La buona teologia è importante, ma non è la nostra meta finale

“Lo scopo della teologia è la dossologia. Lo studio ha come fine la lode”. (J.I Packer)

Molti di noi sono frustrati quando vedono lo scollamento tra i nostri pensieri su Dio e la nostra esperienza di Dio. C’è un divario tra la vita della mente e la vita del cuore. È così anche per te?

Una delle grandi tragedie della generazione odierna di cristiani è la separazione tra cristianesimo teologico e cristianesimo esperienziale. Da un lato, tendiamo ad avere chiese impegnate alla precisione teologica, a conoscere la Parola di Dio e mantenere una visione alta dei sacramenti del battesimo e della Cena del Signore. Questo gruppo è generalmente conosciuto per la predicazione espositiva, la teologia sistematica, e uomini bianchi morti che hanno scritto molti libri. Chiameremo questo gruppo “i pensatori”.

Dall’altro lato tendiamo ad avere chiese impegnate a coltivare l’esperienza di Dio, conoscere lo Spirito Santo nella comunione personale, e coinvolgere le emozioni vivendo esperienze profonde di adorazione comunitaria. Questo gruppo ama la passione, la rilevanza culturale e tutto ciò che supera la prova pragmatica del “funziona”. Chiameremo questo gruppo “i  sentimentali”. I pensatori spesso considerano i sentimentali degli sconsiderati, e i sentimentali disprezzano i pensatori reputandoli privi di vita.

E nella maggior parte dei casi, entrambi hanno completamente ragione.

Verità in fiamme

E se non dovessimo scegliere tra una fede intelligente e una fede appassionata? Dopotutto, avere una mente acuta e un cuore freddo è fallimento altrettanto colossale che avere un cuore radicalmente infuocato per cose assurde. La vita della mente e la vita del cuore non hanno bisogno di essere riconciliate, perché il loro destino è sempre stato quello di essere amiche. Dio si aspetta che ricerchiamo un cristianesimo impegnato in modo radicale alla chiarezza teologica senza sminuire la vita del cuore, anzi, intensificandola.

Dopotutto, Gesù non ha detto che il comandamento più importante dell'intero universo è che coltiviamo un amore per Dio che include tutto il nostro cuore e tutta la nostra mente (Marco 12:28-30)? Come mai così spesso ci accontentiamo solo di uno o dell’altro? Il motivo è questo: abbiamo paura.

Alcuni di noi hanno paura di un cristianesimo teologicamente robusto che coinvolge solo la mente perché abbiamo sperimentato la fredda mancanza di amore di coloro che preferiscono discutere più che adorare e dibattere più che gioire. Ci ritiriamo in modo naturale da coloro che usano la teologia come un’arma. I cristiani che sono in grado di esporre le dottrine della grazia che però mancano di grazia—che comprendono le sfumature della giustificazione ma le cui vite mancano di gioia—sono, nella migliore delle ipotesi, disorientanti. Nella peggiore, possono provocare gravi danni ai loro fratelli e alle loro sorelle in Cristo.

Altri hanno paura di un cristianesimo esperienziale che coinvolge solo le emozioni perché hanno visto i danni che si fanno quando l’esperienza spirituale è separata dalla conoscenza biblica. Sono stanchi di un cristianesimo esaltato che è autentico quasi come le risate registrate delle serie TV degli anni ’90. Hanno conosciuto l’impotenza di adorare l’adorazione e avere fede nella fede. Vogliamo la verità, la cosa vera, la realtà di Dio, così come egli si è rivelato nella sua Parola.

È tempo di lasciarci alle spalle le nostre paure e di capire che possiamo avere entrambe le cose, invece di dovere scegliere tra la solidità della dottrina e l’esperienza personale. Se il giusto pensare è il camino, allora la giusta esperienza è la fiamma. Ci servono entrambi. Senza il camino, le nostre esperienze spirituali possono essere pericolose, e lasciare molte vittime bruciate nella loro scia. Senza la fiamma, la nostra splendida teologia diventa solo una bella decorazione, che se ne sta lì ferma inutilmente e senza vita nell’angolo delle nostre vite. Così non possiamo accontentarci dell’una senza l’altra. Il predicatore del 13° secolo Antonio da Padova, che ricevette la formazione teologica dei seguaci di Francesco di Assisi, iniziava ogni sua lezione con la frase: “Quale valore può avere l’apprendimento se non lo si trasforma in amore?” Il nostro obiettivo deve essere entrambi.

Chi ha cuore e coraggio non perde

In una scena famosa del popolare spettacolo televisivo Friday Night Lights, Coach Taylor incita la sua squadra di calcio con quello che è diventato il celebre motto dello show: “Chi ha cuore e coraggio non perde”. Non descrive il genere di cristianesimo che sotto sotto tutti desideriamo? Non è questa coesistenza di testa e cuore esattamente ciò per cui Paolo prega quando scrive dalla cella di una prigione: “E prego che il vostro amore abbondi sempre più in conoscenza e in ogni discernimento” (Filippesi 1:9)? Pietro non dice la stessa cosa? “Infine, siate tutti . . . misericordiosi e umili” (1 Pietro 3:8). Se questo è il cristianesimo normale, perché dovremmo accontentarci di qualcosa di meno? Ecco una buona notizia: non dobbiamo scegliere tra precisione teologica e passione incandescente. Dio vuole che rifiutiamo sia l’ortodossia morta sia l’ignoranza appassionata.

La buona teologia è importante, ma non è la nostra meta finale. Essa serve a condurci verso un’esperienza più profonda di Colui in vista del quale siamo stati creati. È il propellente della nostra adorazione.

E se noi cristiani del 21° secolo fossimo conosciuti per essere dei discepoli di Gesù che sono tanto intelligenti quanto appassionati? E se pensieri profondi su Dio ed esperienze profonde di Dio diventassero la norma della nostra adorazione in ogni sfera delle nostre vite? Prova a immaginare se le nostre chiese fossero conosciute sia per una visione alta delle Sacre Scritture sia per una visione alta dello Spirito Santo (che, com'è risaputo, ne è l’autore). Ora più che mai, abbiamo bisogno di quello che l’autore Richard Lovelace ha chiamato “Pensiero biblico abilitato dallo Spirito Santo”. Il genere di cristianesimo che rifiuta di accontentarsi di ortodossia morta o di insensatezza esuberante.

La sana dottrina è importante, così come lo è la comunione autentica. Gesù ci chiama a seguirlo pensando a lui nel modo giusto—non come fine in sé—ma come mezzo mediante il quale poter sperimentare la sua presenza in modo reale e godere di lui profondamente, ogni giorno delle nostre vite.


Adam Ramsey ama veramente Gesù e prende sul serio la gioia. È il pastore di Liberti Church a Gold Coast, Australia, ed è il direttore del network Acts 29 Australia, Nuova Zelanda e Giappone. Adam è pure l’autore di Truth on Fire: Gazing at God until Your Heart Sings. Le parti che preferisce della vita includono l’essere sposato con Kristina, creare ricordi con i loro cinque figli e ridere a tavola durante un buon pasto. Puoi seguirlo su Twitter.

Il presente articolo è un’opera di elaborazione di traduzione di IMPATTO ITALIA. Il suo utilizzo totale o parziale è proibito in ogni forma previa richiesta e autorizzazione di Impatto Italia (impattoitalia@gmail.com). Il contenuto del presente articolo non è alterabile o vendibile in alcun forma.

L’uso del presente articolo è autorizzato dall’editore originale ©A29. La risorsa originale può essere consultata al seguente link: https://www.acts29.com/good-theology-matters-but-its-not-our-final-destination/

© IMPATTO ITALIA