Come l’arte può prepararti alla sofferenza

Il problema del male ha rappresentato per molto tempo una sfida per i cristiani. Come può un Dio amorevole e onnipotente permettere il dolore e la sofferenza nella sua creazione buona? Chiaramente, la domanda non rimane mai su un piano teorico. In un modo o nell’altro, è un problema che ognuno di noi dovrà affrontare direttamente. La domanda è: saremo pronti quando riceveremo l'inevitabile telefonata che non avremmo mai voluto ricevere? Che cosa possiamo fare oggi per prepararci per la sofferenza e il dolore di domani?

Potrà sembrerà controintuitivo, ma parte della mia risposta è: visitare una galleria d’arte.

L’arte è sempre stata un mezzo fondamentale di formazione e rinnovamento spirituale nella chiesa. L’arte ci invita a guardare più in alto, a guardare più in profondità—a riconoscere il trascendente in oggetti ordinari come i quadri e la creta. L’esperienza del trascendente pone il proprio dilemma, che è una sorta di contrappunto al dilemma del male.

Così come il male ci porta a chiederci: “Come può esistere questo se c’è un Dio?” la bontà e l’ordine che vediamo nell’arte ci porta a chiederci: “Come può esistere questo se non ci fosse un Dio?” In realtà, potremo dare un senso alla bruttura del mondo nei momenti di crisi solo se prima cerchiamo di dare un senso alla bellezza che c’è nel mondo nei momenti di grande gioia. Affrontare il problema del piacere ci preparerà ad affrontare il problema del dolore.

Vedere oltre

Il grande direttore d’orchestra e compositore Leonard Bernstein scrisse molto bene:

Beethoven sfornò pezzi di una giustezza mozzafiato. Giustezza, ecco la parola giusta! . . . Il ragazzo ha del vero talento, un dono dal cielo, ha il potere di farti dire alla fine: c’è qualcosa di giusto nel mondo. C’è qualcosa di valido dappertutto, che segue la propria legge coerentemente: qualcosa di cui possiamo fidarci, che non ci deluderà mai.

Nella rappresentazione cristiana del mondo, la creazione è sacramentale: essa punta oltre se stessa. Ma se non abbiamo gli occhi allenati per andare alla ricerca di ordine e significato durante un concerto sinfonico, probabilmente non vedremo con gli occhi della fede in mezzo alla tragedia. Perciò, che sia un brano musicale, un quadro, una scultura—tutta l’arte dovrebbe guidare i nostri occhi oltre l’immediato e verso l’infinito, oltre la creazione verso il Creatore.

Questo è un punto che C. S. Lewis fa ne L’onere della gloria:

I libri o la musica in cui credevamo risiedesse la bellezza ci tradiranno se ci affideremo a loro; la bellezza non era dentro di loro ma passava attraverso di loro, e ciò che li attraversava era il desiderio. Queste cose – la bellezza, il ricordo del nostro passato – sono buone immagini di ciò che desideriamo realmente; ma se le confondiamo con la cosa in sé, diventano idoli insulsi, spezzando il cuore di chi li venera. Poiché non sono la cosa in sé; sono solo il profumo di un fiore che non abbiamo trovato, l’eco di una melodia che non abbiamo udito, notizie di un paese che non abbiamo ancora mai visitato.

Nell’occidente secolare e demitologizzato, ai nostri occhi viene detto di guardare a e in, ma mai attraverso, e di sicuro non in alto. Qualunque nome si voglia dare a questo fenomeno culturale —oggettivismo, scientismo, utilitarismo—i suoi effetti sono palpabili: siamo abituati a vedere la creazione come semplice natura, un fine in sé, un oggetto da dissezionare ma in cui certamente non prendere diletto.

In una cultura del genere, per apprezzare l’arte è necessaria una maggiore disciplina e un maggiore sforzo che in passato. In un primo momento, la creta sembra solo un ammasso di terra. Tuttavia, se prendi l’abitudine di fermarti davanti alla stessa scultura ogni volta che visiti un museo, nel corso dei mesi e degli anni scoprirai che la creta si trasforma in qualcosa di diverso. Assume un nuovo significato e un nuovo valore. Ma ovviamente non è l’oggetto in sé a cambiare, è il modo in cui lo vediamo. Il modo in cui si vede è cambiato non perché è cambiato l’oggetto che si vede ma perché è cambiato colui che lo vede.

Il problema è che vedere bene richiede intenzionalità, specialmente in un’epoca distratta come la nostra. Vedere più di un ammasso di polvere in una scultura richiede una pazienza che è sempre più rara nella nostra epoca frenetica. Ma se noi come seguaci di Cristo vogliamo onorare la meravigliosa creazione di Dio (incluse le creazioni degli uomini che portano la sua immagine), dobbiamo coltivare questo modo di vedere paziente.

Il problema del dolore e del piacere

Le condizioni che rendono difficile apprezzare l’arte sono le stesse condizioni che rendono difficile fare i conti con il problema del male. Gli stessi occhi che vedono soltanto un ammasso di creta in una scultura vedranno soltanto decolorazione e cicatrici guardando lo specchio dopo un intervento chirurgico importante. Al contrario, occhi allenati a vedere significato e bellezza stando seduti sulla panca di un museo saranno in grado di distinguere l’opera di Dio mentre giacciono su un letto d’ospedale, anche se vedono ancora come attraverso uno specchio, in modo oscuro.

Questo non vuol dire che scopriremo sempre significato solo guardando qualcosa molto attentamente. Il significato nell’arte, come nella sofferenza, a volte è sfuggente se non inaccessibile. La morte di un nostro caro o una difficoltà costante spesso ci appaiono senza senso, assurde, prive di significato. Certa musica o film eccessivamente artistici possono farci provare la stessa sensazione. Ma gli estremi non intaccano il principio più generale. Più guardiamo l’arte in modo attento e intenzionale, più saremo in grado di dare un senso a tutta la realtà.

L’arte è fondamentale nel recuperare le capacità necessarie a riacquistare una giusta disposizione verso la realtà. Essa può aiutarci a vedere ordine e coesione nel vero, nel buono e nel bello. Un profonda familiarità con il bello non solo può darci lo standard con il quale poter riconoscere il brutto e dargli un nome, ma una volta che ci siamo abituati a cercare significato nei momenti di gioia, forse potremo anche vedere con gli occhi della fede nei momenti di disperazione.

Potremmo dirlo in questo modo: Il problema del dolore diventa più gestibile se abbiamo già fatto i conti con il problema del piacere.


Dustin Messer (BA, Boyce College; MA, Covenant Theological Seminary; ThD, La Salle University) è parroco di All Saints Dallas nel centro di Dallas, Texas, e insegna al Dallas campus of Reformed Theological Seminary e al The King’s College a New York City. La moglie di Dustin, Whitney, aiuta a dirigere una classica scuola cristiana nei pressi della loro chiesa. La coppia ha una figlia, Pennilyn Grace.

Il presente articolo è un’opera di elaborazione di traduzione di IMPATTO ITALIA. Il suo utilizzo totale o parziale è proibito in ogni forma previa richiesta e autorizzazione di Impatto Italia (impattoitalia@gmail.com). Il contenuto del presente articolo non è alterabile o vendibile in alcun forma.

L’uso del presente articolo è autorizzato dall’editore originale ©TGC. La risorsa originale può essere consultata al seguente link: https://www.thegospelcoalition.org/article/art-prepare-suffering/
© IMPATTO ITALIA

Dustin Messer