Ogni cristiano è un missionario?

“Missionario” è un termine che si sente e si usa frequentemente. Ma se chiedi a un cristiano di descrivere chi è e che cosa fa un missionario, otterrai una risposta diversa ogni volta, il che inevitabilmente genera confusione.

La tua amica che sta andando ad Haiti per lavorare in un orfanotrofio per una settimana può definirsi una missionaria? Cosa dire del cristiano dall’India che fa l’autista per Uber ed è un evangelista attivo a San Francisco? O degli americani che formano pastori in Sudafrica? A complicare le cose, ci sono quelli che sostengono che ogni cristiano è un missionario.

Pur essendo vero che ogni cristiano ha un ruolo da svolgere nella missione di Cristo, non credo sia utile chiamare tutti noi missionari. Ma se non tutti sono dei missionari, chi stabilisce chi lo è?

“Mandati”

La parola italiana “missionario” deriva dal latino missio, che significa “mandare” e corrispondere alla parola greca apostello. La parola greca correlata apostolos ci dà l’italiano “apostolo” e descrive una persona che viene mandata per un compito o una missione specifica. Essere un missionario vuol dire perciò essere un apostolo, uno che è stato “mandato”.

Questa semplice definizione può tuttavia generare confusione. La maggior parte dei cristiani riconosce che i 12 apostoli possiedono un’autorità unica per il fatto di essere le fondamenta della chiesa (Efesini 2:20). Tuttavia, quando leggiamo il Nuovo Testamento, la parola apostolo viene applicata ad individui fuori della cerchia dei Dodici.

In particolare, Paolo si definisce un apostolo benché non fosse tra i primi discepoli di Gesù. Molti altri hanno ricevuto tale designazione, tra cui Barnaba (Atti 14:14) e a quanto pare Sila (1 Tess. 1:1; 2:6–7), Giacomo, il fratello di Gesù (Galati 1:19) e probabilmente Apollo (1 Cor. 4:6–10), forse pure Andronico e Giunia (Romani 16:7).

Un esempio utile è Epafrodito. Paolo lo riconosce come “messaggero” (apostolos) della chiesa di Filippi che ha provveduto ai suoi bisogni e ha rischiato la sua vita per l’opera di Cristo (Filippesi 2:25, 30). Quando le chiese fondate da Paolo inviarono aiuti ai credenti poveri di Gerusalemme, esse scelsero dei “messaggeri” (apostoloi) affinché andassero in loro vece e incoraggiassero i credenti (2 Cor. 8:19–23).

Da questi riferimenti, possiamo notare che nel Nuovo Testamento il termine “apostolo” può essere usato per indicare le persone scelte e mandate dalla chiesa con la responsabilità specifica di adempiere la missione di Cristo.

Non tutti i cristiani sono dei missionari

Quando qualcuno afferma che “ogni cristiano è un missionario” lo fa basandosi sul presupposto che il Grande Mandato è stato affidato a tutti i credenti (Matteo 28:18–20). Benché Gesù abbia conferito ai Dodici un’autorità speciale, molti credono che tutti i cristiani sono mandati allo stesso modo (Giovanni 20:21). In altre parole, ogni discepolo di Cristo è una persona chiamata a fare discepoli. E su questo sono d’accordo.

Tuttavia, come qualcuno ha osservato, quando tutti sono dei missionari, nessuno lo è veramente. Si consideri questa analogia. Sappiamo che tutti i cristiani sono chiamati a servire, ma questo non significa che siamo tutti diaconi (“servitori” in greco), coloro che sono stati riconosciuti e designati dalla chiesa per servire in modo ufficiale. Lo stesso è vero per i missionari. Non tutti dovrebbero portare il titolo di coloro che sono stati messi da parte dalla chiesa e mandati in missione.

La chiave sta nel capire la responsabilità della chiesa locale. Essere “mandato” denota di per sé passività. I missionari non si mandano da soli, così come nessuno si autoproclama ambasciatore di una nazione. Chiamare e mandare servitori di Cristo tra le nazioni è piuttosto una responsabilità peculiare della chiesa locale (Atti 13:1–3), mentre i missionari hanno la responsabilità di mantenere dei rapporti continuativi di rendicontazione con la chiesa che li ha mandati (Atti 14:26–28).

Tentare una definizione

Sulla base di queste osservazioni, propongo la seguente definizione di missionario: Un missionario è un cristiano qualificato mandato sotto l’autorità di una chiesa locale in un territorio dove c’è un bisogno riconosciuto allo scopo di compiere l’opera del Grande Mandato.

Un missionario non è tale semplicemente in virtù di quello che fa o dove va, ma a causa di come e da chi viene mandato. Un credente normale non è un missionario solo perché evangelizza e pratica il discepolato nella sua comunità, e un uomo d’affari cristiano non è un missionario solo perché divide il suo tempo tra Berlino e Pechino. Attività e luogo da soli non fanno un missionario.

Piuttosto, si è un missionario quando si è mandati da una chiesa locale. Per questo, un uomo d’affari, un volontario a breve termine o un autista può essere un missionario. Il termine è flessibile, non richiedendo una particolare occupazione o durata e nemmeno uno specifico modello di sostentamento.

Essere un missionario presuppone il fatto di essere stati investiti con l’autorità della chiesa per portare avanti il Grande Mandato. Dagli esempi dei primi apostoli, sappiamo che quest’opera consiste nello stabilire chiese locali mediante l’evangelizzazione, il discepolato e la formazione dei leader. Se il nostro lavoro non contribuisce a svolgere questa missione—anche in un ruolo di supporto come quello di Epafrodito—allora non possiamo essere giustamente definiti missionari.

Infine, quest’opera dovrebbe essere effettuata in un luogo dove vi è un bisogno riconosciuto. Questo bisogno può essere vicino o lontano. A mio parere, non dovremmo attribuire il titolo di missionario solo a chi sta imparando una nuova lingua e raggiungendo una etnia che non ha mai sentito parlare di Cristo. Adottando questi criteri, Paolo e altri non potrebbero essere considerati dei missionari. Piuttosto, è preferibile tenere conto dei vari bisogni che richiedono di inviare operai in una certa zona. Questo potrebbe includere tutto, dall’evangelizzazione pionieristica al consolidamento della chiesa alla formazione dei leader.

Chi chiama?

La definizione da me proposta al tempo stesso allarga e restringe il campo dei credenti ai quali si può attribuire lo status di missionario. Ciò significa che probabilmente un dentista che fa semplicemente igiene dentale o un volontario che scava solo pozzi non vanno considerati dei missionari. Significa anche che un consulente finanziario mandato per essere un testimone di Cristo in una metropoli cosmopolita o un servitore a breve termine mandato per formare i pastori locali possono essere riconosciuti come missionari.

Tuttavia, l'obiettivo che mi pongo in questo articolo non è quello di valutare ogni possibile ministero e decidere se si può attribuirgli la qualifica di missione. Non intendo nemmeno analizzare le varie concezioni di chi dovrebbe essere considerato un missionario. Piuttosto, voglio semplicemente offrire una definizione che ritengo possa fare maggiore chiarezza su un soggetto che spesso porta alla confusione.

In sostanza, sto suggerendo che non sta a noi individui stabilire chi è o chi non è un missionario. Piuttosto, questa chiamata appartiene alla chiesa locale. Ciò permette di rispondere alla domanda “Chi è un missionario?” con più facilità ma anche con maggiore difficoltà. Per chi guida una chiesa, questo certamente comporta una grande responsabilità.


Elliot Clark (MDiv, The Southern Baptist Theological Seminary) ha servito il Signore in Asia Centrale come fondatore di chiese interculturali insieme a sua moglie e ai loro figli. Ora viaggia in giro per il mondo per equipaggiare i leader di chiesa e sostenere i missionari. È l’autore di Evangelism as Exiles: Life on Mission as Strangers in Our Own Land (TGC, 2019) e Mission Affirmed: Recovering the Missionary Motivation of Paul (Crossway, 2022).

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