Navigare su uno schermo da sole

Per qualche motivo ho iniziato a seguire tutta una serie di persone che frequentavano la mia scuola di cui non ero nemmeno amica. La paura di perdermi qualcosa (FOMO, fear of missing out, una forma di ansia sociale) è iniziata così. Mi dicevo: ‘Sto sprecando il mio anno al college? Perché tutti gli altri studenti vivono il loro anno da matricole meglio di me e sfruttano meglio di me il primo anno di università con il COVID?’ Un altro campanello di allarme è stato quando ho iniziato ad avere paura di perdermi qualcosa e ad essere gelosa di alcune amiche che frequentavano altre scuole e che si stavano divertendo più di me”.

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“Mi stavo rendendo conto che quello che facevo durante la giornata non era quello che volevo fare. Volevo fare cose che apparissero interessanti una volta postate. Così più di una volta mi sono detta: ‘Farò questa escursione perché c’è uno splendido panorama—non perché volessi godere la maestosità della creazione, ma perché volevo che le foto apparissero bene sul mio profilo Instagram e volevo passare per una persona che ama la natura, bella e in salute’. Decidevo dove andare a mangiare in base a quale cibo si sarebbe adattato meglio al mio profilo. Oppure andavo in spiaggia, ma non per godermi la spiaggia ma perché volevo fare dei post di me sulla spiaggia”.

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“Mi piaceva l’attenzione che ricevevo. Voglio dire, mi piaceva connettermi con i miei amici su quel social media. Ma sembrava anche uno strano sfogo dal punto di vista emotivo. . . . Non era come il mio diario nella sua forma più completa, dove esprimevo tutti i miei sentimenti. Ma attirava sicuramente l’attenzione. Era come dire ‘Morgan Kendrick si sente triste’ o una spinta emotiva di questo genere per interagire con altre persone. Era un modo per formare la propria personalità”.

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Nell’ultimo anno, ho lavorato ad un libro sul rapporto tra i social media e le donne. Ho dato ascolto ad alcune gravi perplessità e ho svolto ricerche su alcune statistiche preoccupanti; ho riflettuto su quanto i social media siano stati problematici nella mia vita. 

Ma è stato solo quando ho iniziato a lavorare su questo podcast e a parlare con queste ragazze che ho realizzato che c’è qualcosa di seriamente sbagliato qui.

Il fatto è questo. Queste tre giovani donne sono tutte veramente brillanti. Hanno frequentato, o stanno ancora frequentando, l’Università della California, Berkeley, dove il tasso di accettazione è inferiore al 15 per cento. Tutte amano il Signore e camminano con lui sin da piccole. I loro genitori sono dei cristiani seriamente preoccupati dei social media che hanno stabilito ogni genere di restrizione. Hanno aspettato che le loro figlie diventassero più grandi prima di permettergli di avere un account sui social, e hanno consentito l’uso dei social media esclusivamente da un computer desktop in uno spazio abitativo condiviso, limitando l’uso della fotocamera del telefono, controllando i messaggi di testo e i post su Instagram. Se dovessimo fare un elenco di tutte le cose che si possono fare per aiutare gli adolescenti a gestire i social media, questi genitori spunterebbero ogni casella.

Eppure, nonostante tutti questi paletti, avete sentito come queste ragazze ora sono invischiate nelle aspettative e nei paragoni generati dai social media. Le loro vite sono formate (e deformate) dalle loro vite online.

Questa cosa è importante perché nell’Aprile di quest’anno, la rivista Atlantic ha riferito che “gli Stati Uniti stanno vivendo una grave crisi di salute mentale da parte degli adolescenti”. Nel 2009, circa un quarto degli studenti liceali americani riferiva di provare perduranti sentimenti di tristezza o disperazione. L’anno scorso, erano il 44 per cento, il livello più alto di tristezza adolescenziale mai registrato. 

Per le ragazze, il tasso è salito al 57 per cento. Ciò significa che quasi sei ragazze adolescenti su dieci si sentono costantemente tristi o disperate. Durante la pandemia, più di una ragazza su quattro ha seriamente preso in considerazione il suicidio. 

L’autore dell’articolo indicava il colpevole più ovvio: Se mettiamo un adolescente del 2009 accanto a un adolescente del 2022, qual è la differenza più palese tra i due? Una di esse è il telefono. 

Sono dati allarmanti su cui riflettere, specialmente se sei una ragazza adolescente (o ne conosci una). 

Ma il fatto è questo: Noi confidiamo nella sovranità di Dio su ogni piattaforma dei social media. Inoltre, sappiamo che se vogliamo raggiungere le giovani donne con il Vangelo, e se vogliamo discepolarle per conoscere meglio Gesù e amarlo più profondamente, allora dobbiamo conoscere il modo in cui i social media le stanno plasmando. 

Onestamente, abbiamo bisogno di conoscere come i social media stanno plasmando tutti noi.

I primi anni

“Era il 2005. Ricordo che Facebook aveva appena aperto agli indirizzi email dei college”, ha raccontato Laura Wifler, cofondatrice di Risen Motherhood. “Era una cosa enorme, una cosa che tutti attendevamo. Prima dell’avvento di Facebook, c’era solo la posta elettronica o Messenger. Ma questo sembrava un mondo totalmente diverso, dove potevi aggiungere foto, dire quale scuola frequentavi e pubblicare informazioni su di te. Tutti erano davvero entusiasti di essere su Facebook, ed era come se non si fosse ufficialmente amici finché non si era amici su Facebook. Andava decisamente di moda”.

Quando Laura effettuò per la prima volta l’accesso su Facebook come matricola al college, solo il 5 per cento degli americani usava i social media, principalmente su piattaforme come Friendster e MySpace. Quando si laureò tre anni e mezzo dopo, quasi l’80 per cento dei giovani era sui social media, quasi tutti su Facebook.

Laura lo usava per guardare i profili dei ragazzi che le piacevano.

“Ricordo che mi piacevano le foto di un ragazzo, e che andavo a vedere tutte le sue foto e con chi stava uscendo”, ha detto. “Ho scoperto a quale corso di laurea era iscritto. È questo che si faceva. Andavi su Facebook e vedevi quali amici avevi in comune. Volevi capire se il ragazzo che ti interessava era coinvolto nel tuo stesso club cristiano, perché se faceva parte di un club cristiano potevi sposarlo”.

Dato che l’iPhone non era ancora stato inventato, Laura si collegava a Facebook dal suo computer portatile nella sua stanza del dormitorio della scuola. In quegli anni, trascorreva ancora la maggior parte del suo tempo libero uscendo con le amiche, guardando film al cinema o lavorando nella caffetteria. Andava a fare shopping in un centro commerciale, andava in giro a divertirsi e praticava sport. Andava in chiesa, alle feste e alle partite di football. Mentre faceva queste cose, raramente scattava fotografie e non guardava mai il suo telefono (che non era uno smartphone). 

Gli amici di Laura su Facebook erano studenti del campus che lei conosceva nella vita reale. A quei tempi non c’erano i news feed, quindi se volevi sapere cosa stavano facendo i tuoi amici, dovevi cliccare sulla loro pagina. Quando avevi finito di controllare i profili delle persone, ti annoiavi e ti disconnettevi. 

I social media erano un’aggiunta alla vita di Laura, e a quella di tutti. La quantità di tempo che le persone trascorrevano su Facebook era così ridotta che i ricercatori nemmeno si disturbavano di monitorarla.

“Era ingenuo, ma sembrava veramente sicuro, quasi innocente e caloroso”, ha detto Laura. “E noi tutti pensavamo: Cosa potrebbe andare storto?”

Il news feed

“Nella storia di Facebook, il lancio del news feed è una delle mie storie preferite”, ha dichiarato Mark Zuckerberg. “Intendo dire come è stato inventato e lanciato. E, naturalmente, il periodo piuttosto folle che ne è seguito”.

“L’idea era quella di aggiornare la homepage e permettere alle persone di vedere facilmente le attività dei loro amici”, ha detto Chris Cox, responsabile del prodotto di Facebook. “Eravamo veramente entusiasti di questa cosa. Ci siamo preparati per lanciarla, l’abbiamo fatto e abbiamo aspettato che arrivassero le prime reazioni. Questo succedeva nel settembre del 2006”.

A mezzanotte, lo staff di Facebook rilasciò una nuova funzionalità che metteva insieme le informazioni sugli amici di un utente—chi ha postato una foto, chi ha cambiato il suo status sentimentale, chi è stato ad una festa—a cui veniva data la priorità in una lista in costante aggiornamento. I dipendenti di Facebook si congratularono per aver reso la loro piattaforma molto più interessante. Poi andarono a letto.

“Le reazioni furono davvero negative”, ha detto Cox. “La sicurezza ci avvisò che era in corso una protesta davanti al nostro ufficio e che avremmo dovuto uscire dal retro”.

Mostrare a tutti le tue foto o il tuo status sentimentale veniva avvertito come una violazione della privacy. Guardare i fatti degli altri ti faceva sentire come se tu li stessi pedinando. Qualcuno creò un gruppo su Facebook che si opponeva al feed a cui aderì un milione di persone. 

Mark Zuckerberg si scusò pubblicamente per aver lanciato il news feed senza alcuna spiegazione, ma non lo abbandonò.

“Il mattino dopo, passammo un sacco di tempo a modificare il prodotto per comunicare meglio come tutto funzionasse esattamente”, ha detto Cox. “La gente imparò ad usarlo, e lo usò tantissimo. E gli piaceva”.

Le stesse persone che avevano protestato stavano usando Facebook il doppio di prima. Anche se il news feed le faceva sentire voyeuristiche, non potevano smettere di guardare.

Il news feed fu un punto di svolta. Da allora è sempre stato presente nelle piattaforme dei social media. Ha cambiato l’esperienza sui social in due modi importanti. Primo, ha ridotto lo sforzo richiesto per farsi intrattenere. Invece di cliccare su pagine diverse, dovevi solamente scorrere o aggiornare la pagina. Era molto più facile trascorrere molto più tempo a navigare tra i contenuti. 

Secondo, ha cambiato la natura degli aggiornamenti. Prima, postavi solo per quei pochi amici che si prendevano la briga di venire a cercarti. Ora, creavi un post per tutte le persone che avevano accettato la tua amicizia. Dovevi stare molto più attento a quello che dicevi, alle immagini che sceglievi e a come ti presentavi. 

Non era tutto negativo.

“Uno dei lati positivi dei social media era che se qualcuno doveva parlare e condividere la sua testimonianza in una riunione, avrebbe potuto annunciarlo sui social media”, ha detto Malisa Ellis, che lavora per Cru a Boston. “Poi tutte le sue consorelle o la sua squadra di atletica venivano a vederlo. E quindi avrebbe ricevuto tutti questi commenti positivi. Questo offriva notevoli benefici, perché una cosa che facilmente veniva tenuta privata—la fede—improvvisamente avevano l’opportunità di dichiararla, e ricevere qualche complimento dopo”.

Un problema in espansione

Malisa vide l’influenza del news feed espandersi esponenzialmente attorno al 2007, quando uscì l’iPhone.

“I social media erano meno legati al computer portatile”, ha detto. “Hanno subito un’accelerazione perché all’improvviso eri sempre connesso, indipendentemente da dove ti trovavi. C’era il Wi-Fi gratuito ovunque. Ed è iniziata a crescere notevolmente la quantità di tempo che le persone trascorreva online. Dopodiché ho iniziato a notare che i paragoni sono iniziati a crescere, specialmente tra le donne. Non che non si facessero paragoni con altre modalità, ma ora la cosa grave era che le ragazze non riuscivano più a fare a meno di fare paragoni —in camera da letto, nei loro appartamenti e persino in classe, il paragone era sempre in agguato. Era sempre accessibile”.

Nel 2010, un americano adulto su cinque aveva uno smartphone; oggi, più di quattro su cinque ne possiede uno. Conseguentemente, la quantità di tempo trascorsa sui social media è cresciuta. Oggi l’utente medio globale è sui social per ben oltre due ore al giorno. L’adolescente medio per più di cinque ore

Scommetto che avete visto persone farlo—alla fermata dell’autobus, al ristorante o al cinema, facendo acquisti nei negozi, facendo benzina o camminando per strada. La nostra postura è letteralmente cambiata da spalle indietro e occhi in alto a spalle curve, ingobbiti sui nostri dispositivi. L’istruttore di Pilates di una mia amica fa lavorare gli allievi del suo corso sui muscoli laterali per combattere le ore che trascorrono gobbi sui loro schermi. 

È impossibile identificare o misurare tutti i modi in cui i social hanno cambiato la nostra società, ma si correla abbastanza bene con il tasso crescente di depressione e ansia.

Anzi no. 

In realtà, corrisponde al tasso crescente di depressione e pensieri suicidi dei minori di 25 anni. 

Anzi no. 

In realtà, corrisponde esattamente al tasso crescente di ansia, depressione e autolesionismo nelle donne sotto i 25 anni.

Cresciuta con limiti imposti dai genitori

“Il mio primo social media è stato Instagram”, Kaylee Morgan mi ha detto. “Ho aperto il mio account alla fine della terza superiore. Avevo 17 anni”.

Kaylee è cresciuta in California, a quasi un’ora da Berkeley, dove ora va al college. Suo padre era uno dei pastori di New Life Church, dove Kaylee confessò la sua fede in Cristo e fu battezzata quando aveva circa nove anni. 

I genitori di Kaylee sono stati intenzionali nell’educarla. Sua madre è rimasta a casa con lei e il fratello più piccolo fino a quando Kaylee è andata alle medie, allorché sua madre tornò a lavorare come fisioterapista. I suoi genitori hanno adottato un approccio prudente con la tecnologia. Kaylee non ebbe un telefono fino a quando non fu costretta ad andare in un’altra città per frequentare il liceo, e perfino allora non ebbe il permesso di usare la fotocamera del telefono. I suoi genitori le dissero chiaramente che potevano accedere ai suoi messaggi di testo. Non le fu permesso di avere nessun account sui social media fino al primo anno delle superiori.

“Mi sentivo esclusa, forse un po’ indietro rispetto agli altri”, ha detto. “Ogni volta che ero in macchina con degli amici che avevano Instagram, dicevo: ‘Dovete lasciarmi scorrere i vostri feed con voi così posso vedere quello che stanno facendo gli altri’. Era una cosa che un po’ mi faceva impazzire, ma negli ultimi anni delle medie me ne feci una ragione”.

Ad aiutarla a farsene una ragione fu il fatto che verso la fine della scuola media le fu permesso di iscriversi ai social media, cosa che lei fece. Il primo social media che scelse fu Instagram, la scelta più popolare—e, sfortunatamente anche la più pericolosa —che avrebbe potuto fare. 

Instagram: bello e pericoloso  

Devo confessare che quando ho iniziato a condurre le mie ricerche sui social media, non mi aspettavo che Instagram facesse la parte del cattivo. Molte delle mie amiche sono emigrate lì da Facebook e Twitter, specialmente dopo le spaccature in campo politico degli ultimi anni. Instagram sembra essere la sorella più gentile e carina di Facebook e Twitter.

E mamma mia, per essere carina è carina—soprattutto perché è una piattaforma che è stata progettata intorno alle immagini. Lanciata nel 2010, dopo l’uscita dell’iPhone, Instagram è stato il primo social in cui potevi caricare foto scattate con il tuo telefono in modo facile e veloce. Poi potevi modificarle e aggiungere filtri per rendere le tue immagini ancora migliori, e poi condividerle con i tuoi follower. 

Il che ci porta al secondo motivo che spiega l’incredibile fascino di Instagram: i soldi. 

Da anni i pubblicitari sanno che il cervello umano elabora le immagini molto più velocemente di un testo. Puoi riconoscere il logo della Apple con la mela morsicata a metà o lo swoosh della Nike in un decimo di secondo. Le foto, inoltre, hanno la funzione di colpire le nostre emozioni—preferiresti giocare con un cagnolino che ti ho mostrato che con uno di cui ti ho solo parlato. E restano impresse nella nostra memoria molto di più delle parole. Un post con immagini ottiene il 40 per cento in più di condivisioni rispetto a un post senza immagini. 

Se tu fossi stato un pubblicitario alla ricerca di un modo per vendere le T-shirt di Billie Eilish, Instagram ti offriva un modo nuovo e molto più efficace per raggiungere i potenziali clienti. Bastava pagare una ragazza carina perché indossi la tua maglietta, dire qualcosa su quanto sia comoda, e mettere un link al tuo negozio. 

Al giorno d’oggi, essere su Instagram è un mix tra stare al passo con i tuoi amici e leggere le pubblicità in una rivista. Ogni selfie o foto di gruppo viene attentamente scelta e modificata. Il lavoro che un tempo si faceva per correggere le foto di copertina della rivista Seventeen ora può essere fatto da una persona qualunque della tua scuola.

Da aspirazione a paragone

“[La scorsa settimana] ho scaricato la app di un nuovo social media che secondo me avrà un grande successo”, ha detto Kaylee. “Si chiama Be Real. Ti manda una notifica una volta al giorno, a un orario casuale. Entro due minuti devi farti un selfie, e scatta una foto con te di fronte e viceversa. La posti, e una volta postata puoi vedere quello che tutti i tuoi amici hanno postato. La cosa carina di questa app è che è molto schietta—ricevi la notifica mentre stai andando a piedi alla lezione. Così ti fai la foto mentre stai andando alla lezione. Sembra molto più reale”.

Capisco perché a Kaylee piaccia questa app, ma non sono altrettanto ottimista sul suo futuro, principalmente perché, sfortunatamente, la vita reale è noiosa. Se dovessi fotografare le cose che faccio su base giornaliera—dormire, mangiare, lavorare, andare in giro in auto—ti annoieresti a morte. 

Una delle cose che attira di Instagram è la sua capacità di suscitare aspirazioni. Fa vedere la vita come immaginiamo potrebbe essere—la migliore versione possibile di noi stessi mentre facciamo le cose più interessanti e divertenti che si possano fare. 

Naturalmente, questo è anche uno dei pericoli di Instagram.

“La gente si fa queste foto istantanee”, ha detto Kaylee, “mettiamo che sia la foto perfetta di quanto si stanno divertendo a Disneyland. La vedi, e nella tua mente ti dici che hanno fatto un viaggio perfetto, che la foto è carinissima perché sembravo stare così bene con tutti i loro amici, sono sorridenti e hanno le orecchie di Topolino. 

“[Poi] ti capita di andare a Disneyland il mese dopo, e scatti alcune foto carine. Ma pensi anche: Un momento, ho passato sei ore a fare la fila, i miei piedi mi hanno fatto male per tutto il tempo e faceva caldissimo. Ero tutto sudato. E pensi: Caspita, il loro viaggio deve essere stato molto meglio del mio”. 

Kaylee ha puntato il dito proprio su quello che Malisa Ellis vedeva nelle sue compagne di college: i paragoni. 

Il loro viaggio deve essere stato decisamente migliore del mio. La loro famiglia deve essere molto più unita della mia. I loro amici devono essere molto più divertenti dei miei.    I loro corsi di laurea devono essere molto più interessanti del mio. I loro tirocini devono essere molto più utili del mio. 

I loro corpi, i loro capelli, i loro vestiti, i loro ragazzi, i loro programmi per l’estate—ogni cosa su Instagram sembra così bella. È così che è stato costruito Instagram, ed è per questo che ci piace. 

Gioca esattamente sul modo in cui Dio ci ha progettati (specialmente noi donne): per influenzarci a vicenda. 

La verità è questa: la nostra capacità di vedere l’eccellenza e desiderare di cambiare—essere migliori, fare meglio—non è una cosa negativa. È il modo in cui Dio ci ha fatti, Jen Wilkin ha scritto nel nuovo libro di TGC, Social Sanity in an Insta World. Siamo fatti per essere rimodellati dalla Bibbia, dallo Spirito Santo e dal corpo locale di credenti per essere sempre più simili a Cristo. Le donne più anziane dovrebbero insegnare a quelle più giovani. Gli amici dovrebbero esortarsi gli uni gli altri a fare il bene. Non è sbagliato guardarci intorno, allinearci ad uno standard esterno e verificare se siamo dove dovremmo essere. 

La cosa importante, naturalmente, è lo standard che usiamo. Se guardiamo a Gesù, abbiamo sia un esempio perfetto che il potere dello Spirito Santo per aiutarci a imitarlo. Se guardiamo alle foto curate di qualcun altro, guardiamo ad una perfezione immaginaria e non abbiamo alcun modo di esserne all’altezza. 

Le ricerche dimostrano che tra tutte le piattaforme, Instagram è la peggiore in questo. Sono quelle immagini ad attirare le nostre emozioni e a restare impresse nelle nostre menti.

“Il mio corpo è qualcosa che Dio ha creato intenzionalmente per un motivo”, ha detto Kaylee. “Egli lo guarda e dice: ‘Mi piace’. Con i social media, per me era veramente difficile poter dire: scelgo di credere a quello che dice Dio’, specialmente quando guardi a tutte quelle persone che sono diventate la norma sociale della perfezione”.

Non stupisce che l’uso di Instagram sia associato alla comparsa di disturbi alimentari e ansia, specialmente tra ragazze in età puberale o ragazze che dovrebbero essere nella loro età più attraente fisicamente. Non stupisce che una ragazza che si sente a disagio con il suo corpo su tre si senta peggio dopo essere stata su Instagram. E non c’è da stupirsi se le adolescenti che usano i social media più di cinque ore al giorno hanno il doppio delle probabilità di essere depresse rispetto a quelle che non lo usano—il tasso di depressione, per inciso, inizia a salire dopo una sola ora di uso.

Farsi un brand

In un certo senso, stiamo facendo questo a noi stesse. Nello stesso momento in cui consumi gli splendidi contenuti di altre donne, crei anche il tuo.

“Non è necessariamente sempre insicurezza sul proprio aspetto”, ha detto la neolaureata Morgan Kendrick. “Può essere insicurezza dovuta al fatto di non sapere se sei vista come una persona interessante. Quando andavo al college, viaggiavo molto . . . e avvertivo la pressione a immortalare le cose che vedevo, e a presentarle poi in modo tale da farmi passare per la viaggiatrice planetaria che fa tutte queste esperienze diverse”.

Morgan ora lavora a Berkeley come membro dello staff di Reformed University Fellowship. Ha 25 anni, e il suo brand è quello della curiosa viaggiatrice internazionale. Ma ha avuto problemi tra un viaggio e l’altro, perché cosa avrebbe postato nel frattempo?

“Una volta preso piede i normali ritmi della vita, mi sono detta: non c’è niente che sia all’altezza, niente che valga veramente la pena postare”, ha detto. “Perciò dovevo fare qualcosa di interessante per alimentare i social . . . qualcosa di interessante o divertente, come andare al museo. . . . E se non vado da nessuna parte, come minimo devo leggere le cose giuste. E poi avere le opinioni giuste in base alle cose che sto assorbendo".

Come Morgan, molte ragazze sono in grado di esprimere il loro brand—la ragazza ambientalista che va a raccogliere le mele, la ragazzina dalle battutine sarcastiche che va al campo estivo di matematica o alla scuola di specializzazione, la ragazza in forma amante della natura che va a correre e a pattinare, la ragazza cristiana che fa viaggi missionari e posta versetti biblici.

Nessuna di queste cose è sbagliata, ma sono limitanti. L’identità che creiamo per noi stesse non è mai così di ampio raggio o complessa come quella per la quale Dio ci ha create. 

Ciò significa che, come Morgan ha spiegato, può essere difficile continuare a scrivere dei post in linea con il proprio brand. 

Ma se crei il brand giusto—se crei una personalità che piace alle persone e ottieni follower—potresti diventare una influencer.

Chi sta influenzando chi?

“Suona bene, vero?” ha detto Morgan. “Ricevi cose gratis. Fai esperienze nuove, e non devi fare altro che documentarle. Sembra fantastico. C’è questa atmosfera particolare per cui ti dici: voglio farcela. Il solo fatto di essere riconosciuta in questo modo ti fa sentire molto potente, e ti dà anche la conferma di ciò di cui volevi conferma: Sono una persona interessante? Sono divertente? Sono forte?”

In sostanza, piaccio alla gente? Vogliono essere come me? Vogliono essere me? 

C’è un confine qui, tra il voler influenzare le persone in bene e il voler essere la diva che tutti cercano di emulare. Se riesci a fissare il tuo sguardo su Gesù, e se la tua identità è radicata in lui e la sua gloria è il tuo unico obiettivo, allora puoi essere libera di postare, completamente priva di ansia, indipendentemente dai “mi piace”. 

Ma se stai cercando di ottenere l’approvazione degli altri, ti ritroverai nei guai fino al collo. 

“La mia percezione di quello che gli altri pensano di me è l’elefante nella stanza”, ha detto Morgan. “Che cosa pensano gli altri di me? E chi penso di essere io sulla base di quello che gli altri pensano di me? Poi farò un post basandomi su questo. Perciò sì, direi che è difficile”.

Aspetta un attimo, chi sta influenzando chi qui? L’influencer non dovrebbe essere quello con il potere? 

Amiche, lei non ha il potere. Il potere sta tutto nei “mi piace”, nei “segue” e nelle ricondivisioni. Se perdi queste cose, perdi tutto, quindi non sei interessante, né divertente né forte. Sei solo una ragazza con un post che ha fatto fiasco, con i piatti rimasti sul tavolo e compiti per casa ancora da fare.

Tornare indietro

“La mia migliore amica al college iniziò a sentirsi frustrata da tutto questo meccanismo”, ha detto Morgan. “Così iniziò a pubblicare post che voleva fossero onesti e diretti, non solo rose e fiori, o in cui tutto è curato e perfetto. Arrivò al punto in cui sentiva di avere i postumi da sbronza di vulnerabilità . . . . Avvertiva un senso di disgusto mentre pensava: Ho appena rivelato questa cosa veramente vulnerabile alla mia amica delle medie con cui non parlo da 10 anni”.

A questo punto mi viene da pensare: Cos’è successo ai social media come modo divertente di connetterti con i tuoi compagni di squadra, con gli amici della chiesa o con le tue consorelle? Questo modo di usare i social non sembra divertente. Infatti, non c’è più nemmeno la soddisfazione di fare una bella chiacchierata con un'amica intima, in cui si finisce entrambe a piangere ma alla fine si è più legate di prima. Che cosa sta succedendo?

“Penso che l’isolamento sia dovuto al fatto che le persone non sono più costrette a incontrarsi faccia a faccia”, ha detto Malisa. “Possono comunicare con gli altri senza essere veramente conosciute perché non hanno mai fatto le domande difficili, né hanno mai avuto una conversazione profonda. Per questo vedo sempre più studentesse universitarie sperimentare la solitudine. Questa non è una novità, ma una cosa che si vedeva già da qualche anno. Ma ora il tasso di solitudine, ansia e panico è alle stelle”.

Questa è un’ansia che può seguirti dappertutto: in classe, al lavoro, in auto, in camera da letto. 

“Sono le 14:00 di un sabato qualunque, e sei a letto a scorrere su Instagram”, ha detto Kaylee. “Vedi persone mettere la loro storia: ‘Brunch per ragazze!’ e fare un piccolo brunch insieme. Subito ti dici: Loro sono fuori per un brunch, mentre io sono sul mio letto a scorrere le pagine di Instagram sul telefono. 

“Forse avevo bisogno di riposare quel giorno, ma all’improvviso mi dico: Sto sprecando il mio sabato? Sto sprecando il mio tempo? Ho ancora delle amiche che uscirebbero con me per fare un brunch? . . . Direi che è una grande difficoltà con cui lotto. Immagino che lo sia per molte altre . . . . Non penso che come esseri umani abbiamo il bisogno di sapere quello che gli altri fanno ogni secondo della giornata. I social media sembrano essere in contrasto con il modo in cui dovremmo essere, o con il modo in cui siamo fatti come esseri umani”.

Per me ha senso. Ho sentito lo stesso dibattito nei mezzi di informazione: non abbiamo la capacità di assorbire, elaborare e reagire a tutti i drammi che accadono in tutto il mondo in continuazione. Non siamo Dio. Siamo limitati. 

Il consiglio che ho sentito dare (forse l’avrai sentito anche tu) è di limitare il consumo di notizie. Smetti di sovraccaricarti. Smetti di controllare continuamente i siti di notizie. Vivi all’interno dei tuoi limiti.

Potremmo applicare la stessa logica ai social media: non potremmo semplicemente limitare il tempo che trascorriamo lì?

Combattere la dipendenza

“Non so se conosco qualcuno della mia età il cui telefono non è la prima cosa che guarda al mattino e l’ultima cosa che guarda prima di andare a letto”, Morgan mi ha detto.

Ci sono delle ragioni per questo. Una è la luce blu dello schermo, che rende più difficile per i nostri cervelli—specialmente quelli degli adolescenti—avvertire il sonno. 

Un’altra è che i social media fanno soldi con la pubblicità, il che significa che più stai lì, più soldi fanno. Ecco perché tutti usano un news feed a scorrimento o un pulsante “mi piace” o “ricondividi”. Queste dosi casuali di informazione o affermazione inviano una scarica di piacere nel cervello umano. Questo ci piace, così torniamo per averne ancora. Quando le scariche sono casuali—non siamo sicuri di quante persone hanno messo “mi piace” al nostro post—il desiderio di controllare è ancora più forte. 

Dopo un po’, il nostro cervello si abitua a un livello di piacere, diciamo una media di 30 “mi piace” per ogni post. E poi i 30 “mi piace” sembrano una cosa normale e noiosa, e vorremmo riceverne 40 o 50 per sentirci felici.

Siamo alla ricerca di scariche di piacere e ne abbiamo bisogno sempre di più per essere soddisfatti. È come una dipendenza, vero? Come possiamo limitarla?

“Ci sono delle app che fanno da timer” ha detto Kaylee. “Quindi puoi indicare che ogni giorno vuoi trascorrere solo 20 minuti su Instagram. Questa app monitora quanto tempo passi su Instagram durante quel giorno, e quando il limite di tempo è finito, ti manda una notifica. Ma poi c’è sempre la possibilità di ignorarla. Nessuna delle mie amiche che ricevono questa notifica ne tiene conto. Di solito la ignorano”.

Il problema è che è possibile ignorare ogni suggerimento bene intenzionato a limitare il proprio tempo online. Se lasci il tuo telefono in un’altra stanza prima di andare a letto, la prima cosa che fai al mattino è andare lì per recuperarlo. Se trasferisci tutte le tue app dei social media in una cartella nell’ultima pagina del tuo telefono, puoi scorrere con le dita per accedervi. Se disattivi le notifiche, puoi sempre entrare nelle tue app per vedere se ti sei persa qualcosa.

Anche decidere la giusta quantità di tempo da passare sui social media è problematico, in parte perché sottostimiamo sempre quanto tempo passiamo a navigare sui nostri telefoni, e in parte perché non esiste una risposta giusta.

“Qui ci sono vere e proprie questioni legate alla saggezza che non possono essere risolte con delle formule”, ha detto Julie Lowe, counselor e docente presso Christian Counseling & Educational Foundation. “Nel momento in cui dici: ‘Questa è la quantità di tempo adeguata’, qualcuno dirà: ‘Dovrebbe essere molto di meno’, e qualcun altro dirà: ‘Dovrebbe essere molto di più’. È come cercare di prescrivere l’orario giusto per andare a dormire".

Quando ragazze che soffrono di ansia e depressione vanno da Julie, una delle prime domande che lei fa è come si relazionano con i social media.

“È una questione che deve venire alla luce”, ha detto. “I ragazzi non sono il migliore indicatore perché non riescono a collegare i punti. Un esempio: Abbiamo messo il controllo parentale sui nostri dispositivi, e lasciamo i nostri figli fare acquisti su Amazon. La connessione si interrompe dopo avere raggiunto il limite di tempo che abbiamo impostato. E iniziano a ripetere: ‘Ma dai! Non può essere già passata un’ora e mezza!’ Se io e mio marito fossimo nei loro panni, sono sicura che diremmo: ‘Cosa? Ho appena iniziato’. È quasi come giocare d’azzardo in un casinò, dove perdi ogni cognizione del tempo e dello spazio, perdi la cognizione di ciò che ti circonda”.

Anche il marito di Julie è un counselor, e la coppia ha quattro figli adolescenti, due maschi e due femmine. Le ho chiesto come lei e suo marito hanno gestito l’uso dei social media.

“In generale cerchiamo di tenere fuori dai social media tutti i nostri figli”, ha detto.

Aspetta, ho capito bene? I suoi figli non hanno nessun social media?

“Una volta uno dei nostri ragazzi ha ricevuto Oculus Quest, che richiede l’iscrizione a Facebook”, ha detto. “Ma gli abbiamo detto che non avrebbe dovuto essere amico di nessuno su Facebook”.

Julie mi ha detto che vuole dare ai suoi figli una chance di successo, ossia vuole che quando saranno adulti siano in grado di decidere di entrare nei social media da soli senza essere già dipendenti da essi. 

“La ricerca sostiene di non permettere agli adolescenti di essere sui social media” ha detto. “Non dice: ‘Questa è la quantità limitata di tempo che possono trascorrere sui social’. Dice di non permettere proprio che vi accedano. Come mai? Perché anche solo mezz’ora può fare dei danni se sono su alcuni dei siti peggiori, se hanno problemi con l’identità e si paragonano agli altri, se sono vittime di cyberbullismo o di sexting. Le cose che accadono sui social media sono serie al pari della quantità di tempo che mio figlio passa sui social media, se non molto di più. Limitare il tempo, naturalmente, è importante. Ma ci sono moltissimi altri fattori da considerare prima di mettere un limite al tempo. Qual è il motivo per cui non dovrebbero nemmeno essere su questo sito molto specifico?”

Perché siamo qui?

Perché siamo su questo sito? Sono le ragazze stesse a farsi questa domanda.

“La maggior parte delle ragazze con cui ho parlato dicono frasi come: ‘Lo sto cancellando, ho chiuso’”, ha detto Morgan. “Tutte attraversano una fase in cui dicono: ‘Questo è troppo per me … mi sta facendo male … è snervante’. Tutte arrivano al punto di stancarsi dei social media”.

Nonostante ciò, di solito è necessario che si verifichi un avvenimento stressante (come la rottura di un rapporto sentimentale o un litigio con un’amica) perché qualcuna di loro si cancelli veramente dai social media.

“È successo durante la pausa invernale, quando ho visto tre post di fidanzamento uno dopo l’altro”, ha detto Avery Fong. “Ho cancellato la app. Non devo paragonare la mia fase di vita con quella degli altri. Non devo paragonare il mio status sentimentale con quello degli altri. In quel momento mi sono detta: ‘Ok, basta così’”.

Avery ha avuto un account su Instagram, uno su Snapchat e uno su Facebook, ma non è mai stata veramente su Facebook e si è sbarazzata di Snapchat quando ha capito che era in buona sostanza un’app di messaggistica. Con Instagram è stato più difficile. Aveva creato due account, uno personale e uno per condividere il lavoro che faceva per il suo corso di laurea in architettura. 

Dopo un po’, notò che selezionava le sue attività offline in base a cosa sarebbe venuto bene in fotografia. Notò anche che non stava mangiando bene.

“Ogni volta che vedevo un post—ogni singola volta—paragonavo me stessa a qualcosa nel post”, ha detto. “Che si trattasse delle mie amiche, di influencer o anche di brave donne cristiane—mi sentivo a disagio con me stessa perché mi dicevo: La mia fede non è come la sua o desidero essere nella stagione della vita in cui si trovano loro e io no. In generale sembravano tutte persone fantastiche. Non riuscivo ad accedere all’app senza pensare qualcosa di negativo su me stessa o un’altra persona”.

Prendersi una pausa

La sorella più piccola di Avery accennò al fatto che lei e le sue amiche prendevano delle pause da Instagram. Anche Avery decise di provare. Fece alcune brevi pause (per una settimana o giù di lì) ma non notò alcuna differenza. 

Ad ogni modo, queste piccole pause probabilmente hanno spianato la strada per la pausa più prolungata. Ora è fuori dai social da diversi mesi.

“Inizialmente, era più facile lasciare l’app—bastava mettersi all’opera e disattivare l’account”, ha detto. “La parte più difficile veniva dopo, quando volevo scaricarla di nuovo. Mi sentivo sola a causa della mancanza di gratificazione e affermazione istantanea che viene dai “mi piace” e dai commenti. Volevo tornare sull’app per riaffermare che ho delle amiche”.

Avery ha amiche. Quando vuole scaricare di nuovo l’app, dice a se stessa di mandare un sms a una di loro per salutarla, o per vedere se qualcuna di loro ha voglia di uscire per fare una breve passeggiata.

“Mi sono sentita molto meno sola”, ha detto. “Perché il tipo di amore che viene da una persona che dedica una parte del suo tempo libero per stare fisicamente con te è sicuramente mille volte più prezioso di quello di una persona che prende cinque secondi per commentare un tuo post. . . . per cui penso che sia stato un bene dal punto di vista relazionale”.

È stato un bene anche per la sua mente.

“Non avere Instagram mi ha dato il tempo per riflettere di più senza filtri”, ha detto. “Invece di dover soppesare quello che voglio dire in un post (il che va bene, perché poi posso condividerlo con altre persone e può essere per loro un incoraggiamento) ma per elaborare i miei pensieri, poter scrivere su un diario e tirare fuori tutto senza sentirsi obbligata a scrivere le cose in modo perfetto o di dover essere completamente pulita, felice, gioiosa quando mi metto a scrivere. È stata una cosa bellissima da fare”.

Vorrei sottolineare questo. Uscire da Instagram ha aiutato Avery a riflettere meglio.

“Di solito vado su un memo vocale e inizio a parlare”, ha detto. “Che è un altro buon modo di fare pratica su come relazionarsi con gli altri o conversare. In quest’era digitale, più che affrontare una conversazione su testo—dove puoi preparare quello che dirai o quello che gli altri diranno— voglio imparere a mettere insieme delle parole”.

Kaylee notò qualcosa di simile nel suo cervello quando fece alcune pause dai social media.

“Non c’è più quel ronzio in testa”, ha detto. “Sento che la mia mente e il mio cuore si sono calmati un po’, perché non devo più stare dietro a quello che Suzy della prima superiore sta facendo in Louisiana questa settimana. L’unica cosa che so è quello che io sto facendo, e quello che stanno facendo le amiche che ho scelto di frequentare”.

Perché siamo ancora qui?

È un motivo di speranza, vero? E se le giovani donne tornassero a fare shopping insieme nei centri commerciali, uscire a cena con i ragazzi e mangiare popcorn al cinema? E se facessero viaggi in auto invece di selfie e affrontassero conversazioni complesse invece di servizi fotografici?

“Ho finalmente capito che avere Instagram e vedere quello che gli altri stanno facendo non porta assolutamente nessuna positività nella mia vita” ha detto Kaylee.

Se questo è vero, perché continua a usarlo?

“Per prima cosa, c’è un motivo pratico”, ha detto. “Ogni club universitario in cui sono coinvolta in genere deve farsi un po’ di pubblicità. Pertanto è utile avere un account su Instagram e postare eventi sulla mia storia. Un’altra cosa importante per me (detto onestamente, è una cosa decisamente superficiale) è curare le foto sul mio account Instagram in modo che suscitino una certa sensazione. Mi piacciono tutte le mie foto su quell’account. Quando le guardo, vedo tutti i miei aspetti preferiti della mia vita. Quando guardo la mia pagina personale, i miei livelli di serotonina aumentano . . . . Mi fanno sentire meglio con me stessa. 

“Un altro motivo superficiale è che, avendo aperto il mio account Instagram già da un po’ di tempo, ho un certo numero di follower. Se lo cancello completamente, li perderei tutti. Potrei cancellarlo completamente, ma se un giorno volessi scaricarlo nuovamente, dovrei ripartire da zero e mettermi a cercare di nuovo tutte queste persone. . . . Alcuni di questi motivi sono superficiali”.

Motivi superficiali? Sicuramente. Ma questi erano anche i miei motivi. Non li avevo nemmeno riconosciuti in me stessa fino a quando Kaylee li ha espressi verbalmente. Mi spaventava l’idea di cancellarmi da Facebook, ma non ero capace di sbarazzarmene. In realtà, non è vero. Dato che temevo che sarei tornata lì, chiesi a mio marito di accedere e cancellare il mio account per me, cosa che fece con piacere.

Il fatto è che queste giovani donne non resteranno per sempre giovani donne. Non dovrebbe sorprenderci, ma il rapporto con i social media non migliora semplicemente invecchiando.

“Nel matrimonio, gli uomini parlano di questo molto più delle donne”, Julie ha detto. “Vengono da me e mi dicono che le loro mogli giocano a Candy Crush per diverse ore di fila e non parlano con loro. O che sono occupate con i loro telefoni, navigando continuamente su Facebook o Pinterest. E questo limita le relazioni. Quindi pensiamo anche a quanti matrimoni subiscono l’impatto di alcune di queste decisioni”.

Un tempo per togliere, un tempo per aggiungere  

Quindi che cosa possiamo dire alle giovani donne, alle nostre figlie, sorelle, nipoti e amiche? 

“L’acqua in cui stai nuotando avrà delle conseguenze su di te”, Morgan dice ai suoi studenti. “E mi sta bene se non sei abbastanza forte per controllare quanto i social influiscono su di te. Non è una questione di debolezza. Non è una questione di stabilità. Non è se sei sufficientemente sicura nel Signore o meno che stabilisce se non sei influenzata dai social media”.

Ha ragione. Siamo esseri umani, creati per influenzarci a vicenda. Morgan incoraggia le sue ragazze a prendersi delle pause, il che è un ottimo consiglio. Andiamo un po’ oltre: invece di limitarti ad eliminare i social media dalla tua vita—o di incoraggiare qualcun altro ad eliminarli dalla sua—cerchiamo di capire che cosa prenderà il loro posto. 

Aggiungiamo le relazioni. Aggiungiamo preparare dei biscotti, bere un caffè con un’amica e leggere la tua Bibbia nella quiete. Aggiungiamo ascoltare musica di adorazione mentre guidi, fare passeggiate con il cane o iniziare un progetto creativo. Aggiungiamo scrivere un diario e prendere appunti vocali per aiutarti a pensare. Aggiungiamo servire nella tua chiesa locale. Aggiungiamo partite di calcio, strumenti musicali e castelli di sabbia sulla spiaggia.

Mandate

“Oggi leggevo in Atti la nascita della chiesa”, ha detto Malisa. “I credenti sentivano di appartenere gli uni agli altri così da essere mandati nel mondo. Se siamo ancorate nell’identità che Gesù ci ha dato e sappiamo a chi apparteniamo—a lui e alla sua famiglia, la sua comunità—allora dovremmo veramente essere mandate. E perché il mandato non dovrebbe includere i social media?”

Mi piace questo. Se le giovani ragazze considerano Instagram un luogo per raggiungere l’identità perfetta, trovare una comunità e imparare come vivere una vita buona, Instagram continuerà a mangiarle vive. 

Ma se vanno su Instagram o Facebook con un’identità radicata in Gesù, legata saldamente ad amicizie e mentori nella loro chiesa locale nella vita reale, modellando le loro vite in conformità a santi reali, non potrebbe essere quello il loro campo di missione?

Infatti, i social media possono effettivamente farti sentire parte della chiesa ancora prima di credere. Possono rendere più facile partecipare ad un ministero universitario, una nuova chiesa o uno studio biblico per donne. Possono essere una piattaforma sulla quale condividere la Scrittura e la propria testimonianza. Possono essere un ottimo modo per sensibilizzare o per ricevere informazioni su cose di ogni genere, dalle opportunità missionarie ai modi per prendersi cura di un appartamento, a decidere quale sarà la tua nuova comunità cristiana.

“Voglio credere che il Signore può usare i social media per fare del bene”, Malisa ha detto. “Ma c’è ancora del lavoro che dobbiamo fare per essere ancorate come discepole e seguaci di Gesù—ma anche per aiutare le donne più giovani di noi a essere ancorate in Gesù”.

Lavoro da fare. Questo non è un mandato solo per le ragazze. È difficile tirarsi fuori dalle sabbie mobili. Anche noi abbiamo una sfida: aiutare le nostre giovani donne ad essere talmente ancorate in Gesù da far affievolire l’attrazione esercitata dai social media, alla luce della sua gloria e della sua grazia. 

Laura ha riflettuto su come una chiesa potrebbe fare questo.

“Affrontare conversazioni serie sui social media è davvero importante. Non dobbiamo fare finta che il problema non esista o che non faccia parte delle vite delle donne”, ha detto. “Dovremmo creare degli spazi perché le donne stiano insieme nella vita reale—studi biblici, gruppi di lettura, ritrovi e momenti di aggregazione, preparazione di pasti. Il duro lavoro di vivere la vita di ogni giorno insieme non andrebbe mai trascurato. Dovremmo concentrarci molto sull’insegnare alle donne cos’è il discernimento (“Come puoi sapere se qualcuno ti dice una cosa in linea con la Parola di Dio?”).

Molto di queste cose si possono trovare nelle istruzioni di Tito 2—che le donne anziane insegnino alle giovani ciò che è buono. E non è proprio questo che le giovani stanno cercando su Instagram? Come avere un bell’aspetto, come essere buone, come avere una vita buona.

Ma non dobbiamo raggiungere tutto questo da sole. Cristo ha già pagato per i nostri peccati sulla croce e ci ha dichiarate giuste agli occhi di un Dio santo. Non c’è foto che possiamo scattare, didascalia che possiamo scrivere o numero di follower che possiamo ottenere che possa aggiungere nulla all’opera compiuta da Cristo.

Sorelle più giovani, voi siete buone, fatte così da Gesù. La vostra vita è buona, piena di significato e senso, fatta così da Dio. Non dovete formarvi o crearvi un’identità che è già vostra. 

Potete scegliere di lasciare i social media come hanno fatto Kaylee e Avery, e non vi dico che sollievo è rinuciarvi. Oppure potete scegliere di usarli come piattaforma per parlare delle verità del Vangelo. Qualunque sia la vostra scelta, se siete radicate in Gesù, state vivendo una vita buona. 


Keith Getty e sua moglie, Kristyn, sono stati in prima linea del movimento degli inni moderni nell’ultimo decennio, colmando le distanze tra lo stile tradizionale e quello contemporaneo. Nel 2018, a Keith è stato conferito il titolo di Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico da Sua Maestà Regina Elisabetta II, prima persona appartenente al mondo della musica di chiesa contemporanea a ricevere tale onorificenza.

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Sarah Eekhoff Zylstra