Come reagire alla crisi dei rifugiati
L’attuale crisi dei rifugiati (che riguarda circa 60 milioni di persone) è di proporzioni che non hanno precedenti. Mai prima d’ora così tante persone sono state sfollate, messe in pericolo e costrette a lasciare le loro case. Solo in Siria, oltre la metà dei 22 milioni di abitanti sono stati sfollati o uccisi. Più di 4 milioni sono fuggiti nelle nazioni confinanti. Riporto questi numeri per ricordarci l’enormità di questa crisi.
La nostra risposta alla crisi dei rifugiati sembra essere dettata in gran parte dalla paura, non dalla fede. In maggior parte essa sembra derivare da una visione del mondo più americana che biblica, molto più preoccupata di preservare il nostro paese che di compiere il Grande Mandato.
Come responsabili di chiesa, abbiamo la responsabilità di aiutare le persone a pensare in modo biblico sulla crisi. Ancora più di questo, abbiamo l’opportunità senza precedenti di diffondere il vangelo tra i rifugiati.
L’inferno sulla Terra
L’anno scorso sono stato al confine tra la Grecia e la Macedonia. Lavorando con i miei colleghi nei campi profughi, ho potuto ascoltare storia dopo storia, una più straziante dell’altra. Ho parlato con una donna siriana che è rimasta l’unica superstite della sua famiglia dopo che le bombe hanno raso al suolo la sua casa e con una donna Yazidi che ha visto decapitare sette membri della sua famiglia dall’ISIS.
“La nostra risposta alla crisi dei rifugiati sembra derivare per la maggior parte da una visione del mondo più americana che biblica, molto più preoccupata di preservare il nostro paese che di compiere il Grande Mandato”
Ho parlato con persone normali con vite normali—professori, ingegneri, dottori—tutti costretti a fuggire in Turchia dove sono stati strumentalizzati per tutto il tempo. Per attraversare il Mar Egeo, hanno pagato una cifra esorbitante per un posto su un gommone. Omologato per trasportare 20 persone, il gommone avanzava a fatica sotto il peso di 60. La destinazione non fu molto di sollievo: un campo profughi costruito per ospitare 2.000 persone, sovraffollato con oltre 15.000 rifugiati, rannicchiati nelle loro tende di fortuna.
Una sera feci un giro del campo profughi. Sentivo i neonati piangere e bambini tossire mentre una fredda pioggia cadeva su queste piccole tende, ora impantanate nel fango che le circondava. Era come camminare in una specie di inferno sulla terra.
Alla luce di queste atrocità, che cosa possiamo fare? Qual è la risposta che la Parola di Dio ci impone di dare? Ha qualcosa da dire riguardo a tutto ciò? Dobbiamo saperlo. Lo dobbiamo sapere perché è necessario che aiutiamo la chiesa a conoscere in che modo la grazia di Dio e la sua Parola ci impongono di intervenire in questa situazione nel mondo.
Ovviamente si potrebbero dire molte cose, ma voglio inquadrare questa discussione in cinque brevi verità che portano a cinque brevi esortazioni.
Cinque verità bibliche
1. Il nostro Dio regna sovrano sopra ogni cosa.
Nell’osservare tutto quello che succede intorno a noi nel mondo, dobbiamo ricordare a noi stessi e alla chiesa che Dio ne è sovrano. Ogni giorno, il vento soffia solo al suo volere. La luce del sole splende solo al suo comando. Nemmeno un granello di polvere nel pianeta esiste all’infuori della sovranità di Dio.
Egli è sovrano sulla natura, ma sappiamo che è anche sovrano sulle nazioni. Il nostro Dio determina il corso delle nazioni. Egli tiene i principi della terra nel palmo della sua mano, e questa è davvero una buona notizia. E’ una buona notizia sapere che Assad in Siria non è il sovrano su tutto. E’ una buona notizia sapere che l’ISIS non è sovrano. E’ una buona notizia sapere che Vladimir Putin non è sovrano, e che nemmeno Donald Trump lo è.
Il nostro Dio è sovrano su ogni cosa, anche sulla sofferenza in questo mondo.
Sapevate che nel libro di Giobbe, Dio è chiamato “l’Onnipotente” 31 volte? Tra tutto il mistero del libro, una conclusione è chiara: La potenza di Satana è limitata dalla prerogativa di Dio. Satana non può fare nulla senza il permesso divino. Satana è tenuto al guinzaglio, e Dio tiene le redini.
“Satana è tenuto al guinzaglio, e Dio tiene le redini”.
Giobbe lo chiarisce: Dio è sovrano nella prosperità, e Dio è sovrano nella calamità. Ricordate quando disse a sua moglie: “Ho accettato il bene da Dio e rifiuterei di accettare il male?” E la Bibbia ci dice che in tutto questo, Giobbe non peccò con le sue labbra.
In giro ci sono intere teologie che sono state elaborate per sostenere che Dio sta facendo il meglio che può nelle circostanze. In fin dei conti, affermano questi pensatori, egli non ha il controllo sovrano sul male e sulla sofferenza.
Noi però sappiamo che è vero il contrario, e dobbiamo proclamare che Dio ha sempre tutto sotto controllo, e che Satana è sempre controllato. Dio è sovrano; Satana è subordinato. Rifiutiamo il dualismo come in Star Wars, dove il bene e le forze del male sono in guerra tra di loro ad armi pari. Dio non è coinvolto in nessun dualismo. Il suo è un dominio, e la Scrittura ne parla ovunque.
Quando Giobbe è afflitto, Dio ha tutto sotto controllo. Quando Giuseppe è venduto come schiavo, Dio ha il controllo della situazione. Quando re malvagi agiscono in modo sciagurato verso Israele, Dio ha il controllo. Quando i capi religiosi e gli ufficiali Romani condannano Gesù a morte e lo crocifiggono su una croce, Dio ha il controllo. Quando i cristiani oggi predicano il vangelo alle nazioni e sono uccisi nel farlo, Dio ha il controllo. Quando arriviamo alla fine della Bibbia e vediamo la battaglia cosmica per le anime degli uomini e delle donne nella storia, Dio ha il controllo. Egli ha il controllo in ogni pagina della Scrittura e in ogni pagina della storia, inclusa la crisi dei rifugiati che stiamo vivendo.
2. Il nostro Dio sovrintende agli spostamenti di tutti i popoli.
Questo punto è una semplice conseguenza del primo, ed è spiegato molto chiaramente da Paolo nel suo discorso all’Areòpago:
Egli ha tratto da uno solo tutte le nazioni degli uomini perché abitino su tutta la faccia della terra, avendo determinato le epoche loro assegnate, e i confini della loro abitazione, affinché cerchino Dio, se mai giungano a trovarlo. (Atti 17:26–27)
Questa verità è evidente in tutto il Vecchio Testamento quando Dio innalza alcune nazioni e ne abbatte altre. Al tempo stabilito, Dio mandò Israele in Egitto. Al tempo stabilito, egli ricondusse Israele. Egli pianificò l’esilio da Gerusalemme; anni dopo, egli ne pianificò il ritorno. Anche nel Nuovo Testamento possiamo vedere che Dio si serve della sofferenza (come la lapidazione di Stefano) per disperdere la sua chiesa da Gerusalemme alla Giudea e alla Samaria, e infine alle estremità della terra.
Nella sua bontà, il nostro Dio trasforma anche la tragedia dell’emigrazione forzata nel trionfo della salvezza futura.
Perciò, quando vediamo popolazioni migrare per molteplici motivi, dobbiamo riconoscere che ogni cosa sta succedendo sotto il governo di Dio. In Atti 17, Paolo dice che Dio sta facendo tutto questo per un motivo, cioè che gli uomini lo cerchino, se mai giungano a trovarlo. Si potrebbero dire tante altre cose su questo punto, ma dobbiamo ricordare a noi stessi questa cosa: Il Signore non fa errori. Il nostro Dio vuole essere cercato, trovato, conosciuto e goduto da tutti i popoli del mondo, e a tal fine egli sovrintende ai loro spostamenti. Nella sua bontà, il nostro Dio trasforma anche la tragedia dell’emigrazione forzata nel trionfo della salvezza futura.
3. Il nostro Dio, in genere, stabilisce le autorità per la protezione di tutti gli uomini.
Sappiamo questo in base a Romani 13:1–4:
Ogni persona stia sottomessa alle autorità superiori; perché non vi è autorità se non da Dio; e le autorità che esistono sono stabilite da Dio. Perciò chi resiste all'autorità si oppone all'ordine di Dio; quelli che vi si oppongono si attireranno addosso una condanna; infatti i magistrati non sono da temere per le opere buone, ma per le cattive. Tu, non vuoi temere l'autorità? Fa' il bene e avrai la sua approvazione, perché il magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene; ma se fai il male, temi, perché egli non porta la spada invano; infatti è un ministro di Dio per infliggere una giusta punizione a chi fa il male.
I governi delle nazioni sono sotto l’autorità di Dio per promuovere il bene e limitare il male. Nel piano di Dio, lo scopo principale delle autorità governative è proteggere le persone. Cito questo punto dal momento che qualunque riflessione seria sulla crisi dei rifugiati deve includere il ruolo del governo sotto Dio.
Secondo il piano di Dio, reagire alla crisi dei rifugiati porta quindi al dibattito politico. Come seguaci di Cristo, però, dobbiamo mantenere dei fondamenti biblici in questi dibattiti, poiché è attraverso i nostri rappresentanti eletti che emaniamo le nostre leggi, e dobbiamo chiedere conto a questi rappresentanti affinché facciano il bene, mentre noi stessi cerchiamo di fare il bene.
Ma facciamo questo ulteriore passo in avanti.
4. Benché Dio, in linea generale, stabilisca le autorità per la protezione di tutti gli uomini, egli comanda espressamente alla sua chiesa di provvedere alle necessità del suo popolo.
Paolo scrive in Galati 6:10: “Così dunque, finché ne abbiamo l’opportunità, facciamo del bene a tutti; ma specialmente ai fratelli in fede”. Ovviamente non sta dicendo che non dovremmo prenderci cura di tutte le persone. Ma non possiamo negare la priorità qui e in altre parti della Scrittura di provvedere per i fratelli in fede.
Allo stesso modo in cui io mi identifico in maniera unica con la mia sposa—soffro quando lei soffre, gioisco quando lei gioisce—Gesù si identifica intimamente con la sua sposa. Sulla via per Damasco, il risorto Signore Gesù fece a Saulo una domanda semplice: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti” (Atti 9:4)? Quando perseguiti la chiesa, perseguiti Cristo.
Verità come questa è il motivo per cui abbiamo brani sulla giustizia sociale, come le famose parole di Gesù in Matteo 25:34–40:
"Venite, voi, i benedetti del Padre mio; ereditate il regno che v'è stato preparato fin dalla fondazione del mondo. Perché ebbi fame e mi deste da mangiare; ebbi sete e mi deste da bere; fui straniero e mi accoglieste; fui nudo e mi vestiste; fui ammalato e mi visitaste; fui in prigione e veniste a trovarmi".
Allora i giusti gli risponderanno: "Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare? O assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto? O nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto ammalato o in prigione e siamo venuti a trovarti?" E il re risponderà loro: "In verità vi dico che in quanto lo avete fatto a uno di questi miei minimi fratelli, l'avete fatto a me”.
Sappiamo che questo non è un riferimento generico a chiunque è affamato o assetato, straniero o ammalato. Gesù si sta riferendo in modo specifico ai “miei fratelli” (v. 40), cioè ai membri bisognosi della famiglia di Cristo, la famiglia della fede. Lo ripeto, questa cura non esclude completamente quelli che non fanno parte della chiesa. Amiamo il nostro prossimo, anche i nostri nemici, come noi stessi.
E’ del tutto giusto, quindi, che la chiesa pensi a come prendersi cura in modo specifico dei nostri fratelli e sorelle in Cristo che si trovano in questa crisi dei rifugiati. Questa cura per i rifugiati non è solo giusta; è necessaria. Perché? A causa del carattere di Dio.
5. Il nostro Dio cerca i rifugiati, offre loro riparo, li aiuta, e li inonda con la sua grazia.
Ricordate il libro di Rut? Elimelec l’Israelita, sua moglie Naomi, e i loro due figli fuggono dalla loro patria a causa della carestia. Emigrano a Moab, una terra straniera abitata da un popolo nato da una relazione incestuosa tra Lot e una delle sue figlie, escluso dall’assemblea del Signore. Generazioni dopo, le donne moabite indussero gli uomini Israeliti all’immoralità sessuale, e 24.000 Israeliti furono colpiti a morte. Il messaggio era chiaro: Non avvicinatevi alle donne moabite.
Ma i figli di Elimelec e Naomi (Malon e Chilion) sposarono delle moabite. Non molto dopo, tutti e tre gli uomini muoiono, e Naomi rimane da sola con le due nuore moabite. Vuole ritornare a Betlemme e implora le sue nuore di restarsene a Moab. Una l’accontenta, ma l’altra, Rut, insiste: “Il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio”.
Abbiamo quindi una donna moabita che presto si ritrova in una città di Israele, alla ricerca disperata di cibo e di una famiglia. Non vi dice niente?
Entra in scena Boaz, il proprietario del raccolto, che la vede lavorare nel suo campo. Quando scopre che è una moabita, egli va a cercarla invece di buttarla fuori. Si avvicina a lei, la saluta, la protegge dal male, e le promette sicurezza. Poi egli compie l’impensabile. Si china per servirla e la invita alla sua tavola, dove mangiò del grano arrostito. Tutto questo porta a un’inondazione di grazia quando Boaz consegna a Rut da tredici a ventidue chili di cibo da portare a casa, almeno la metà del salario di un mese.
Perché nella Bibbia c’è un libro che prende il suo nome da una donna moabita? Perché abbiamo un Dio che si prende cura degli emarginati e gli oppressi, degli stranieri e dei rifugiati.
La scena è adesso pronta per la storia d’amore della redenzione che segue. Alla fine Boaz prende Rut in moglie e hanno un figlio, dalla cui discendenza un giorno sarebbe sorto il redentore in senso assoluto, Gesù Cristo.
Perché nella Bibbia c’è un libro che prende il suo nome da una donna moabita? Ecco almeno una delle risposte a questa domanda: Perché abbiamo un Dio che vuole farci sapere quanto lui si prenda cura degli emarginati e degli oppressi, degli stranieri e dei rifugiati. In una delle frasi più importanti del libro, Boaz pronuncia una benedizione sull’altrimenti esclusa donna Moabita: “La tua ricompensa sia piena da parte del Signore, del Dio d’Israele, sotto le cui ali sei venuta a rifugiarti” (Rut 2:12).
Il libro di Rut ci mostra che c’è rifugio sotto le ali di Dio. E sappiamo che Boaz non è soltanto un modello di benevolenza. Egli è uno specchio di Dio. Egli è l’agente di cui Dio si serve per mostrare come egli vada in cerca degli oppressi e li ripari sotto l’ombra delle sue ali; come egli serve gli emarginati alla sua tavola e riversi la sua grazia sui bisognosi; e infine, di quanto egli sia fedele nel prendersi cura di una straniera esclusa.
Perciò, siamo tenuti a fare lo stesso. Siamo tenuti a rispecchiare il nostro Redentore.
Cinque brevi esortazioni
Che cosa faremo dunque? Come vivremo alla luce di un Dio che regna sovranamente su tutte le cose, che dirige gli spostamenti di tutti i popoli, che ha stabilito le autorità come strumento universale per la protezione di tutti gli uomini, che chiama la chiesa a provvedere per il suo popolo, e che cerca i rifugiati, offre loro riparo, li serve, e li inonda con la sua grazia?
1. Preghiamo ferventemente Dio.
Che cosa possiamo fare subito, oggi stesso, nelle nostre stanzette? Possiamo pregare. Dobbiamo pregare.
Dio ha stabilito la preghiera quale strumento potente mediante il quale tu ed io possiamo partecipare insieme con lui al compimento dei suoi scopi nel mondo. Ci ricordiamo di Mosè in Esodo 32. Il popolo di Dio era in una situazione di disperato bisogno, ma Mosè non rimase passivo dicendo: “Dio è sovrano. Farà come gli parrà meglio”. No, Mosè agì, e la sua fede nella sovranità di Dio lo spinse a mettersi in ginocchio e a implorare il favore di Dio. Le suppliche di Mosè per ottenere misericordia furono il mezzo attraverso cui Dio provvide per i bisognosi.
Le nostre preghiere sono importanti. Perciò, siamo attivi e preghiamo ferventemente e continuamente Dio affinché la sua misericordia sia conosciuta tra i rifugiati. Che stiano navigando su quel gommone in mezzo al Mar Egeo o aspettando in un aeroporto americano o ammassati in una tendopoli nel confine della Macedonia, supplichiamo Dio affinché egli provveda per loro, perché sappiamo che Colui che ascolta il nostro grido risponderà secondo le sue compassioni.
2. Proclamiamo il vangelo con un senso di urgenza.
Ci rendiamo conto delle opportunità senza precedenti che abbiamo tra quanti hanno vissuto in nazioni dove c’era poco o nessun accesso al vangelo?
Molte di queste persone sono già arrivate da noi prima del recente ordine presidenziale per limitare il flusso di rifugiati. Molti vivono vicino a chiese che predicano il vangelo e a cristiani che condividono il vangelo. Scommetto che ci sono rifugiati vicino alla tua città e nemmeno lo sai. Non può essere che Dio abbia orchestrato lo spostamento di specifiche persone in modo che tu o la tua famiglia o la tua chiesa diventiate gli strumenti mediante i quali questi rifugiati ascoltano il vangelo per la prima volta? Diffondiamo il vangelo con un senso di urgenza sia qui sia all’estero.
Molti tra di loro sono disillusi dall’Islam e i loro cuori desiderano ardentemente buone notizie. E noi abbiamo la migliore delle notizie! Considera solo la bellezza del vangelo, la buona notizia di un Dio che, di fatto, si identifica con i rifugiati, un Dio che è venuto come un bambino. Considera che la prima storia su Gesù dopo la sua nascita è la fuga in Egitto, costretto a rifugiarsi in un paese straniero da un re omicida. Questo Dio non è distante da noi, e non è distante dall’esperienza del rifugiato. No, il nostro Dio è con noi. La sofferenza non gli è sconosciuta, ed egli è familiare con il nostro patire. Egli non ha lasciato solo l’emarginato e l’oppresso in un mondo di peccato e di sofferenza. Anzi, egli è venuto da noi. Egli ha vinto per noi. Egli ha reciso la radice della sofferenza (che è il peccato) e ha sconfitto la morte per sempre.
Questa è la migliore notizia al mondo, e i rifugiati in ogni luogo devono poterla udire. Non dobbiamo mai dimenticarci i bisogni fondamentali per la vita come cibo e acqua, vestiti e riparo. Non è forse il vangelo il bisogno maggiore dei rifugiati? Amici, non lo ascolteranno se non lo proclamiamo, e oggi ci sono delle porte aperte per fare proprio questo. Si sono aperte delle porte che non erano mai state aperte prima d’ora.
Siriani, Afgani, Somali, Iraniani, Iracheni e Curdi sono aperti per ascoltare il vangelo di Gesù Cristo. Mi sono seduto in tenda dopo tenda, e mentre ascoltavo le loro storie, ho potuto applicare la storia più grande alla storia delle loro vite.
Una donna siriana disse a un missionario: “Sono stanca di essere legata a una religione che non mi offre speranza. Voglio essere una persona nuova”. Quel giorno, lei, suo marito e un loro amico riposero la loro fede in Cristo e furono battezzati fuori dal campo profughi. Quando sua sorella arrivò al campo profughi, condivise il vangelo con lei, e anche sua sorella fu battezzata.
Ho ascoltato la storia di due fratelli curdi la cui famiglia è stata uccisa davanti ai loro occhi dagli estremisti in Iraq. Dopo aver udito il vangelo, risposero semplicemente: “Non vogliamo più essere Musulmani. Vogliamo seguire Gesù”.
La sicurezza in questo mondo non dovrebbe avere la priorità sulla proclamazione della Parola di Dio. Poiché siamo seguaci di Cristo, il nostro io non è più il nostro dio. La sicurezza non è più la nostra preoccupazione principale.
Potrei andare avanti a raccontarvi tante altre storie. Spero che il senso sia evidente. C’è un’abbondanza di opportunità senza precedenti per diffondere il vangelo tra persone che non l’hanno mai udito finora.
Ci sono rischi nell’annunciare il vangelo ai rifugiati? Certo che ci sono. Ma da dove abbiamo preso la nozione che il cristianesimo è privo di rischi? La sicurezza in questo mondo non dovrebbe avere la priorità sulla proclamazione della Parola di Dio. Poiché siamo seguaci di Cristo, il nostro io non è più il nostro dio. La sicurezza non è più la nostra preoccupazione principale. Dimostriamolo con le nostre vite. Andiamo e predichiamo il vangelo con un senso di urgenza, sapendo che la vita di altre persone dipende da esso, e diamo con gioia le nostre vite per questo fine.
3. Pratichiamo la giustizia.
Che cosa il Signore richiede da noi? Non che parliamo di giustizia, ma che pratichiamo la giustizia, amiamo la misericordia, e camminiamo umilmente.
Che vite contrite davanti a Dio producano una leadership coraggiosa nella chiesa. Non dimentichiamoci il modo in cui Gesù rimproverò gli scribi e i farisei in Matteo 23: “pagate la decima della menta, dell'aneto e del comino, e trascurate le cose più importanti della legge: il giudizio, la misericordia, e la fede. Queste sono le cose che bisognava fare, senza tralasciare le altre. Guide cieche, che filtrate il moscerino e inghiottite il cammello”.
A tale scopo, non facciamoci prendere troppo da minuzie bibliche da dimenticare il ministero pratico. E’ facile rimanere concentrati sulle piccole cose, anche su piccole cose che sono importanti. Non utilizzo il termine “minuzie bibliche” come se ci fossero delle cose irrilevanti nella Bibbia. Sono tutte importanti. Gesù, però, sta dicendo chiaramente: “Non perdete di vista la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Dare la decima, secondo la legge, è importante, ma lo è altrettanto prendersi cura in modo generoso e con sacrificio delle persone durante una crisi”.
4. Amiamo con sacrificio.
Conosciamo tutti la parabola del Buon Samaritano. Egli raccolse da terra l’uomo che si trovava nel bisogno, si prese cura di lui, provvide per lui, pagò per lui, e si sacrificò per lui senza farsi tante domande e senza esitare.
Gesù sta dicendo di amare gli stranieri in quel modo, di amare perfino i tuoi nemici in questo modo. Sacrifica la tua vita per loro.
5. Speriamo con fiducia.
E’ in arrivo un giorno nel quale non ci saranno più il peccato e la sofferenza, un giorno in cui le guerre e le crisi finiranno. In questo riponiamo la nostra sicura speranza.
Allo stesso tempo, sappiamo che al momento presente ogni seguace di Cristo si trova in una terra straniera. La testimonianza del Nuovo Testamento ci dice che siamo stranieri e pellegrini e che desideriamo un paese migliore. Stiamo cercando una patria, una città che ha da venire.
Siamo tutti dei migranti qui, siamo tutti cittadini multiculturali di un regno che non è di questo mondo. Perciò in questa vita aspettiamo e lavoriamo in attesa di quel giorno quando saremo riuniti con una grande moltitudine da ogni nazione, che nessuno può contare, una moltitudine che rappresenta ogni popolo, tribù e lingua. E insieme, non più come stranieri e pellegrini, ma come figli e figlie, daremo al nostro Dio la gloria che gli è dovuta.
Nota editoriale: Questo articolo è un adattamento di un discorso che David Platt ha rivolto al Consiglio di The Gospel Coalition nel maggio del 2016. Puoi ascoltarlo qui.
David Platt è il presidente di International Mission Board e fondatore di Radical. Ha una laurea in giornalismo dall’Università della Georgia e una laurea in teologia e un dottorato di ricerca dal New Orleans Baptist Theological Seminary. E’ autore di diversi libri, incluso Radical. Vivere senza compromessi in un mondo corrotto, Radical Together, Seguimi, e Controcultura. David e sua moglie Heather hanno quattro figli: Caleb, Joshua, Mara Ruth, e Isaiah.
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