Crescere la prossima generazione di fondatori di chiese

La storia ci insegna che uno dei motivi che determina il successo in tempo di guerra è la quantità e la qualità dei soldati schierati in battaglia. Lo stesso principio è altrettanto valido nella fondazione di chiese. Possiamo avere tutte le buone intenzioni del mondo, ma senza fondatori di chiesa qualificati e competenti che continuamente emergono dai ranghi, i nostri sforzi come movimento per la fondazione di chiese saranno vani.

Tuttavia, questo solleva la questione: chi ha la responsabilità di crescere la prossima generazione di fondatori di chiesa? E’ responsabilità di Dio chiamare e mandare un nuovo esercito di fondatori di chiesa? O è nostra responsabilità preparare e schierare questi uomini? La risposta, come spesso succede, è “entrambi”.

1. Il comando di Gesù

Mentre percorreva tutte le città e i villaggi della Galilea, Gesù ebbe compassione delle folle, perché esse erano “come pecore che non hanno pastore” (Mt 9:35-36). Perciò Gesù disse ai suoi discepoli: “La mèsse è grande, ma pochi sono gli operai. Pregate dunque il Signore della mèsse che mandi degli operai nella sua mèsse”. (Mt 9:37-38)

Gesù sta dicendo che anche se egli stesso è il Sommo Pastore del suo gregge, c’è un grande bisogno di “sotto-pastori”, o (cambiando la metafora) di operai per aiutarlo nella raccolta per il Regno. C’è un duplice motivo per il bisogno di più operai:

  • Primo, la mèsse è grande. In altre parole, il Signore ha un popolo che gli appartiene ed essi sono maturi per il raccolto (Atti 18:10).

  • Tuttavia, pochi sono gli operai. Non ci sono abbastanza “sotto-pastori” disponibili per svolgere il compito in questione.

Perciò Gesù comanda ai suoi discepoli di pregare. Egli ci comanda di pregare e di supplicare il Signore affinché mandi più operai. Possiamo essere fiduciosi che lui risponderà alle nostre sincere preghiere a questo proposito, perché egli è “il Signore della mèsse”. Dopotutto è “la sua mèsse”.

Può essere questo il motivo perché non vediamo emergere dai nostri ranghi abbastanza fondatori di chiese? Può essere che non abbiamo perché non chiediamo? Può essere che quando chiediamo non riceviamo, perché chiediamo male per spendere nei nostri piaceri, cercando di costruire i nostri regni e non il suo?

La realtà è che siamo una generazione che corre il pericolo di diventare talmente autosufficiente, talmente sicura delle nostre capacità e risorse che difficilmente ci fermiamo mai e preghiamo il Signore di suscitare nuovi operai. La nostra mancanza di preghiera a questo riguardo, o nel migliore dei casi la nostra mancanza di serietà quando preghiamo per operai, rivela che potremmo avere perso la prospettiva sulla missione in questione: “La mèsse è grande”, non minuscola. “Pochi sono gli operai”, non molti. Egli è “il Signore della mèsse”, non noi. E’ la “sua mèsse”, non la nostra.

Ma il comando di Gesù in Matteo 9:38 solleva un’altra questione importante: Che cosa avverrebbe se il Signore dovesse rispondere alle nostre preghiere e mandare operai nella mèsse? Quali sono i mezzi attraverso i quali il Signore crescerà la prossima generazione di fondatori?

2. Il comando di Paolo

Nella sua seconda lettera al suo ex-allievo, Paolo esorta Timoteo a essere un fedele ministro del vangelo. Timoteo non doveva vergognarsi del vangelo (1:8). Doveva custodire il vangelo (1:14). E Paolo gli ordinò di passare il testimone del vangelo alla prossima generazione…

Tu dunque, figlio mio, fortìficati nella grazia che è in Cristo Gesù, e le cose che hai udite da me in presenza di molti testimoni, affidale a uomini fedeli, che siano capaci di insegnarle anche ad altri. (2 Tim 2:1-2)

Al versetto 2, Paolo ordina a Timoteo di affidare deliberatamente il vangelo alla prossima generazione di operai. Ciò lascia intendere che ci fosse qualche procedimento attraverso cui Timoteo avrebbe potuto individuare chi erano gli uomini fedeli, e anche un piano per garantire che questi uomini fedeli sarebbero stati di fatto capaci di insegnare anche ad altri.

Com’è possibile conciliare queste istruzioni di Paolo con il comando di Gesù in Matteo 9:38? Paolo era “non spirituale” e si stava dimenticando che è responsabilità del Signore mandare operai nella sua mèsse? La risposta è ovviamente “no”, ed è confermata dal primo comando che Paolo dà a Timoteo al capitolo due versetto uno: “fortìficati nella grazia che è in Cristo Gesù, E…”.

La congiunzione “e” all’inizio del versetto 2 è davvero cruciale. Collega il comando di Paolo al versetto 1 con il suo comando al versetto 2. Paolo non stava solo esortando Timoteo a crescere operai per la mèsse, ma gli stava ricordando che avrebbe potuto farlo continuando a trovare la sua forza nel vangelo della grazia.

Paolo credeva che la grazia del Signore non è solo il mezzo della nostra salvezza, ma anche del nostro servizio. Egli credeva che non siamo solo salvati per grazia, ma anche mandati per mezzo di essa. Perciò Paolo poteva affermare altrove: “Ho faticato più di tutti loro; non io però, ma la grazia di Dio che è con me” (1 Corinzi 15:10)

Come individui e chiese che desiderano ardentemente vedere la prossima generazione di fondatori di chiesa emergere dai ranghi, non dovremmo mai perdere di vista questo equilibrio biblico. Dovremmo stare attenti a non pendere mai da nessuno dei due lati. Ricordiamoci chi è il Signore della mèsse e, così facendo, preghiamolo seriamente di mandare operai nella sua mèsse. Ma ricordiamoci anche che quando egli risponde alle nostre preghiere a questo riguardo, egli non ignorerà la chiesa, ma piuttosto ci darà potenza in vista di questo grande compito. Perciò preghiamo e mettiamoci al lavoro.


Johan Verster (@Johan_Verster) è uno dei pastori della Chiesa LIGpunt di Pretoria (Sudafrica). Ha studiato inizialmente ragioneria e ha lavorato come ragioniere ma si convertì a Cristo mentre viveva e lavorava a Londra, UK. Dopo aver lavorato per qualche anno per “Co-Mission” – una rete di fondazione di chiese a Londra – Johan si trasferì a Città del Capo, Sudafrica, per conseguire la Laurea in Teologia al George Whitfield College. Dopo aver terminato gli studi, si è trasferito con il suo co-pastore Tobie Meyer a Pretoria per fondare LIGpunt. Nel 2011 hanno inoltre avviato “TRANSmission”, un metodo per la formazione di ministeri per individuare, formare e mandare la prossima generazione di fondatori di chiese in Africa. Johan è sposato con Anchen e hanno quattro figli – Liam, Anaïs, Maya e Finn.