La Generazione Z cerca amici
La mia piccola Toyota Corolla blu arrivò nell’ampio parcheggio di una delle principali scuole superiori del Minnesota, appena fuori Minneapolis. Chiusi la mia auto tra una marea di veicoli, indossai la mia mascherina e mi incamminai nel pungente vento invernale insieme ad una folla di individui senza volto verso l’ingresso principale della scuola.
Nell’autunno del 2021, con i protocolli per il COVID-19 ancora operativi nelle scuole pubbliche, ero un’insegnante tirocinante in una classe di terza superiore. Questa scuola si vantava di essere una delle scuole superiori pubbliche più variegate del Minnesota, e io avevo il privilegio di interagire con una varietà di studenti provenienti da nazioni, contesti e religioni differenti.
Quando giunse il mio ultimo giorno da insegnante tirocinante, rimasi sorpresa da alcune delle reazioni dei miei studenti. Quelli che espressero più rammarico per la mia partenza erano gli studenti che avevano a mala pena parlato per l’intero semestre. Avevano fatto lo sforzo di fermarsi nell’aula e dirmi addio, lasciando piccoli sacchetti regalo e biglietti. Una studentessa, arrivata da poco dal Myanmar come rifugiata, mi scrisse una lettera in un inglese stentato che diceva: “Mi mancherà la tua vocina delicata dirmi ‘Ciao’ ogni giorno e il tap tap sul tuo computer. Durante le tue lezioni mi sono sentita a casa”.
Ero colpita. Il mio cuore, toccato da tanto calore e stupore, rifletté sulla sua risposta. Avevo reso le mie lezioni un posto dove sentirsi a casa? Per una rifugiata, una studentessa che non poteva chiamare un luogo “casa” da chissà quanto tempo?
Ad alimentare il mio sconcerto, tra tutti i miei studenti lei era una di quelli con cui raramente avevo avuto l’occasione di interagire dal momento che lei frequentava le uniche lezioni in cui non ho mai insegnato ma in cui facevo solo da assistente. Quando lei entrava in classe, la salutavo per nome. Il nostro rapporto si limitava a questo.
Da allora, ho riflettuto sul potere e la radicale ordinarietà delle relazioni. Se il semplice presentarsi quotidianamente e salutare i miei studenti era una cosa importante, che cosa sarebbe successo se avessi fatto parte della sua vita e mi fossi trovata in un contesto in cui avrei potuto condividere l’evangelo con lei? E se il modo per raggiungere i cuori iniziasse semplicemente dall’essere presenti giorno dopo giorno nella vita di qualcuno e di interessarsi a questa persona?
La Generazione Z ha bisogno di amici
Mentre riflettevo su come raggiungere in modo efficace i Gen Zer, chiesi alla mia famiglia e agli amici la loro opinione, e tutte le risposte si riducevano alla stessa cosa: relazione. Molti Gen Zer soffrono di distacco e isolamento, e vivono credendo a palesi menzogne che colorano la loro realtà. L’odio verso se stessi e l’ossessione per se stessi regnano simultaneamente in loro, e sono annebbiati dalla confusione.
Come possiamo evangelizzare una generazione che vive questa dicotomia? Come possiamo dipingere vita e bellezza nel quadro delle loro vite?
Attraverso le relazioni.
In un sermone intitolato “Il cantico di Maria”, Tim Keller pone l’accento sul fatto che quando Maria venne a sapere dall’angelo Gabriele che sarebbe stata la madre del Messia, lei si sottomise in obbedienza dicendo: “Ecco, io sono la serva del Signore; mi sia fatto secondo la tua parola” (Luca 1:38). Non vediamo emozioni forti da parte sua. Tuttavia, subito dopo quell’incontro, lei “si alzò e andò in fretta . . . e salutò Elisabetta” (vv. 39–40). Dopo aver sentito la notizia da Maria, Elisabetta prorompe in lode per Dio per ciò che Egli ha fatto. È solo allora che leggiamo il cantico poetico di Maria che esprime una gioia incontenibile e un’umile lode al Signore in Luca 1:46–55.
Keller sottolinea che non possiamo sperimentare pienamente la bellezza e la vicinanza di Dio se non siamo in comunione con altri credenti.
In un mondo che mette al primo posto l’individuo, quanto sarebbe magnificato Cristo se dessimo davvero la priorità a coltivare l’amicizia? Nella vita di ogni giorno, questo potrebbe voler dire imparare e ricordare i nomi, sorridere, salutare e interessarsi alle vite dei nostri vicini e colleghi di lavoro, cassieri e compagni di palestra.
La Generazione Z ha bisogno di amici più grandi
Come credenti chiamati a fare discepoli, portiamo questa affabilità ad un livello ancora più profondo con le persone a noi vicine. L’evangelizzazione attraverso l’amicizia e l’ospitalità—la costruzione di relazioni accogliendo qualcuno, che sia a casa, a scuola, al lavoro o altrove —è un potente mezzo della grazia per raggiungere i cuori che non hanno una casa. Nonostante ciò che pensano molti, i Gen Zer desiderano questo genere di relazione, specialmente con adulti più anziani e saggi che si prendono il tempo di conoscerti e parlare nelle loro vite.
Alcuni dei miei momenti più formativi alle superiori sono stati quando il mio mentore fece questo per me. Trascorsi del tempo con lei a casa sua, con i suoi bambini che correvano, gridavano e giocavano. In mezzo alla confusione, abbiamo parlato di Dio e della vita in generale, e io mi sentii come se fossi a casa mia in un luogo dove il mio affetto per il Signore fu risvegliato.
La Generazione Z ha bisogno di amici ordinari
Nel ministero di Gesù notiamo una radicale ordinarietà. Succedeva infatti regolarmente che “molti pubblicani e peccatori erano anch'essi a tavola con lui e con i suoi discepoli” (Marco 2:15). Spesso cadiamo nella tentazione di “trattare” da lontano i problemi di amici e non credenti invece di camminare con loro nelle loro vite e prove. Possiamo sottovalutare la pratica estremamente importante e ordinaria di stare semplicemente con le persone, quello che potremmo chiamare il ministero della presenza. È più comodo dare le nostre parole, non il nostro tempo.
La maggior parte dei Gen Zer che incontriamo non sono rifugiati in senso letterale come quella mia studente, ma lo sono in senso metaforico: sono isolati, spesso si sentono fuori posto e scombussolati, soli e desiderosi del conforto di qualcosa o di qualcuno familiare e sicuro.
Fare e formare discepoli avviene nel salotto pieno di giocattoli, nella cucina con gli sportelli appiccicosi, nelle caffetterie, nelle passeggiate e nelle sale ristoro dove condividiamo l’incoraggiamento necessario per affrontare la vita quotidiana. I Gen Zer bramano la semplicità dell’ospitalità. È dove il cuore inizia ad aprirsi e gli affetti vengono risvegliati per qualcosa di più di ciò che il mondo offre.
E se decidessimo, con l’aiuto di Dio, di iniziare ad essere persone ospitali, accoglienti, orientate alle relazioni ovunque, con chiunque Dio ci mette davanti su base regolare? Forse saranno proprio quelli che sembrano i più timidi o meno interessati ad essere i più colpiti.
Kirsten Franze ha frequentato l’Università di Northwestern-St. Paul, dove ha conseguito una laurea in Inglese e una laurea minore in Bibbia. Dopo aver insegnato per qualche anno, ha deciso di perseguire una carriera nella nutrizione e nel fitness e ora è un personal trainer. Vive con suo marito a Woodbury, Minnesota, e fa parte della Cities Church a St. Paul.
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