Mani ferme fino al tramonto: la battaglia per la fondazione di chiese
Con calma Giosuè passò in rassegna i suoi soldati, radunati in truppe di cinquanta e di cento unità. Si accertò che i capitani avessero capito la strategia. Passò anche del tempo a pregare con qualche soldato esitante qua e là. Altri seguirono il suo esempio, e un quieto brusio di benedizioni e di preghiere si unì al risoluto cigolio di pelle e al tintinnio del metallo proveniente degli uomini che stavano controllando e indossando la loro armatura.
Quando giunse alla tribù di Giuda, il comandante abbracciò Caleb e, mani sulle spalle, pregarono insieme. Caleb e i suoi uomini avrebbero dovuto avanzare per bloccare l’impatto dell’offensiva Amalechita quando la battaglia sarebbe iniziata, e Giosuè era certo che l’assalto del nemico si sarebbe infranto contro il roccioso coraggio del suo vecchio amico.
E poi giunse l'ora. Israele udì le grida di battaglia dei nemici che avanzavano per attaccarli. Si strinsero gli scudi alle braccia e iniziarono il loro contrattacco.
Forse le cose si svolsero in questo modo a Refidim quando gli Amalechiti attaccarono Israele. Forse le tattiche utilizzate da Israele erano convenzionali, o forse erano nuove e geniali. Forse gli uomini combatterono con un coraggio insolito, o in calma rassegnazione. Non lo sappiamo. Non lo sappiamo perché Mosè non c'è l’ha detto e perché non è importante saperlo.
Giosuè guidò l'esercito, ma la sua abilità, la sua esperienza, il suo addestramento, il suo coraggio, e anche la sua fedeltà e le sue preghiere non fecero alcuna differenza sull’esito della battaglia. Mosè descrive la battaglia in Esodo 17:8-16, e i versetti 10-13 ci dicono come vinse Giosuè:
Giosuè fece come Mosè gli aveva detto e combattè contro Amalec; e Mosè, Aaronne e Cur salirono sulla vetta del colle. E quando Mosè teneva le mani alzate, Israele vinceva; e quando le abbassava, vinceva Amalec. Ma le mani di Mosè si facevano pesanti. Allora essi presero una pietra, gliela posero sotto ed egli si sedette; Aaronne e Cur gli tenevano le mani alzate, uno da una parte e l’altro dall’altra. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole. E Giosuè sconfisse Amalec e la sua gente passandoli a fil di spada. (Esodo 17:10-13)
Il significato è perfettamente chiaro. Fu Giosuè a combattere la battaglia, e fu Giosuè a sconfiggere l’esercito Amalechita passandolo a fil di spada, ma ci riuscì soltanto perché Mosè tenne le sue mani alzate. Giosuè combattè, ma vinse soltanto perché Mose alzò le sue mani davanti a Dio in preghiera.
Questo non sminuisce il ruolo di Giosuè, il suo coraggio, la sua pianificazione, la sua esperienza o la sua strategia. Ci dice semplicemente che nessuna di queste cose era determinante. Il ruolo principale fu interpretato da Mosè.
Non riguarda me
Per fondare chiese è necessario pianificare, stabilire delle strategie e attuarle. Dobbiamo ricorrere a tutta la nostra formazione ed esperienza. Abbiamo bisogno di coraggio in diversi modi. La sfida continua è quella di pensare che queste cose, benchè necessarie, sono ciò che fa tutta la differenza. Il peccato nel quale cado quando le cose vanno bene è lo stesso peccato nel quale cado quando le cose falliscono. Il peccato che ho commesso quando per la prima volta ho cominciato a fondare chiese nel 2004 è lo stesso peccato che ho commesso quando BroadGrace ha celebrato 5 anni nel maggio 2015. Penso che tutto riguardi me. Penso che dipenda da me. Penso di essere fondamentale. E mi sbaglio.
Non è la mia pianificazione, la mia gestione del tempo e la mia leadership a fare la differenza. Non è la mia predicazione, le mie preghiere o anche la mia santità – benchè sia più che mai convinto che Robert Murray M’Cheyne avesse ragione nel dire che questo era il più grande bisogno del suo popolo [1]. Penso che volesse dire ciò che essi avevano bisogno da lui, perché certamente offrì loro una santità ancora più meravigliosa di quella che si vedeva nella sua vita. La chiave alla sopravvivenza, alla vitalità e al successo (per come Cristo lo vede) nella fondazione di chiese, nel ministero, nella vita, è di ricordare che non riguarda me. Non riguarda mai me. Riguarda l’uomo sulla vetta del colle con le sue mani alzate fino al tramonto del sole.
La vittoria non dipende da niente di quello che faccio. Dipende dall’uomo che resse le sue braccia fino a quando non ci fu più luce, fino a quando tutto fu compiuto. Cristo ha vinto la grande battaglia. Sulla croce egli soffrì il nostro giudizio, il nostro inferno, la nostra morte. Egli prese la nostra colpa e la nostra vergogna. Egli abbattè Satana e ha soffocato a morte la morte. Egli ha conquistato tutti i nostri nemici. Egli ha vinto la battaglia decisiva. Ancora oggi egli sta pregando per noi che siamo in battaglia (Ebrei 7:25). Egli non finirà di pregare fino a quando ritornerà per noi. Egli è nostro, è pieno di amore verso di noi e si diletta in noi. Egli è il Marito più premuroso, il vero Fratello, il più potente dei Signori e il più santo dei Re.
La lezione più difficile che sto imparando è anche la più importante. E’ tutto su Cristo. La vittoria è interamente sua. Egli è l’Alfa e l’Omega, l’inizio e la fine. Egli è tutto in tutti. Egli è la via, la verità e la vita. Per brevi e meravigliosi attimi, ogni parte del mio essere grida: “per me il vivere è Cristo, e il morire guadagno” (Filippesi 1:21), e vorrei sempre poter sentire la meraviglia di queste parole e conoscere la verità che esse contengono.
E’ bello essere un soldato dell'esercito di Gesù. E’ bello perché la nostra battaglia è vinta, il nostro combattimento non è invano, e perchè ritorneremo a casa, ricondotti da Cristo, il grande Signore degli eserciti che non ha mai lasciato nessuno dei suoi sanguinare sul campo. No, è lui che sanguinò al posto nostro, e noi torneremo a casa.
Scritta da John Hindley
Credo che il peccato di pensare che il nostro servizio per Cristo sia il centro della battaglia è diffuso nella chiesa come lo è nel mio cuore. L’ho visto quasi distruggermi e fare del male agli altri, ed è proprio per questo motivo che ho scritto un libro per ri-orientare i nostri cuori verso Cristo, il nostro grande Salvatore. Se desideri saperne di più, leggi “Serving without Sinking” (pubblicato da www.thegoodbook.com / www.thegoodbook.co.uk).
[1] “Il più grande bisogno del mio popolo è la mia santità”. Robert Murray McCheyne