Il cuore del vangelo: La giustizia di Dio basata sulla fede

Messaggio di John Piper

  • Tema: Giustificazione

Nel capitolo 3 di Filippesi incontriamo due grandi ostacoli che Paolo doveva superare per diventare il cristiano che ci chiama a essere al capitolo 2, e per essere egli stesso accettato davanti a Dio. Anche se noi non siamo esattamente come Paolo, gli stessi ostacoli si frappongono tra noi e Dio e tra noi la vita cristiana.

Il primo ostacolo è rappresentato dalla consapevolezza di Paolo di essere religiosamente superiore a tutti i suoi oppositori che si stanno vantando della loro superiorità religiosa. Come potrà mai stimarli superiori a se stesso? Il secondo ostacolo è che questa superiorità religiosa non può mai essere sufficiente per rendere Paolo gradito a Dio. Perciò paradossalmente, in un senso, Paolo sembra essere troppo superiore in termini religiosi per essere un cristiano umile, e in un altro senso, non è neanche lontanamente religioso a sufficienza per essere approvato da Dio.

Quello che osserveremo è che il trionfo su entrambi questi ostacoli è, primo, che Paolo considera tutta la sua superiorità religiosa (la sua giustizia) priva di qualsiasi valore. La chiama rifiuto, spazzatura, sterco. E secondo, il suo essere accettato da Dio non si fonda sulla sua giustizia, ma sulla giustizia che viene da Dio, basata sulla fede. In altri termini, il trionfo che porta all’accettazione di Paolo da parte di Dio e la sua capacità di vivere la vita cristiana è la dottrina della giustificazione per fede.

Ostacoli all’umiltà

Leggiamo i versetti che mostrano questi due ostacoli. Versetti 1–8:

Del resto, fratelli miei, rallegratevi nel Signore. Io non mi stanco di scrivervi le stesse cose, e ciò è garanzia di sicurezza per voi. Guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai, guardatevi da quelli che si fanno mutilare; perché i veri circoncisi siamo noi, che offriamo il nostro culto per mezzo dello Spirito di Dio, che ci vantiamo in Cristo Gesù, e non mettiamo la nostra fiducia nella carne; benché io avessi motivo di confidarmi anche nella carne. Se qualcun altro pensa di aver motivo di confidarsi nella carne, io posso farlo molto di più; io, circonciso l'ottavo giorno, della razza d'Israele, della tribù di Beniamino, ebreo figlio d'Ebrei; quanto alla legge, fariseo; quanto allo zelo, persecutore della chiesa; quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile. Ma ciò che per me era un guadagno, l'ho considerato come un danno, a causa di Cristo. Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all'eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo.

Da un lato, Paolo è consapevole che il suo zelo e la sua osservanza della legge superano quello dei suoi oppositori che si vantano dei loro successi in ambito religioso. Versetto 4: “Se qualcun altro pensa di aver motivo di confidarsi nella carne, io posso farlo molto di più”. Notate in particolare la seconda metà del versetto 6: “quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile”. In che modo dunque Paolo potrà stimare questi “cani”, come li definisce al versetto 2, superiori a se stesso e servirli? Questo è un ostacolo. Ma l’altro è quasi l’opposto. Versetti 7–8:

Ma ciò che per me era un guadagno, l'ho considerato come un danno, a causa di Cristo. Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all'eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo.

Paolo prende tutta quell’osservanza della legge del versetto 6 — “quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile” — e la definisce danno (spazzatura in inglese). Che fine fa la sua accettazione da parte di Dio? Dio ha dato delle leggi sante, dicendo: “chiunque le metterà in pratica vivrà” (Levitico 18:5; Romani 10:5; Galati 3:12). E ora Paolo dice: “Tutti i miei sforzi per vivere per mezzo di esse — ed erano i migliori degli sforzi — sono inutili per essere accettato da Dio”.

Paolo ha ora dichiarato di essere religiosamente superiore a tutte le persone che dovrebbe servire umilmente, e che questa superiorità è priva di valore davanti a Dio. Come sarà dunque accettato da Dio? E come potrà servire i suoi nemici con risolutezza e amore? Troviamo la sua risposta ai versetti 8 e 9.

Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all'eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede.

Cinque sfide alla giustificazione

Prima di cercare di spiegare queste parole, vorrei inserire questo messaggio nel contesto del mio interesse generale per la dottrina della giustificazione negli ultimi 20 anni circa. In America, il dibattito sulla giustificazione si è attenuato parecchio negli ultimi due o tre anni. Questo potrebbe significare che l’insegnamento storico della Riforma sulla giustificazione si è consolidato, o che i contendenti nella discussione dottrinale si sono semplicemente stancati.

Ma credo che John Owen avesse ragione quando diceva che nella storia della chiesa ci sono “innumerevoli sotterfugi” della dottrina della giustificazione per fede, e in ogni generazione sorgeranno nuove confusioni rispetto a questa dottrina alle quali fare attenzione. Vorrei solo nominarne cinque che hanno caratterizzato gli ultimi due decenni.

  1. I confini tra la fede evangelica e la dottrina Cattolica Romana si sono sfumati.

  2. Si è affermato che la dottrina dell’imputazione dell’ubbidienza di Cristo non si trova nel Nuovo Testamento.

  3. La Nuova Prospettiva su Paolo — specialmente N. T. Wright — ha ridisegnato la mappa della teologia del Nuovo Testamento creando una diffusa confusione su cosa sia la giustificazione e come essa si colleghi al vangelo, alla conversione, e al giudizio finale.

  4. Altri hanno talmente unito la fede e i suoi frutti che l’espressione “per sola fede” non è più il fondamento per la santità, ma è ora virtualmente la stessa cosa.

  5. E alcuni hanno talmente alterato il significato comune della parola “giustizia” che l’atto della giustificazione non si riferisce più al giusto comportamento o a un’opera giusta di qualcuno, ma solo al verdetto di assoluzione in un’aula di giustizia.

La giustizia di Dio nell’unione con Cristo

Iniziamo dal modo in cui Paolo utilizza la parola “giustizia” al versetto 6. Consideriamo di nuovo i versetti 5–6: “Quanto alla legge, fariseo; quanto allo zelo, persecutore della chiesa; quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile”. “Quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile” al versetto 6b è un’espressione parallela a “quanto allo zelo, persecutore” al versetto 6a.

Il significato logico quindi è: il suo zelo è manifestato nella persecuzione, e la sua giustizia è manifestata nel suo comportamento irreprensibile. Qui dunque la giustizia ha il suo solito significato. Indica il modo in cui una persona si attiene a un codice morale. La sua giustizia consiste nel suo comportarsi correttamente secondo la legge.

Poi, al versetto 8, egli dice che considera questa giustizia — questa impressionante descrizione di osservanza della legge — come un danno. Il versetto 9 ci dice perché: Il suo scopo è di giungere a una giustizia che non deriva dai suoi atti morali. Versetti 8 e 9:

Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all'eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto [inclusa la mia giustizia derivante dall’osservanza della legge]; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede.  

Egli rinuncia alla sua giustizia che gli procurava l’osservanza della legge, e si rivolge a Cristo quale suo Tesoro supremo. “Ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore”. Rivolgendosi a Cristo e rinunciando a fare affidamento sulle sue opere giuste, egli fa l’esperienza dell’unione con Cristo. Egli è “trovato in lui”. Trovato in lui!

E in quest’unione con Cristo, non ha più la sua giustizia di una volta: “Non con una giustizia mia, derivante dalla legge”. E’ una chiara allusione al versetto 6: “quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile”. E in contrasto a questa giustizia derivante dalla sua osservanza della legge, egli ora ha “quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede”. In altri termini, la mia giustizia davanti a Dio non è più la mia osservanza della legge, è “da Dio”. Adesso la mia giustizia deriva dalla fede in Cristo, non dall’osservanza della legge. L’ho ottenuta attraverso l’unione con Cristo. Questa giustizia da Dio mi è stata data in unione con Cristo.

Una giustizia non nostra

Ora pensiamo per qualche minuto alle implicazioni di tutto questo. Una è che questa giustizia in Cristo da Dio non è un semplice verdetto. Non è un semplice verdetto di assoluzione. E’ lo stesso tipo di “giustizia” (dikaiosune) del versetto 6: “quanto alla giustizia che è nella legge, irreprensibile”. Questa era la sua “giustizia” (dikaiosune) e ora in Cristo egli ha la “giustizia” (dikaiosune) di un altro. “Giustizia” significava il comportamento di un altro al versetto 6. E questo è il modo naturale di intenderla al versetto 9.

In effetti, non avrebbe proprio alcun senso per lui dire “non con un verdetto mio” o “non avendo un mio verdetto di assoluzione”. Un verdetto di assoluzione sarebbe stato suo. Paolo sta dicendo che tutto quel cha fatto nella sua vita ora non ha nessun valore come fondamento del fatto che Dio è totalmente per lui. Egli ha bisogno della giustizia di qualcun altro.

La giustizia di Cristo ci afferra

Un’altra cosa che possiamo dire sulla giustizia che Paolo ha “in Cristo” stando al versetto 9 è che essa non è la nuova condotta di Paolo sotto la potenza dello Spirito. Paolo non sta sostituendo la giustizia dell’osservanza della vecchia legge con la giustizia dell’osservanza della nuova legge. Ci sono almeno tre ragioni per affermare questo.

  1. L’espressione “essere trovato in lui” con questa nuova giustizia che non è sua, mette l’enfasi sull’unione con Cristo e sul modo in cui troviamo Paolo in Cristo. Sembra più logico ritenere che Paolo stia evidenziando la sua posizione in Cristo e la nuova giustizia che egli possiede in Lui, che non è la sua condotta inadeguata cui farà riferimento poco dopo, al versetto 12 — “Non che io abbia già ottenuto tutto questo o sia già arrivato alla perfezione . . .”

  2. La giustizia a cui Paolo rinuncia come “sua” non è chiamata carnale o legalista al versetto 9. Non è ciò su cui si sta concentrando. La chiama semplicemente “mia” e “dalla legge”. La parola “dalla legge” (ek nomou) è utilizzata quattro volte da Paolo (Romani 4:14; Galati 3:18, 21; Filippesi 3:9), e tutte le volte è tradotta come semplice riferimento all’“osservanza della legge” senza avere necessariamente delle connotazioni di fiducia nelle proprie capacità. Paolo sta semplicemente dicendo che un modo di ottenere la giustizia è di ricercarla osservando la legge, cioè adottando una condotta all’altezza di quella legge. Questa è da considerarsi la propria giustizia, anche se si ottenesse dipendendo da Dio perché è la propria condotta, non quella di un altro. E Paolo sta disperando della sua condotta quale giustizia sufficiente a ottenere l’accettazione irrevocabile da parte di Dio.

  3. Quando Paolo giunge al versetto 12, mostra che il suo modo di intendere la sua nuova condotta frutto della potenza dello Spirito è che essa è imperfetta e non costituisce il fondamento della sua posizione in Dio, ma ne è il frutto. “Non che io abbia già ottenuto tutto questo o sia già arrivato alla perfezione; ma proseguo il cammino per cercare di afferrare ciò per cui sono stato afferrato da Cristo Gesù”. Credo che il legame qui con il versetto 9 sia che l’“agguantare” Paolo o l’“afferrare” Paolo da parte di Cristo (katelemphthen hupo Christou) sia essenzialmente il modo in cui siamo “trovati in Cristo”. Cristo ci fa suoi. Ci prende. Ci afferra.

Paolo ritiene che il suo proseguire nel cammino cristiano (vivere la sua vita in ubbidienza) non sia il fondamento della sua accettazione, ma che Cristo ha fatto suo Paolo a tal punto che egli è ora “trovato in Cristo” e, in quanto tale, possiede già una perfetta giustizia che non è sua. Perciò prosegue il cammino per diventare perfetto perché in Cristo egli è perfetto. “Purificatevi del vecchio lievito . . . come già siete senza lievito” (1 Corinzi 5:7). Per queste tre ragioni non credo che Paolo volesse dire al versetto 9 che la sua nuova giustizia in Cristo è la sua nuova condotta che procede dallo Spirito.

La giustizia di Cristo imputata a noi

La terza cosa che possiamo dire sulla giustizia che Paolo ha in Cristo è che il modo più logico di comprendere questa giustizia che abbiamo in Cristo è che essa è la perfetta ubbidienza di Cristo che è imputata a Paolo, poiché Paolo è unito a Cristo (questa è la dottrina dell’imputazione). Il motivo per cui penso che questo sia il modo più logico di intendere quello che dice Paolo qui non è solo per via del contrasto con la sua ubbidienza personale al versetto 6, ma anche a motivo del nesso con l’ubbidienza perfetta di Cristo in Filippesi 2:8.

Filippesi 2:8: “Trovato esteriormente come un uomo, umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce”. Questo è stupefacente. Capite cosa fa Paolo qui nel riassumere la vita terrena di Cristo dalla nascita alla morte? La riassume come un unico grande atto di continua ubbidienza a Dio. Leggiamo di nuovo Filippesi 2:8: “Trovato esteriormente come un uomo [la nascita di Cristo, l’inizio della sua vita], umiliò se stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce [sono 33 anni di perfetta ubbidienza sintetizzati nelle parole “facendosi ubbidiente”, culminati nella sua morte ubbidiente].”

Non è forse questo ciò a cui Paolo stava pensando in Romani 5:19 quando egli scrisse: “Infatti, come per la disubbidienza di un solo uomo i molti sono stati resi peccatori, così anche per l’ubbidienza di uno solo, i molti saranno costituiti giusti”.

A causa di questa ubbidienza — questa ubbidienza dalla nascita alla morte — molti sono costituiti giusti. Credo che sia questo ciò che Paolo volesse dire in Filippesi 3:9:

E di essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge [la mia vecchia ubbidienza alla legge], ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede [l’ubbidienza perfetta che Dio mi imputa in unione con Cristo].

Gesù supera gli ostacoli all’umiltà

Ora torniamo ai due ostacoli di Paolo. Il primo ostacolo è che Paolo sa di essere religiosamente superiore a tutti i suoi oppositori che si vantano della loro superiorità religiosa. Come potrà mai dunque stimarli superiori a se stesso? Il secondo ostacolo è che questa superiorità religiosa non sarà mai sufficiente a rendere Paolo accettato da Dio. Paradossalmente, in un certo senso, Paolo era troppo superiore dal punto di vista religioso per essere un cristiano, e in un altro non è neanche lontanamente religioso a sufficienza per essere approvato da Dio.

La risposta di Paolo al secondo ostacolo — ed è la riposta che vale per tutti noi in qualunque parte del mondo, in ogni cultura, sia in Europa, Asia, Africa, o America — è che egli volta le spalle a ogni dipendenza dalle opere umane e a ogni predilezione per tesori umani al di sopra di Cristo. Si rivolge a Cristo e fa di lui il suo tesoro supremo, inclusa la sua giustizia perfetta. “Ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore”. Cristo è il suo tesoro supremo.

E di essere trovato in lui [unito a lui], non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede.

Cristo è l’unico fondamento della sua accettazione da parte di Dio. Dio è al cento per cento per Paolo (e al cento per cento per te) non in virtù della tua osservanza della legge, ma in virtù dell’ubbidienza perfetta di Cristo, inclusa la sua morte che ha coperto il peccato e ha assorbito l’ira.

La risposta di Paolo al primo ostacolo è che la sua superiorità rispetto ai suoi oppositori è stata ridotta in frantumi dalla vita e dalla morte di Gesù. Quella che chiamava “la sua giustizia” non solo non aveva nessun valore nell’ottenere il favore di Dio, ma non aveva pure nessun valore per fare di lui una persona più importante di altri. Questo significa che la meravigliosa dottrina della giustificazione per sola fede è ciò che rende possibile la risoluta unità d’amore tra i credenti. Essa distrugge ogni orgoglio umano. Essa rende possibile e necessaria l’umiltà. E mentre lo fa, non distrugge noi. Apre le porte alla gioia infinita — “l’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore”.

La giustificazione realizza la nostra piena accettazione

Riassumendo, la giustificazione per sola fede è la base della nostra piena accettazione da parte di Dio, e la base della nostra santificazione — o l’umile, risoluta unità d’amore di cui abbiamo parlato ieri. In conclusione, farei solo notare come risposta al forte desiderio che Dio mandi un grande risveglio in Europa, che questa è la dottrina che Dio ha usato come strumento per suscitare più volte risvegli.

Lutero la mise al centro del grande risveglio della Riforma. Wilberforce scrisse un solo libro nella sua vita e disse che questa dottrina era la colonna portante di tutte le sue riforme. Jonathan Edwards ne ha parlato in cinque sermoni che Dio ha benedetto nel Primo Grande Risveglio in America (1740) e disse che questa dottrina era quella che Dio scelse di benedire con più potenza. Aggiungerei pure che laddove il Cattolicesimo Romano domina, questa è la dottrina che chiarirà le questioni e che farà risplendere più intensamente la luce del vangelo. Perciò studiamo questa grande verità, predichiamola, insegniamola, divulghiamola e facciamo di essa il fondamento delle nostre vite di unità coraggiosa in Dio.


John Piper (@JohnPiper) è il fondatore e insegnante di desiringGod.org e rettore del Bethlehem College & Seminary. E’ stato per 33 anni il pastore della Bethlehem Baptist Church di Minneapolis, Minnesota. Ha scritto più di 50 libri, incluso “A Peculiar Glory”.

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