Incoraggia il buono
Oltre venti anni fa, dopo essermi laureato dall’università, lavorai un anno per un movimento cristiano a Birmingham, Inghilterra. È stato un privilegio. C’era formazione teologica, servizio pratico e alcune belle opportunità di ministero tra gli studenti, come incontri di piccoli gruppi, studi biblici a tu per tu e le curiose conversazioni all’ingresso.
È stato un anno di grande crescita. Ho potuto immergermi profondamente nel Vangelo di Giovanni grazie ai commentari di D.A. Carson e familiarizzare con la teologia sistematica grazie al libro di Bruce Milne Know the Truth. Tuttavia, quell’anno ha rivelato anche una tendenza inaspettata nel mio cuore: la capacità di criticare. La chiarezza nella comprensione fu accompagnata dalla critica degli altri.
Essere gonfi o edificare?
Oggi, nel leggere ciò che Paolo scrisse alla chiesa di Corinto, mi domando se il contesto in cui egli scriveva fosse simile al mio. Paolo scrisse la sua epistola a una chiesa divisa e disordinata che si dichiarava saggia ma trascurava le persone vulnerabili. Le persone conoscevano la verità e la teologia, ma tale conoscenza non veniva usata per fare il bene, per edificare gli altri, ma per fare inciampare i più deboli.
Paolo dichiara esplicitamente: “La conoscenza gonfia, ma l’amore edifica” (1 Corinzi 8:1). Pensiamo a una persona con la mente piena di verità ma che, invece di permettere che le sue nozioni corrette cambino il suo cuore e lo rendano conforme a Cristo nel sacrificio di sé e nell’amore generoso per il prossimo, finisce con gonfiare il suo ego come un pallone. A Corinto (e in me), l’arroganza egocentrica contaminava la buona teologia.
Non ero l’unico. Infatti, mentre il nostro gruppetto a Birmingham condivideva la vita comune, praticando la confessione, l’incoraggiamento e la preghiera, era diventato evidente che molti altri stavano combattendo questa battaglia contro l’orgoglio. Non volevamo essere le “sirene della polizia”, dei farisei che filtrano il moscerino in grado di individuare imperfezioni teologiche a cinquanta metri di distanza. Meditavamo sull’avvertimento di Paolo sul rame risonante e sui cembali squillanti, su persone che parlano “le lingue degli uomini e degli angeli”, che conoscono “tutti i misteri e tutta la scienza” e che distribuivano persino “tutti i (loro) beni”, ma che non avevano amore (1 Corinzi 13:1-3). Vedevamo questo in noi ma non lo volevamo.
Una via migliore
Fu in questo periodo che per la prima volta sentì la semplice frase: “Incoraggia il buono”. Fu una ventata di aria fresca per noi. Parlava di una cultura di incoraggiamento e di un atteggiamento di riconoscimento e gratitudine per le cose buone che vedevamo nella vita degli altri. Invece di criticare, giudicare e condannare, si trattava semplicemente di incoraggiare il buono.
Questo concetto si trova anche lì a Corinto! Nonostante il caos nella chiesa e la critica che seguirà, Paolo inizia la sua epistola incoraggiando i credenti di Corinto. Naturalmente, incoraggiare non significa non sfidare, non mettere in discussione e non criticare. Incoraggiare significa essere grati a Dio per le cose di cui possiamo essere veramente grati. Come puoi edificare gli altri nell’amore (chiunque essi siano)? Quali sono le cose buone che puoi evidenziare? Dove hai visto Dio all’opera in loro o attraverso di loro? Perché sei grato per loro?
Ho cercato di mantenere questo atteggiamento. Anzi, ho cercato di crescere in questo perché, a quanto pare, molte persone sono affamate di incoraggiamento. Si può incoraggiare in modi diversi a seconda del periodo. Si può mandare un sms, una email, fare una telefonata, o liberare spazio nella propria agenda ogni settimana per scrivere cartoline alle persone.
Un bisogno duraturo
La mia ipotesi è che non solo ne abbiamo bisogno ora, ma ne avremo sempre più bisogno nei mesi, negli anni e nei decenni futuri. Siamo persone che hanno bisogno di ricevere incoraggiamento.
In generale, abbiamo bisogno di incoraggiamento ora perché viviamo “sotto il sole” (Ecclesiaste 1:14)—un luogo di peccato, sofferenza e frustrazione. Viviamo in mezzo a spine e rovi, in un mondo in cui è difficile essere un seguace di Gesù. Tuttavia, abbiamo bisogno di incoraggiamento ora soprattutto a causa degli ultimi due anni. Ne abbiamo bisogno nell’affrontare la fine di una pandemia globale e le difficoltà fisiche, sociali, emotive e spirituali che essa ha portato.
Avremo bisogno di incoraggiamento anche per il futuro, nell’affrontare le conseguenze del Covid, certo, ma anche perché la nostra società si sta secolarizzando sempre di più. Il suolo è difficile. Dobbiamo cercare il buono e ricordarci gli uni gli altri che è lì.
Gratitudine e incoraggiamento
Ti unirai a me in questo atteggiamento di incoraggiamento con un cuore grato? Creiamo una cultura nelle nostre chiese che porti avanti il compito essenziale di incoraggiare gli altri. Invece di puntare semplicemente il dito sulle cose che non vanno del tutto bene o che avrebbero potuto essere fatte meglio, sii grato per il buono che vedi.
Se sei un fondatore di chiesa, un pastore, o un leader, pensa a come puoi cercare deliberatamente ogni giorno opportunità di incoraggiare generosamente il buono che vedi. Se sei un membro di chiesa, come puoi incoraggiare altri nella tua chiesa? Come puoi incoraggiare il tuo pastore o i membri del gruppo dei leader? In base alla mia esperienza, nessuno che abbia un ruolo di leadership corre il rischio di essere troppo incoraggiato.
Gratitudine e incoraggiamento sono inseparabili. Potremmo aver bisogno di fare qualche ricerca, ma troveremo sempre qualcosa di buono perché il nostro Dio è sempre buono. Perciò, anche in situazioni complicate, grandi difficoltà o relazioni frustranti, rivolgiamo la nostra mente con gratitudine a Cristo e incoraggiamo il buono.
Dan Steel è il pastore di Magdalen Road Church a Oxford, Inghilterra. Prima di ritornare nella sua città natale di Oxford, ha aiutato a fondare Grace Church Stirchley a Birmingham. Lui e sua moglie, Zoe, hanno quattro figli. Puoi connetterti con lui qui.
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