La dissacrazione della bellezza, e cosa fare al riguardo

Il defunto scrittore e filosofo di Oxford Roger Scruton disse: “La bellezza sta scomparendo dal nostro mondo perché viviamo come se essa non avesse importanza”. Egli definì la perdita della bellezza della nostra cultura “la dissacrazione postmoderna”. Scruton scelse il termine “dissacrazione” accuratamente: è un termine religioso che implica la distruzione di ciò che è sacro.

Non ho potuto fare a meno di pensare alle parole di Scruton dopo aver assistito ad uno spezzone dello spettacolo dell'intervallo del Super Bowl all’inizio di questo mese. La lascivia ha sostituito l’avvenenza; l’espressione legittimata di se stessi ha soppiantato la bellezza. Ero inorridito e imbarazzato. 

E tuttavia, per alcuni, lo spettacolo dell’intervallo è stata una splendida esibizione di due “artiste” donne che si esprimevano in un modo culturalmente e artisticamente significativo.

È questo il livello dell’arte nella nostra cultura? Quanto ci siamo allontanati dalla vera bellezza!

Breve storia della dissacrazione

Come si è arrivati al punto in cui la nuda espressione di sé (spesso in senso letterale) viene considerato il nuovo standard artistico?

Prima dell’illuminismo, Scruton afferma, gli artisti consideravano la bellezza sacra, ed essa era il telos (fine) del loro lavoro. Ma la bellezza perse il suo ruolo sacro per l’artista e divenne definibile dalla persona. Vediamo questa svolta soggettiva, per esempio, nelle parole di David Hume, che nel 1757 scrisse un saggio intitolato “La regola del gusto” dal quale abbiamo ricavato l’assioma: “La bellezza è negli occhi di chi guarda”. La famosa affermazione di Hume è coerente con il grido di guerra prevalente nell’Illuminismo: libertà.

Qualche decennio dopo Hume, il filosofo tedesco Immanuel Kant propagandò “l’illuminismo” definendolo un processo di crescita; non permettere che siano i maestri antichi a dettare ciò che dobbiamo sentire, pensare, amare e credere. “Il pubblico uso della propria ragione”, scrisse Kant, “deve sempre essere libero, ed esso solo può realizzare il rischiaramento tra gli uomini”. 

È interessante notare che l’Illuminismo coincise anche con un declino generale dell’arte nella chiesa e del patrocinio cristiano nel campo dell’arte. Con il crescere dell’autonomia nell’arte e nella filosofia, l'influenza della chiesa in questi campi diminuì.

Una delle conseguenze di un mondo che si sbarazza delle catene dell’autorità nella sua ricerca di libertà intellettuale è questa: le icone del potere sono trattate con disprezzo—tra queste Dio e la sua chiesa.

Nello stesso modo in cui gli artisti si guardarono dentro e definirono la bellezza per conto proprio, i filosofi sostennero la volontà umana al di sopra della volontà sovrana. Vale a dire, finché una volontà trova soddisfazione dentro di sé, questo è sufficiente; la volontà di una persona ha se stessa come fine. La volontà di un artista—qualunque cosa egli voglia esprimere—diventa così l’unico arbitro del “significato” artistico.

Abbandonando Dio come standard assoluto, il relativismo non solo degrada la moralità, ma dissacra anche la bellezza. 

Espressione, trasgressione, emancipazione

Cosa rimane quando la bellezza passa dall’essere qualcosa di esterno, oltre il sé, a qualcosa che ha origine dentro di noi? Cosa rimane quando si perde la concezione trascendente della bellezza? Soltanto la nuda volontà che afferma se stessa; l’espressione soggettiva che presenta se stessa come bellezza. 

Quello che rimane è lo spettacolo dell’intervallo del Super Bowl. 

Quello che rimane è “arte” celebrata non per la qualità, il significato e la bellezza insita in essa, ma semplicemente per il fatto di rappresentare un punto di vista (specialmente se sottorappresentato o marginalizzato). Quello che rimane non è il valore di una creazione artistica ma il valore della trasgressione creativa —ideare nuovi modi per spingersi oltre i limiti, stravolgere le convenzioni sociali, turbare, scioccare e reinventare. Quello che rimane è Lady Gaga e il logorante bisogno continuo di novità, o Billie Eilish che canta una versione goth e stomachevole di “Yesterday” agli Oscar. Quello che rimane sono le vane provocazioni della “poesia” di Rupi Kaur, o la squallida estetica visiva di Lars Von Trier.    

Taylor Swift lo ha affermato in modo conciso quando disse, mentre girava uno spot pubblicitario per dei cosmetici: “Essere unici e diversi è la nuova generazione della bellezza". La bellezza, per Swift e gran parte della cultura moderna, è il rifiuto iconoclasta di ogni standard precedente o attuale, e l’abbraccio della libertà assoluta del sé per definire la bellezza in qualunque modo uno voglia. Di nuovo, non si tratta soltanto di ignorare le norme morali—si tratta di trasgredirle, farle a pezzi. Dissacrazione. 

Ecco perché una cosa come lo spettacolo dell’intervallo del Super Bowl—o qualunque atto provocatorio nella cultura popolare —è ora visto come arte. Più dà fastidio e fa scuotere la testa alla gente o coprire gli occhi ai loro figli, e meglio è. Più demolisce i vecchi standard di bellezza apparentemente oppressivi e li sostituisce con qualunque cosa l’artista voglia fare o dire, più è “emancipante”. E se c’è una cosa che ha sostituito la bellezza come telos supremo dell’arte nel mondo di oggi, questa è l’emancipazione. 

Ma questo nuovo mondo dove la bellezza è dissacrata non è veramente emancipato. Piuttosto imprigiona la nostra cultura in un’inevitabile vortice di conflitti incessanti, stridenti, e alla fine irrisolvibili su quale espressione sia la più importante. Ma in questo vortice è la bellezza a scomparire, e un mondo senza bellezza è un luogo terrificante.

La via che riporta alla bellezza

Che cosa dobbiamo fare? Il mondo ha un bisogno disperato che qualcuno le indichi la via che riporta alla bellezza. Non è sufficiente lamentare la scomparsa della bellezza. Occorre fare qualcosa.

Scrivendo su San Francesco d’Assisi, G. K. Chesterton disse che un grande paradosso della storia è che ogni generazione è convertita dal santo che ne è agli antipodi. Chesterton credeva che quando una generazione diventa troppo mondana, sta ai santi, o alla chiesa, riprenderla. San Francesco incarnò questa riprensione culturale con la vita che egli visse. Il santo “non è quello che la gente vuole, ma piuttosto quello di cui la gente ha bisogno”, Chesterton scrive; il santo è qualcuno che non si conforma al mondo in cui vive. 

Abbiamo bisogno di artigiani e narratori, imprenditori e amministratori delegati, manager e genitori coraggiosi—cristiani di ogni ceto sociale che rendono testimonianza della bellezza nelle loro vite quotidiane. 

La via che riporta alla bellezza può iniziare con il semplice atto del vedere. Possiamo fare una passeggiata ed ammirare la creazione di Dio e “raccogliere cose insolite” come rocce o fiori di campo. Per percorrere questo sentiero dovremmo pure cambiare la nostra prospettiva sull’importanza della bellezza nella nostra teologia. Essa non è una semplice consolazione della nostra fede; la bellezza è fondamentale per la nostra fede. Possiamo anche porre fine alla grossolana tendenza modernista di costruire efficienti scatole nere e chiamarle chiese, e porre maggiore attenzione a come una bella architettura possa suscitare stupore, segnalare grandezza e insegnare l’umiltà. Che cosa succederebbe se le chiese impiegassero artisti in sede, ordinassero al ministero dei poeti o sponsorizzassero una mostra d’arte cittadina?

C. S. Lewis disse: “Il nostro compito è presentare ciò che è senza tempo nella lingua particolare della nostra epoca”. E ha tracciato un sentiero con un’immaginazione battezzata e la bellezza come suoi strumenti. Anche noi dovremmo metterci all’opera, e indicare di nuovo al mondo la vera bellezza.


Timothy Willard (PhD, King’s College London) è uno scrittore che vive a Charlotte, North Carolina, dove vive con sua moglie, tre figlie e una schiera di chiassosi gufi della Virginia. Ha scritto tre libri e gli piace correre per i sentieri di montagna. Puoi seguirlo su Instagram.

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