Il paradosso della gioia e del dolore nel ministero

Dopo una settimana di alti e bassi nel ministero, un membro della mia chiesa mi chiese come mi sentissi. Senza esitazione, risposi: “Afflitto, eppure sempre allegro”. 

Trascorsi i minuti successivi spiegando come Dio avesse usato queste parole che si trovano in 2 Corinzi 6:10 per darmi una prospettiva e riorientare il mio cuore per quanto riguarda la natura del ministero. Quella settimana, come molte altre, c’erano state una miriade di circostanze che mi avevano fatto sentire afflitto e allegro.

Una mattina trascorsi un bel tempo nella Parola e in preghiera. Diedi consulenza spirituale ad un fratello in Cristo il cui matrimonio era in difficoltà, visitai un neonato all’ospedale, pregai per un uomo il cui corpo era distrutto dal cancro, cenai con la mia famiglia e la sera predicai ad un campo giovanile. 

Mentre tornavo a casa, fui colpito dal fatto che quella giornata era stata un misto di tristezza e gioia, o, come Paolo dice: “afflitto, eppure sempre allegro” (1 Cor. 6:10). Egli scrisse queste parole in mezzo a difficoltà nel ministero. La chiesa di Corinto era sotto attacco da parte di falsi insegnanti. I Corinzi erano ostili nei confronti di Paolo, e sminuiva il suo messaggio e la sua autorità a causa della sua apparenza debole e del suo modo di parlare insignificante.

Paolo avrebbe potuto convalidare il suo ministero in vari modi, ma con i Corinzi preferì mettere in evidenza le sue sofferenze. A raccomandare il suo ministero erano la grande costanza nelle afflizioni, nelle necessità, nelle angustie, nelle percosse, nelle prigionie, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie e nei digiuni” (2 Cor. 6:4–5). Egli affrontò tutte queste circostanze con purezza, con conoscenza, con pazienza, con bontà, con lo Spirito Santo, con amore sincero, con un parlare veritiero e con la potenza di Dio (2 Cor. 6:6–7).

La frase che stiamo considerando “afflitti, eppure sempre allegri” in 2 Corinzi 6:8–10 è uno dei paradossi che per Paolo fanno parte del ministero cristiano: 

  • gloria e umiliazione

  • buona e cattiva fama

  • considerati come impostori, eppure veritieri 

  • come sconosciuti, eppure ben conosciuti 

  • come moribondi, eppure eccoci viventi

  • come puniti, eppure non messi a morte

  • come afflitti, eppure sempre allegri 

  • come poveri, eppure arricchendo molti

  • come non avendo nulla, eppure possedendo ogni cosa!

In tutto questo, Paolo rimase saldo. Era consapevole che il dolore e la gioia sono realtà quotidiane.

Nel ministero, i nostri cuori soffrono. 

Il ministero di Paolo era spesso caratterizzato dal dolore. I suoi rapporti con la chiesa di Corinto erano aspri, così dolorosi che egli scelse di non far loro visita (2 Cor. 2:1–5). Egli fu accusato, i suoi convertiti si stavano sviando e la credibilità del suo vangelo era messa in discussione. Egli scrive loro con molte lacrime e con un cuore afflitto e angosciato (2 Cor. 2:4).

Nonostante questo, Paolo era in grado di distinguere tra la tristezza secondo il mondo e la tristezza secondo Dio. Il suo desiderio per la salvezza d’Israele gli causava sofferenza e lo rendeva triste (Romani 9:2). Egli espresse il grande dolore che avrebbe sperimentato se Epafrodito fosse morto (Filippesi 2:27). Questi sono alcuni esempi tipici di come un servitore di Dio può sperimentare il dolore nel suo ministero.

Pastore, stare in prima linea nel ministero ti esporrà a depravazione e sofferenze inimmaginabili e farà piombare la tua anima nel dolore, nell’afflizione, nel tormento, nella sofferenza, nella tristezza e nell’angoscia. Il ministero pastorale può essere doloroso. Dolore continuo proviene dalle cose che succedono a te e alla tua chiesa. Ma il ministero non è solo questo.

Nel ministero, la gioia è sempre accessibile.

La gioia può convivere con il dolore. La fonte della gioia di Paolo era Dio (Rom. 15:13). La gioia è un frutto dello Spirito (Galati 5:22) e una caratteristica del regno (Rom. 14:17). La gioia viene vissuta quando i credenti sono radunati (2 Cor. 7:15; Rom. 15:32; 1 Cor. 16:17) e mette il credente in un atteggiamento di preghiera e di speranza. L’esortazione di Paolo a rallegrarsi non era rivolta solo alla chiesa ma anche a se stesso. Filippesi 4:4 ci ricorda che egli si rallegrava sempre nel Signore.

Pastore, “rallegrarsi sempre” non significa ignorare la realtà, ma abbracciare il dono divino della preghiera e del lamento rimanendo aggrappati alle promesse di Dio adempiute in Cristo. La nostra grande certezza è che Dio trasforma il nostro “dolore in danze” (Salmo 30:11). John Bunyan illustra bene questo punto nel Pellegrinaggio del cristiano. Anche se ci sembra di essere rinchiusi nella prigione del gigante della disperazione, abbiamo la chiave della promessa. Così come il sole continua a splendere in una giornata nuvolosa, la gioia è sempre accessibile nelle stagioni cupe.

Nel ministero, la gioia e il dolore esistono paradossalmente. 

Per i leader di chiesa, il dolore e la gioia sono realtà spirituali paradossali. Il dolore e la gioia sono presenti simultaneamente in questa vita. Non dovremmo nemmeno farci troppo caso. Paolo ci ricorda che la gioia e il pianto hanno il loro posto a seconda della situazione (Rom. 12:15). 

Pastore, è normale provare dolore per le delusioni e le incomprensioni. Tuttavia, devi mostrare alle persone come essere tristi con speranza (1 Tess. 4:13). Rallegrati nei momenti favorevoli e nelle difficoltà della vita. Mostra che la gioia è profondamente radicata nella fede e non nei sentimenti. Il dolore e la debolezza producono gioia quando diventano delle piattaforme per la proclamazione del vangelo e l’edificazione della chiesa (2 Cor. 13:9).


Raphael è pastore della City Church a Williamsport, Pennsylvania. È nato e cresciuto a Bulawayo, Zimbabwe, e sta conseguendo una laurea in Ministero presso il Midwestern Baptist Theological Seminary. Raphael è sposato con Heidi e ha tre figli e due figlie.

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Raphael Mnkandhla