarsi “fratello” e “sorella” anche da sposati rendeva i cristiani e il cristianesimo altamente sospetti agli occhi degli osservatori esterni. E l’affermazione “Gesù è il Signore!” appariva come una promessa di fedeltà che derogava quella dovuta a Cesare. È molto simile alla situazione attuale della chiesa.

Per fare un esempio, siamo considerati dei fanatici irrazionali a causa della nostra posizione sul matrimonio gay. All’indomani della presidenza di Trump, è diventata un’abitudine sentire conservatori religiosi in generale, e cristiani evangelici in particolare, essere tacciati di rappresentare una minaccia alla società civile. Come i nostri antenati spirituali del secondo secolo, anche noi siamo considerati immorali e sediziosi.

Ovviamente, l’analogia non è perfetta. Nel secondo secolo la chiesa si trovava a dover affrontare un mondo pagano che non aveva mai conosciuto il cristianesimo. Noi viviamo in un mondo che si sta allontanando dalla fede cristiana, spesso in modo consapevole e intenzionale. Ciò significa che l’opposizione è probabilmente meglio informata e più proattiva rispetto alla chiesa antica. Tuttavia, dare uno sguardo alla strategia della chiesa nel secondo secolo è sempre istruttivo.

Per prima cosa, il Nuovo Testamento e i primi testi non-canonici come la Didachè dimostrano chiaramente che la comunità era fondamentale per la vita della chiesa. Gli Atti degli Apostoli ci mostrano una chiesa in cui i cristiani si prendevano cura gli uni degli altri e si servivano a vicenda. La Didachè contiene un insieme di norme morali, tra cui il divieto di abortire e uccidere i neonati, che distinguevano la chiesa dal mondo circostante. L’identità cristiana, come si può vedere chiaramente, era una cosa molto pratica, terra-terra e quotidiana.

Questo ha perfettamente senso. Alla base dell’immaginario sociale c’è la nozione che l’identità è modellata dalla comunità alla quale apparteniamo. Tutti noi abbiamo differenti identità—io sono un marito, un padre, un insegnante, un inglese, un immigrato, uno scrittore e un tifoso di rugby, oltre ad essere un cristiano. Le mie identità più forti, che formano le mie intuizioni più forti, derivano dalle comunità più forti a cui appartengo. Questo significa che la chiesa deve essere la comunità più forte alla quale apparteniamo.

Paradossalmente, la comunità LGBT+ è la prova di questo punto: la ragione per cui è passata dai margini al centro della scena è strettamente legata alle comunità forti che ha formato mentre era ai margini. Ecco perché il lamento per l'emarginazione culturale del cristianesimo, benché legittimo, non può essere l’unica risposta della chiesa agli attuali sconvolgimenti sociali che sta sperimentando. Facciamo pure lamento (esso è necessario  perché il mondo non è come dovrebbe essere, come molti salmi ci dicono) ma pensiamo anche ad organizziamoci. Diventiamo una comunità. Da questo, dice il Signore, conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri (Giovanni 13:35). Questo significa comunità.

Questo ci porta alla seconda lezione che possiamo imparare dalla chiesa primitiva. La comunità in termini dei suoi dettagli quotidiani può apparire diversa in una città rispetto a un paesino rurale, o negli Stati Uniti in confronto al Regno Unito. Ma vi sono alcuni elementi che la chiesa condivide in ogni luogo: adorazione e comunione. Riunirsi insieme nel giorno del Signore, pregare, cantare le lodi di Dio, ascoltare la Parola letta e predicata, celebrare il battesimo e la Cena del Signore, donare materialmente all’opera della chiesa sono cose che tutti i cristiani dovrebbero fare quando sono riuniti insieme.

Può sembrare banale, ma gran parte della testimonianza della chiesa al mondo consiste semplicemente nell’adorazione che essa offre a Dio. Paolo afferma che quando la chiesa si riunisce e un non credente entra per caso, dovrebbe essere colpito dalla santità soprannaturale di ciò a cui sta assistendo. La testimonianza più potente del Vangelo è la chiesa stessa, impegnata semplicemente ad adorare il suo Signore.

Molti cristiani parlano del coinvolgimento della chiesa nella cultura. In effetti, la cultura viene  coinvolta più radicalmente quando la chiesa le propone un'altra cultura, un’altra forma di comunità, radicata nella sua adorazione liturgica e manifestata nella comunità amorevole che non si limita al culto di adorazione. Molti parlano della guerra culturale tra cristiani e secolarismo, e indubbiamente la Bibbia usa un linguaggio militare per descrivere il conflitto spirituale dell’età presente. “Protesta culturale” è forse un modo migliore per tradurre il concetto in un linguaggio moderno, considerati i conflitti fisici moderni e passati del nostro mondo. La chiesa protesta la cultura più ampia offrendo una visione reale di cosa significhi essere un umano creato a immagine di Dio.

Questo approccio viene certamente accennato nella letteratura cristiana del secondo secolo. I cosiddetti apologeti greci, come Giustino Martire, affrontarono l’Impero Romano secondo una prospettiva cristiana. Quello che è interessante rispetto ad alcuni dei modi in cui molti cristiani, di destra e di sinistra, affrontano la cultura oggi è quanto fossero rispettosi questi antichi apologeti. Non passavano il loro tempo a denunciare i mali dell’imperatore e della sua corte. Piuttosto, argomentavano positivamente che i cristiani erano i cittadini migliori, i genitori migliori, i servitori migliori, i vicini di casa migliori, i lavoratori migliori, e che pertanto andavano lasciati in pace e doveva essere loro permesso di condurre la loro vita quotidiana senza essere perseguitati dalle autorità. Naturalmente, c’erano dei limiti a ciò che potevano fare per partecipare alla vita civica: se veniva loro chiesto di offrire un sacrificio all’imperatore come a un dio, essi avrebbero dovuto rifiutarsi di farlo. Ma oltre a tali richieste, essi potevano essere dei buoni membri della comunità romana.

Nel quinto secolo, Agostino nel Libro XIX del suo capolavoro La città di Dio propose un'argomentazione simile. I cristiani, disse, erano cittadini sia della città terrena che della città di Dio. I loro vicini pagani erano cittadini soltanto della città terrena, ma questo significava comunque che i due gruppi condividevano interessi e passioni comuni, prima di tutto la pace e la prosperità della città terrena. Pagani e cristiani desideravano queste cose e potevano unire le forze per raggiungerle. Ciò significava che i cristiani potevano e dovevano essere dei buoni cittadini nella misura in cui i loro obblighi superiori nei confronti di Dio glielo permettevano.

Gli apologeti e Agostino offrono una visione della chiesa in una cultura ostile che calls on the church to be the church e ai cristiani di essere membri costruttivi della società allargata in cui vivono. Alcuni potrebbero rispondere che failing to engage in un confronto aggressivo e diretto sembra piuttosto disfattismo o ritirata. Ma lo è?

Su questioni fondamentali come l’aborto, in occidente i cristiani sono ancora liberi di usare i loro diritti di membri della città terrena per promuovere il bene. Non sto invocando un quietismo passivo in cui i cristiani abdicano alle loro responsabilità civiche o non fanno alcun collegamento tra come portare avanti queste responsabilità civiche e la loro fede religiosa. Sto suggerendo piuttosto che affrontare una guerra culturale usando gli strumenti, le armi e la retorica del mondo non è la cosa giusta per il popolo di Dio.

Se gli apologeti e Agostino fossero stati dei quietisti passivi, è difficile spiegare come il cristianesimo sia diventato così dominante nell’occidente per così tanti secoli. L’evidenza storica suggerisce piuttosto che il loro approccio si è dimostrato straordinariamente efficace nel tempo. E potrebbe esserlo nuovamente, forse non durante la mia vita e nemmeno in quella dei miei figli. Ma Dio è sovrano, Dio fa piani a lungo termine, e la sua volontà sarà fatta, in terra come in cielo.

3. Insegnare tutto il consiglio di Dio

In un tempo di grandi mutamenti, una delle tentazioni è quella di concentrarsi sulle sfide immediate alla fede cristiana. Certamente non è una cattiva cosa dare la priorità ai problemi più urgenti con cui la chiesa si scontra e affrontarli con un certo grado di urgenza. La vendita delle indulgenze, per esempio, era un grave problema nel 1517, ed era giusto che Lutero si concentrasse su di essa invece di passare il suo tempo a scrivere sulla questione del matrimonio omossessuale, una questione di importanza pressoché nulla all’inizio del 16° secolo. Ma corriamo un pericolo qui: è possibile preoccuparsi troppo di specifiche minacce da trascurare l’importante fatto che la verità cristiana non è un insieme di affermazioni isolate e non connesse tra loro ma che costituisce invece un insieme organico.

L’insegnamento della chiesa sul genere, sul matrimonio e sul sesso è una conseguenza del suo insegnamento su ciò che significa essere umani. Le dottrine della creazione, della caduta, della redenzione e della consumazione sono un fondamento importante per affrontare le sfide specifiche del nostro tempo. Se, come sostengo, gli orientamenti moderni sul sesso e sull’identità sono conseguenze di concezioni più profonde sull’individualità, allora dobbiamo conoscere prima qual è la visione cristiana dell’io per affrontarle. Dato che la Bibbia insegna che la personalità umana è creata a immagine di Dio, dobbiamo avere una buona conoscenza della dottrina di Dio. In sintesi, possiamo rimanere saldi in questo momento culturale e affrontare le sfide specifiche che fronteggiamo solo se le nostre fondamenta nella verità di Dio sono solide e profonde.

Questo significa che la natura caotica dei nostri tempi non è una scusa per rinunciare al compito della chiesa di insegnare tutto il consiglio di Dio. Semmai, la chiesa dovrebbe considerare un momento storico come questo come un tempo per esaminare se è quello che sta facendo e adottare ogni cambiamento necessario alla sua strategia pedagogica. La chiesa deve fare in modo che i cristiani siano radicati intenzionalmente nella verità.

Come per la comunità, la strategia per fare questo può essere diversa a seconda del luogo e della congregazione, ma suggerisco che l’uso di una valida confessione di fede storica o di un catechismo è un buon punto di partenza. Il tempo è un grande solvente dell’irrilevanza. Se un credo, una confessione di fede o un catechismo esiste da secoli e si è dimostrato utile per secoli, allora si può essere ragionevolmente fiduciosi che non contenga molte argomentazioni irrilevanti o inconsistenti ma piuttosto verità di importanza perenne per i cristiani.

Nella tradizione ecclesiale di cui faccio parte (Presbiterianesimo), la Confessione di Fede di  Westminster e il Catechismo Maggiore e Minore sono stati scritti nel 1640 come dichiarazioni sintetiche degli elementi essenziali della fede cristiana. Dalla loro stesura iniziale sono stati oggetto di alcune revisioni. Per esempio, la versione americana è stata revisionata per eliminare il legame positivo tra stato e chiesa, noto come Principio istitutivo, per adeguare i documenti alla visione americana sul tema. Tuttavia, il testo dei Canoni di Westminster rimane in gran parte immutato. Ogni chiesa che li usa come guida a tutto il consiglio di Dio troverà in essi una risorsa molto utile per vedere ciò che è di fondamentale importanza.

Qualcuno potrebbe replicare e dire che questi documenti storici hanno un’utilità limitata ai nostri giorni, nei quali la società incalza la chiesa su questioni come il matrimonio omosessuale o il transgenderismo. C’è del vero in questo: la Confessione di Fede di Westminster non affronta tali questioni in modo diretto come potrebbero dover fare i pastori, tuttavia essa contiene insegnamento positivo su ciò che significa essere umani e qual è la natura e lo scopo del matrimonio. Questi insegnamenti forniscono fondamenti concettuali solidi e generali con i quali la chiesa può affrontare le sfide contemporanee, e lo fanno collocando i problemi immediati del nostro tempo nel contesto del quadro più ampio della verità cristiana eterna.

In sintesi, queste confessioni di fede ci aiutano non solo a capire che certe cose sono sbagliate ma anche perché lo sono dal punto di vista della verità divina nel suo complesso. Una strategia pedagogica basata su queste confessioni come guide sembra essere un elemento altamente auspicabile della vita di qualunque chiesa nelle attuali circostanze.

4. Formare le intuizioni attraverso l’adorazione biblica

L’individualismo espressivo nella forma in cui lo troviamo nella società contemporanea è problematico per come mette gli individui e i loro desideri—potremmo anche dire il loro ego—al centro dell’universo morale. Occorre tuttavia fare attenzione a non perdere di vista le verità importanti che esso contiene, come il suo impegno di fondo al concetto di dignità umana universale a prescindere da dove uno si trova nella gerarchia terrena.

Inoltre, la sua enfasi sullo spazio psicologico interiore e sulle emozioni e desideri non è sbagliata in se stessa. È sbagliata soltanto nel momento in cui rende queste cose fine a se stesse. Dio ci ha creato con emozioni e desideri. Siamo creature dotate di volontà, non animali dotati di istinto, e i nostri processi mentali interiori sono di importanza vitale. Ciò significa che dobbiamo riconoscere questo spazio psicologico interiore e formare le sue intuizioni nel modo corretto.

L’autobiografia di Agostino, Le confessioni, è un classico della letteratura cristiana. Il libro descrive la vita interiore di Agostino, rievocando gli episodi fondamentali del suo passato. Ad ogni modo, la cosa interessante è che la riflessione interiore di Agostino non termina lì ma si conclude sempre all’esterno verso Dio. In sostanza, i suoi sentimenti sono inseriti nel contesto più ampio della verità di Dio e della sua rivelazione in Cristo e vengono corretti da tale contesto.

Troviamo una dinamica simile nei Salmi. I vari salmisti parlano con onestà, spesso in modo brutale e sofferto, dei loro sentimenti nei confronti degli amici, dei nemici e anche di Dio. Ma questo non avviene mai ai fini dell’autoapprovazione o, peggio ancora, dell’autocommiserazione. Al contrario, tutto questo viene fatto allo scopo di inserire esperienze raccontate e sentimenti espressi nel contesto delle grandi verità di Dio.

Per capire questa verità e formare le nostre intuizioni psicologiche in un modo biblico, la chiesa deve riflettere a lungo e intensamente su uno degli atti centrali e formativi dell’adorazione: il canto. Non a caso il Salterio è un libro di lode comunitaria. Cantare questa poesia come comunità ha formato l’immaginario sociale degli Ebrei. La chiesa deve fare la stessa cosa oggi.

Riconosciamo di essere stati complici dell’individualismo espressivo, ma non vogliamo incamminarci sulla strada che porta da Rousseau a Oprah Winfrey e fa dei sentimenti il fondamento di come viviamo le nostre vite. Questo tuttavia non significa che dovremmo eliminare i sentimenti e le emozioni dalle nostre chiese, anzi. Dobbiamo riformare le nostre comunità in modo da formare correttamente le nostre vite interiori. Questo significa scegliere canti di adorazione che non indulgono nelle emozioni per amore delle emozioni e che non inducono a credere che i bisogni e i desideri personali siano la ragione per cui Dio esiste. Abbiamo bisogno di canti che ci permettono di comprendere ed esprimere onestamente i nostri sentimenti ma in un modo che conduce sempre verso l’esterno, a Dio e alla sua verità. Benché io non creda, come fanno alcuni, che la chiesa dovrebbe cantare esclusivamente i salmi, penso che cantare più salmi—o qualunque salmo se non vengono cantati—sia un ottimo punto di partenza.

Riflettiamo su questo: i salmi presentano una visione della vita cristiana caratterizzata dalla gioia ma che conosce anche il dolore e la perdita. Essi collocano i combattimenti del tempo presente nel contesto dei grandi atti compiuti da Dio nel passato e delle sue promesse per il futuro. Essi ci aiutano a comprendere la nostra condizione di stranieri che vivono in una terra straniera. Presentando un grandioso quadro di Dio e della promessa del riposo futuro, essi ci aiutano a mantenere la giusta prospettiva—teologica ed emotiva—sugli eventi del presente, siano essi personali, come la malattia, o sociali, come le inquietanti trasformazioni della società. Siamo creature dotate di emozioni e sentimenti, ma siamo caduti nel peccato. Abbiamo perciò bisogno di canti di redenzione per riportare le nostre emozioni nel loro giusto contesto.

5. Recuperare la legge naturale e la teologia del corpo

La chiesa deve altresì recuperare la legge naturale e la teologia del corpo. I Cattolici Romani hanno una lunga tradizione per quanto riguarda la prima e, nella persona di papa Giovanni Paolo II, un eccellente insegnante dell’ultima. Sebbene il protestantesimo al tempo della Riforma mostrasse un notevole apprezzamento per la legge naturale, esso è calato negli ultimi due secoli.

Che cos’è la legge naturale? Per dirla in maniera semplice, è l’idea secondo cui il mondo in cui viviamo non è moralmente indifferente ma possiede in se stesso una struttura morale. I nostri corpi in particolare hanno un profondo significato. Entriamo in contatto con gli altri attraverso i nostri corpi. Dipendiamo dagli altri a causa dei nostri corpi. I nostri corpi non sono contenitori che ci capita di abitare e animare. Essi sono in modo profondo e significativo parte integrante della nostra identità, di noi stessi. I corpi hanno punti di forza e di debolezza, alcuni certamente specifici all’individuo, ma molti condivisi da tutti gli uomini. Questo significa che i nostri corpi sono stati creati per prosperare in certi modi e non in altri.

Tutti noi comprendiamo questo in quello che potremmo definire un modo tecnico, moralmente neutrale. Non posso scalare un grattacielo, saltare giù dall’ultimo piano e sperare di cavarmela. Non sono stato creato per volare. La mia costituzione fisica pone restrizioni a ciò che posso fare e non fare.

La legge naturale è l’estensione di questa idea alla sfera morale. Così, per esempio, la dipendenza di un neonato da sua madre è naturale, come lo è l’obbligo della madre di proteggere e nutrire il figlio al meglio delle sue possibilità. Sarebbe quindi immorale per la madre abbandonare il figlio nei boschi per essere divorato dalle bestie selvagge. Se crediamo che la vita di una persona è un bene naturale, allora porre fine a quella vita per mano di un altro è una cosa sbagliata, un’azione contro natura, e pertanto l’omicidio è sbagliato.

Quando si parla di sesso e di identità, il concetto della legge naturale è un aiuto evidente. Senza voler essere troppo espliciti, i corpi maschili e femminili sono fatti per combaciare sessualmente in alcuni modi e non in altri. Il corpo di un uomo semplicemente non è fatto per combaciare sessualmente con il corpo di un altro uomo. Quasi tutti nascono con un corpo che li individua alla nascita come maschio o femmina, e per un buon motivo: quel corpo ha capacità diverse e svolge funzioni diverse. In ogni caso, possiamo affermare che la natura—o la legge naturale—indica i confini entro i quali il comportamento dell’uomo lo porterà o non lo porterà a prosperare.

Una risposta a questo potrebbe essere che il peccato dell’uomo implica che tali argomentazioni non avranno alcun valore per il resto del mondo. Il sesso tra gay aumenta il rischio di contrarre l’AIDS o il cancro? Il mondo risponderà investendo importanti somme di denaro nella ricerca medica e nello sviluppo di farmaci e terapie che eliminano o mitigano il problema. Alcune persone pensano di essere nate nel corpo sbagliato? Interventi chirurgici e cure ormonali possono rendere questa convinzione psicologica una realtà fisica. In ogni caso, l’idea è che la natura sia solo “roba”, qualcosa da superare quando ci impedisce di fare o di essere ciò che vogliamo.

Tale obiezione ha un peso. Il mondo è in ribellione contro Dio e asservito all’idea che possiamo essere tutto quello che desideriamo; perciò ogni appello a qualsiasi tipo di autorità esterna verrà probabilmente respinto con derisione o rifiuto. Ma non è per questo che sto raccomandando la riflessione sulla legge naturale e sulla teologia del corpo. Questi non sono tanto strumenti apologetici per affrontare il mondo (anche se potrebbero avere più utilità qui di quanto molti sono disposti ad ammettere) quanto elementi importanti di una strategia pedagogica persuasiva all’interno della chiesa.

Prendiamo, per esempio, un giovane cristiano che si domanda se l’omossessualità sia giusta o sbagliata. Un pastore potrebbe indicargli certi testi biblici che dicono che è sbagliata perché contraddice la volontà di Dio per lo scopo del sesso. Questo potrebbe essere sufficiente per convincere il giovane cristiano, ma temo che potrebbe continuare a farsi altre domande: Dio proibisce l’omosessualità semplicemente perché è un perfido tiranno? La proibisce solo perché non vuole che i miei amici gay siano felici? Perché ha proibito questo comportamento?

I cristiani più in là con gli anni non possono più dare per scontato che l’etica biblica abbia un senso per i cristiani più giovani perché l’immaginario sociale in cui essi vivono è molto diverso da quello nel quale molti di noi sono cresciuti. Questo significa che dobbiamo sforzarci di spiegare non solo il contenuto della moralità cristiana ma anche la sua motivazione.

Nello scenario precedente, è pertanto utile non solo indicare ciò che la Bibbia insegna in alcuni testi ma mostrare anche che questi testi hanno un senso all’interno del quadro più ampio. E questo quadro più ampio ha sia un lato biblico, dove il sesso è in funzione di quello che la Bibbia insegna sulla persona umana, sia un lato “legge naturale”, dove, per esempio, la complementarietà sessuale del corpo maschile e femminile è rilevante, come dimostra il danno provocato al corpo fisico da talune pratiche sessuali. Non che la natura ci offra l’argomentazione decisiva qui, tuttavia essa ci aiuta a mostrare che l’insegnamento biblico non è un’imposizione arbitraria sulla natura ma piuttosto è correlato ad essa. In altre parole, la natura ci aiuta a mostrare che i comandamenti divini hanno un senso dato il modo in cui il mondo di fatto è.

6. Vivere la speranza cristiana in modo realistico

Infine, la chiesa deve rispondere all’epoca attuale evitando le tentazioni della disperazione e dell’ottimismo. Cadere nella prima equivarrebbe a non prendere sul serio la promessa che la chiesa alla fine trionferà perché le porte dell’inferno non la potranno vincere. Cadere nella seconda non farebbe altro che preparare il terreno per una disperazione ancora più grande in seguito. Entrambe alimentano l’immobilismo, una per senso di impotenza, l’altra per ingenuità.

C’è un’alternativa. L’anno scorso, durante una conversazione con il mio amico Rod Dreher, giornalista e cristiano ortodosso, feci un commento sulla visione negativa di molti dei suoi scritti e lo definì un pessimista. Egli, ridendo, rifiutò l’aggettivo. “Non sono né un pessimista né un ottimista”, ha detto, “ma ho speranza”. E la speranza, naturalmente, non è ottimismo. Pollyanna era ottimista, come lo era Mr. Micawber. L’ottimismo è credere che tutto andrà bene, basta stare calmi e aspettare.

La speranza cristiana, tuttavia, è realista. Essa è consapevole che questo mondo è una valle di lacrime, che le cose non sono come dovrebbero essere e che, per usare le parole di Gerard Manley Hopkins, tutta l’esistenza cessa. Questo mondo non è la nostra casa, perciò non dovremmo aspettarci di vivere una vita comoda in esso. Questo non vuol dire che non dovremmo essere grati per le cose buone che abbiamo in questa vita. Ringrazio Dio per il fatto di vivere in un paese che gode di maggiori libertà rispetto, ad esempio, alla Cina. Ringrazio Dio perché vivo in un tempo e in un luogo in cui posso accedere a buone cure mediche, perché ho un lavoro che mi piace e perché ho una famiglia che mi ama. Prego che queste cose continuino ad esserci per me e per gli altri.

Tuttavia, sono altrettanto consapevole che il mondo è decaduto, che il Vangelo non mi promette la vita comoda e facile che attualmente godo, e che la mia chiamata (come quella di tutti i cristiani) è quella di vivere fedelmente nel tempo e nel luogo in cui Dio mi ha messo. Quando le cose in questo mondo vanno storte o quando devo affrontare dei cambiamenti che fanno soffrire me, i miei cari o la società in generale, non devo disperare, ma devo lavorare al meglio delle mie capacità per porvi rimedio, e devo anche ricordare che il vero significato della mia vita (e delle vite degli altri) non si trova in questa vita ma in quella futura. La sofferenza del tempo presente a volte può essere terribile, persino insopportabile, ma non è mai priva di significato. Essa trova il suo significato nella vita, morte, risurrezione, ascensione e ritorno del Signore Gesù Cristo.

Il mondo in cui viviamo sembra stia per entrare in una nuova era, caotica, sconosciuta e buia. Ma non dobbiamo disperare. Dobbiamo prepararci, essere informati, conoscere ciò in cui crediamo e perché vi crediamo; adorare Dio in modo da diventare veri discepoli e pellegrini, intellettualmente e intuitivamente; e avere sempre davanti agli occhi le promesse certe che il Signore ci ha fatto e confermato in Gesù Cristo.

Questo non è un tempo per farsi prendere dalla disperazione o lasciarsi andare a un ingenuo ottimismo. Facciamo lamento per i danni provocati dalla caduta che si manifestano nei modi peculiari che la nostra generazione ha scelto, ma facciamo in modo che tale lamento sia il contesto per rafforzare la nostra identità di popolo di Dio e la nostra fame per il grande compimento che ci attende alle nozze dell’Agnello.


Carl Trueman (PhD, University of Aberdeen) è professore di studi biblici e religiosi presso il Grove City College a Grove City, Pennsylvania. Ha scritto più di dieci libri, tra cui Histories and Fallacies: Problems Faced in the Writing of History, Luther on the Christian Life, The Creedal Imperative, e The Rise and Triumph of the Modern Self: Cultural Amnesia, Expressive Individualism, and the Road to Sexual Revolution.

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