Ripensare la conversione nel contesto: riesaminare le aspettative del cambiamento secondo il vangelo

Hai mai conosciuto qualcuno che pensavi fosse un cristiano ma che poi non si è rivelato come tale? Ho conosciuto un attore in disgrazia che era anche ateo. Dopo qualche tempo cominciò a frequentare la nostra chiesa, iniziò a leggere libri sul vangelo e a pregare con la sua famiglia. Contento di sapere della sua conversione, lo invitai a pranzo. Parlando con lui, fu scioccato di scoprire che si era convertito ma che non era rigenerato. Una donna fedele della nostra chiesa che era molto attiva nel servire e che frequentava gli incontri della chiesa e partecipava alla vita della comunità, chiese di essere battezzata. Quando le chiesi perché, mi disse che era appena diventata una cristiana. Spesso il nostro discernimento di una vera conversione è poco chiaro.

Secondo lo studioso di missiologia Andrew Walls, la parola “conversione” è stata utilizzata principalmente in due modi nel corso della storia del cristianesimo.* Il primo significato di conversione indica “un atto esteriore di cambiamento religioso”. Questo atto riflette un avvicinamento alla fede cristiana, individuale o collettivo. Questo primo tipo di conversione, o avvicinamento al cristianesimo, è quello sperimentato dal mio amico attore, apportando notevoli cambiamenti nella sua vita. L’altro significato di conversione si riferisce al “cruciale cambiamento interiore religioso” all’interno della comunità cristiana. Questo significato di conversione è quello che potremmo chiamare “cambiamento secondo il vangelo”. Questo è ciò che quella donna fedele sperimentò. Viste le sabbie mobili culturali e un’accresciuta ignoranza teologica, è più importante che mai coltivare chiarezza riguardo alla conversione.

Non tutto il cambiamento secondo il vangelo è identico

I missionari del 19° e del 20° secolo esportarono la loro comprensione e la loro esperienza occidentale del “cambiamento secondo il vangelo” a popolazioni non occidentali. Spesso ciò includeva una conversione che scaturiva “in una vita santa solitamente contrassegnata da un periodo di profonda consapevolezza del proprio peccato seguito da un senso di liberazione gioiosa dovuto alla comprensione del perdono personale attraverso Cristo”. In altri termini, i missionari si aspettavano che i popoli non occidentali passassero attraverso un modello di cambiamento secondo il vangelo simile al loro. Il vangelo certamente cambiò i popoli di Africa, India e Asia, ma non tutto il cambiamento secondo il vangelo fu identico.

Il cambiamento del vangelo in alcune culture è più graduale che istantaneo. La tradizione evangelica Americana di “profonda consapevolezza del proprio peccato seguita da un senso di liberazione gioiosa” non è comune a tutte le culture. I missionari faticarono prima di vedere una sola conversione, e anche allora le conversioni erano talvolta molto diverse da quello che si aspettavano. Le culture più comunitarie sperimentano la conversione in modo diverso da culture altamente individualistiche. In molte culture Africane e Asiatiche, le conversioni coinvolgono la coppia o l’intera famiglia invece di singoli individui. Non tutto il cambiamento secondo il vangelo si verifica in modo uguale, specialmente in culture diverse.

Un contesto sempre di più post-cristiano

Quello che quei missionari incontrarono “sul campo” sta iniziando a verificarsi negli Stati Uniti. Molti fondatori di chiese hanno un passato da non credenti che è molto “cristiano”. Abbiamo ereditato l’esperienza di conversione evangelica e pietistica dei nostri avi. Come le conversioni dei nostri avi missionari, le nostre conversioni personali dipendevano molto da una cultura cristianizzata che allora era predominante e da una comune conoscenza basilare di Dio, del peccato, della fede e di Cristo. Ma l’America è cambiata. Non possiamo dare per scontato che chi ci ascolta abbia la stessa conoscenza che avevamo noi e il nostro vissuto, il che è precisamente il motivo per cui è così fondamentale esercitare saggezza pastorale attraverso la contestualizzazione.

In regioni come il Pacific Northwest, il New England e città spiritualmente simili degli Stati Uniti, incontriamo un clima culturale post-cristiano. Non possiamo più dare per scontato un livello minimo di conoscenza evangelica sulla quale lo Spirito di Dio può agire. Ci stiamo invece relazionando con persone che non frequentano una chiesa, contrarie al vangelo che hanno dimenticato, ridefinito, o che non hanno mai conosciuto il vangelo. Di conseguenza, le condizioni della conversione sono cambiate, come pure dovrebbero cambiare i nostri metodi di condividere, raccontare, parlare, insegnare e predicare il vangelo. Il nostro stile, le nostre illustrazioni e il nostro linguaggio devono cambiare se vogliamo raggiungere i non raggiunti dal vangelo, quelli che non vanno in chiesa, e le persone ostili in America.

Come i primi missionari, dobbiamo riconfigurare la nostra comprensione e le nostre aspettative su come le persone subiscono il cambiamento e di come si fanno discepoli. Dobbiamo essere più aperti al “processo di conversione”, e anche a guidare quel processo verso l’impegno totale a seguire Gesù come Signore. Il nostro scopo non dovrebbe essere quello di replicare la nostra personale esperienza di conversione, ma di predicare il vangelo in modo efficace per poter fare discepoli in un crescente contesto post-cristiano. Dobbiamo imparare dai fallimenti del passato e invitare le persone non a fare la nostra esperienza di conversione, ma a sperimentare la conversione ad opera dello Spirito, qualsiasi cosa quel processo possa comportare.

Implicazioni pratiche per il Ministero

Come dovrebbe cambiare il nostro approccio alla predicazione, all’evangelizzazione e al discepolato in seguito alle mutate aspettative sull’esperienza della conversione? Dobbiamo forse eliminare la predicazione che rivolge appelli per la conversione immediata? Dobbiamo smettere di chiedere alle persone di “prendere una decisione per Cristo?” In che modo l’ignoranza teologica dovrebbe cambiare il nostro discepolato pre-conversione, e questo questo intendo dire: dovrebbe cambiare il nostro modo di interagire con i non credenti in vista della conversione? Non ci sono delle formule esatte da seguire, che molto spesso mettono la chiesa in difficoltà perché si prendono in prestito i metodi in voga nella cultura secolare, le pratiche confessionali ormai superate, o le ultime soluzioni pragmatiche su come“fare chiesa”, senza però rispondere in modo diretto alle sfide culturali di fronte a noi. Alla luce di ciò, vorrei offrire alcuni suggerimenti su come la pratica del nostro ministero dovrebbe cambiare quando il suolo della cultura è meno condizionato dalla Cristianità.

Dire la verità smantellando le bugie. Dobbiamo ridefinire i presupposti comuni sulla fede cristiana in un modo comprensibile a chi ci ascolta. I nostri vicini e conoscenti potrebbero pensare che abbiamo delle convinzioni che invece non ci appartengono (omofobici, anti-ambientalisti, anti-immigrazione, etc.). Dobbiamo rivolgere delle domande per fare emergere queste supposizioni. Parlare del tempo, di sport, o di lavoro probabilmente non le farà emergere. Dobbiamo spingerci oltre il primo livello di conversazione rivolgendo domande di secondo e di terzo livello che ci portano dentro la loro storia e i valori in cui credono.

Ho fatto visita a un nuovo bar e ho attaccato discorso con il barista. Nel corso della nostra conversazione egli accennò alle sue “ore piccole”, a qualcosa sulla sua compagna, e di come fosse contento di essere andato via da un paesotto con una mentalità provinciale per trasferirsi in una città come Austin. Poi la conversazione si spostò su di me: “Allora, tu cosa fai di bello?” Mi trovai di fronte a una scelta: dirgli la verità, evitare la domanda, o dirgli la verità smantellando una bugia. Se gli avessi detto solo che sono un pastore e che avrebbe dovuto dare un’occhiata alla nostra chiesa, la sua supposizione che io fossi anti-gay sarebbe continuata. Se avessi evitato la domanda, avrei subito perso l’opportunità di andare in profondità. Dato che prima avevo pregato, sapevo che lo Spirito Santo aveva stabilito questo momento. Scelsi di dire la verità smantellando una bugia. Risposi dicendo: “Sono un pastore, ma devi sapere che non odio i gay e che non sono omofobico. A dire il vero ho dei buoni amici gay, e penso che la chiesa abbia affrontato l’intero soggetto nel modo sbagliato”. Invece di essere visto subito con ostilità a causa di una falsa convinzione su di me, fui in grado di smantellare la bugia ed ebbi l’opportunità di condividere il vangelo con maggiore chiarezza. Il barista si entusiasmò del vangelo mentre lo spiegavo, commentando che non era “quello che aveva sentito”.

Fare domande prima di predicare. La storia del mio amico attore mostra l’importanza di fare delle domande per arrivare al secondo e al terzo livello con le persone, fino ai valori e alle convinzioni. Questo, ovviamente, non deve essere il nostro primo approccio alla discussione e alla conversazione, ma alla fine ci dobbiamo arrivare se vogliamo amare le persone. Queste domande sono importanti per la predicazione dal pulpito e per l’evangelizzazione. Se non ho delle vere, profonde conversazioni con le persone, la mia predicazione sarà basata su “finti scenari” nei quali stabilisco a tavolino l’applicazione e l’esegesi culturale. Devo invece parlare con vere persone per essere informato sui reali problemi che affrontano.

Dopo essermi reso conto di quanto profonda fosse la mia illusione circa la conversione nel mio amico attore, ho capito che dovevo predicare in modo non solo da distinguere la religione dal vangelo, ma che dovevo anche formare le nostre guide a spingersi dentro le vite delle persone con domande più profonde per discernere il loro vero stato spirituale. Fare domande mi ha fatto capire quanto sia importante che le domande di secondo e di terzo livello caratterizzino il nostro discepolato. Non è sufficiente che io predichi la differenza tra grazia e legge, devo insegnare ad altri a distinguerne la differenza nei cuori delle persone. Questo porta ad un maggiore discernimento nel discepolato, che aiuta a liberare le persone dalla schiavitù del peccato e della morte.

Cambiare le attese emotive. Dato che le conversioni non immediate ammontano grosso modo al 70% delle conversioni, attendersi un’improvvisa esplosione di gioia mette sulle spalle delle persone un peso che non dovrebbero portare. Ora, un cristianesimo senza gioia non è cristianesimo. Ma la gioia si manifesta in modi diversi a seconda delle diverse personalità. I Pastori devono stare attenti a non proiettare sugli altri la loro esperienza di Cristo, sia nella conversione sia nel discipolato. C. S. Lewis si definì “un convertito riluttante” ma poi scrisse molto sul ruolo della gioia nella fede cristiana. Cambiando le nostre attese emotive, siamo in grado di apprezzare la diversità di persone nel corpo di Cristo, oltre a modificare il nostro approccio alla consulenza pastorale e al discepolato con svariate persone. I Salmi ci mostrano tutta una serie di emozioni accettevoli a Dio (depresso, deliziato, ansioso, fiducioso, adirato, e perfino indifferente). Dio non è intimorito dallo stato emotivo, né ci condanna per come ci sentiamo. Invece, egli ci incontra lì, e ci chiama a spostare la nostra fede dai sentimenti sulla vita alla verità su Dio. Quando cambiamo le nostre attese emotive ed entriamo nelle storie delle persone sospendendo il giudizio, guadagniamo l’opportunità di imitare Cristo e portare loro la sua speranza, la sua pace e la sua gioia.

Dicendo la verità per smantellare le bugie, facendo domande prima di predicare e cambiando le nostre attese emotive, permettiamo che altri godano di quelle libertà momentaneo e personali che in realtà anche noi vogliamo dagli altri. Queste libertà, una alla volta, ci permettono di sviluppare maggiore discernimento sulla conversione e sul discepolato nei nostri contesti culturali.


Jonathan K. Dodson (M.Div, Th.M) è felicemente sposato con Robie, ed è padre orgoglioso di Owen, Ellie e Rosamund. E’ pastore della City Life Church e leader di PlantR e Gospel Centered Discipleship.com. Jonathan è anche autore di Gospel-Centered Discipleship, Raised? Finding Jesus by Doubting the Resurrection and The Unbelievable Gospel: Say Something Worth Believing (Settembre 2014). Gli piace ascoltare M. Ward, fumare la sua pipa, guardare fantascienza e seguire Gesù. 

* Citazione tratta da Andrew Walls, “Converts or Proselytes? The Crisis over Conversion in the Early Church,” IBMR, Vol. 28, No.1.