La ‘fede’ è ‘il dono di Dio’? Una lettura di Efesini 2:8-10 con gli antichi

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Nota editoriale: 

La maggior parte degli interpreti moderni crede che ‘il dono di Dio’ sia ‘la salvezza per grazia mediante la fede’. Gli antichi esegeti affermavano che questo dono era la fede stessa.

Introduzione

Infatti [è] per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non [viene] da voi: [è ] il dono di Dio. Non [è] in virtù di opere, affinché nessuno se ne vanti; infatti siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le praticassimo. (Efesini 2:8-10, traduzione mia) 

Efesini 2:8-10 è un brano noto perché illustra in miniatura la dottrina della salvezza di Paolo. Gli evangelici Riformati amano questo brano, e lo utilizzano per spiegare che cosa si trova al cuore del vangelo—la relazione tra grazia, fede e opere nella salvezza. J C Ryle si convertì semplicemente ascoltando la lettura di questo brano in chiesa. E’ un brano fondamentale nel popolare Just For Starters: Seven Basic Bible Studies. Molti di noi hanno messo insieme il puzzle di ‘grazia’, ‘fede’ e ‘opere’ grazie a Efesini 2:8-10. Il paradigma ‘salvato non per opere ma per le opere’ è un elemento essenziale dell’eccellente corso ‘Christianity Explained’, che si basa su questo brano. Infatti, l’attuale mancanza di enfasi su questo brano in alcuni ambienti indebolisce l’impatto del vangelo.

Sono cresciuto come Cattolico Romano, chiedendomi in che modo avrei potuto essere sufficientemente buono per Dio. Poi all’università un collaboratore di MTS fece Just For Starters con me. Aprimmo la Bibbia, e in quel chiosco sulla spiaggia a Kensington, conobbi la grazia di Dio. Capii che la mia accettazione davanti a Dio al giudizio non dipendeva da quanto sono buono o dai miei sforzi morali, ma dalla bontà di Dio e dallo sforzo morale di Gesù. Scoprii che sono salvato non mediante le opere buone, ma per fare le opere buone. Dio mi aveva anche dato la fede che mi unisce a Gesù. Dio ha predestinato le buone opere che mi ha dato ora da compiere.  

Questo breve brano biblico mi spinse a cercare una chiesa Protestante, ad andare in missione sulle spiagge e a condividere spavaldamente il vangelo della grazia gratuita. Anche adesso ritorno continuamente alla meravigliosa semplicità di questi versetti, perché non posso mai ripagare il mio debito di grazia, al di là dei risultati che penso di aver raggiunto. Come disse Teodoreto: ‘Confesso di essere miserabile, sì, tre volte miserabile. Sono colpevole di molti errori. Per sola fede spero di trovare un po’ di misericordia nel giorno dell’apparizione del Signore’.

Una sorpresa sconcertante 

Tuttavia, scoprii con grande sorpresa e delusione che molti non interpretavano questi versetti ‘a modo mio’. Leggendo commentari e imparando il Greco scoprii che —in gergo tecnico—il pronome dimostrativo tradotto ‘ciò’ (v8) è neutro, ma il nome ‘fede’ è al ‘femminile’. Nella mia ingenuità, essi avrebbero dovuto concordare, ma non era così. Il mio manuale di Greco affermava: ‘A livello grammaticale è quindi improbabile che “fede” o “grazia” sia l’antecedente di [touto]’. Era questo il rintocco funebre dell’interpretazione a me tanto cara di Efesini 2:8-10?

Altre domande

Ulteriore riflessione generò nuove domande. Per esempio, il versetto 9 non dice ‘opere buone’ ma ‘opere’; l’aggettivo ‘buone’ si trova solo al versetto 10. Le ‘opere’ (v9) sono quindi la stessa cosa delle ‘opere buone’ (v10)? Le opere in vista delle quali siamo salvati sono diverse da quelle che non ci salvano? Molti dicono ‘sì’. Alcuni limitano le ‘opere’ che non ci salvano a quelle ‘pre-battesimali’, ma poi sostengono che le opere ‘post-battesimo’ in effetti ci salvano. O il versetto 9 esclude soltanto dall’efficacia salvifica ‘le opere cerimoniali’ o ‘boundary markers Ebraici’? Alla fine quindi siamo salvati dalle ‘opere buone’?

Inoltre, in Efesini, Paolo non utilizza affatto la terminologia della giustificazione (benché i Protestanti spesso suppongano che lo faccia). E’ una supposizione corretta?  E cosa dire della relazione tra ‘non viene da voi’ (v8) e ‘non è in virtù di opere’ (v9)? Che cosa vuol dire che la ‘fede’ ‘non è in virtù di opere’? E’ giusto dire che Dio ha predestinato le nostre specifiche ‘opere buone’ individuali? Dopotutto, la preparazione divina potrebbe essere semplicemente consistita nella loro preordinazione da parte di Dio.

Non voglio far credere di aver vissuto una terribile crisi esistenziale. Sapevo che se questo brano non insegnava che la nostra risposta di fede a Dio è resa possibile da Dio stesso, ce n’erano molti altri che lo insegnavano (vedi ad esempio Atti 5:31, 11:18, 13:48, 16:14).  Ma non per questo intendevo rinunciare a un’interpretazione che era stata così importante per la mia fede iniziale. E ora credo che ci siano buoni motivi per pensare che la mia interpretazione ingenua dopotutto fosse corretta.  

Primo, la letteratura Greca Classica, la Septuaginta e il Nuovo Testamento forniscono l’evidenza che ‘ciò’ possa riferirsi a ‘fede’. Ci sono quindici esempi sicuri o altamente probabili di questa regola —dieci nella letteratura classica , quattro nella Septuaginta, e uno nel Nuovo Testamento Greco.

Secondo, molti antichi esegeti vanno in questa direzione. Come osserva Abraham Kuyper:

Quasi tutti i padri della chiesa […] hanno ritenuto che le parole “è il dono di Dio” si riferiscono alla fede […] questa era l’esegesi […] di quanti parlavano la lingua Greca e conoscevano la costruzione peculiare del Greco.   

Posso confermare l’affermazione di Kuyper. Soltanto una minoranza di antichi commentatori associano ‘ciò’ esclusivamente alla salvezza, otto antichi esegeti affermano esplicitamente che ‘ciò’ faccia riferimento a un nome femminile in Efesini 2:8-9, per sette touto si riferisce alla ‘fede’ (Crisostomo, Girolamo, Agostino, Teodoreto, Fulgenzio, Ecumenio, Teofilatto), e per uno si riferisce a ‘grazia’ (Giovanni Damasceno). Questi interpreti erano o di madrelingua Greca o, nel caso di Girolamo e Fulgenzio, di madrelingua Latino con un’indubitabile preparazione nel Greco, o, nel caso di Agostino, parliamo del più grande teologo del primo Millennio. Questo è importantissimo perché gli stessi antichi esegeti di lingua Greca erano propensi a considerare la fede come un’opera umana. Essi pensavano che il libero arbitrio dell’uomo avesse un ruolo preponderante nella salvezza, e che la predestinazione consistesse semplicemente nella preconoscenza da parte di Dio della virtù umana. Le loro scelte esegetiche furono perciò in genere adottate a dispetto della loro teologia, e non tanto per via di essa. A differenza degli antichi, la maggioranza degli interpreti moderni crede che il ‘dono di Dio’ sia il concetto di ‘salvezza per grazia mediante la fede’. Ciò è accettabile da un punto di vista grammaticale. Calvino lo adottò, seguito ‘dalla grande maggioranza dei commentatori moderni’.  Soltanto tre commentatori ‘moderni’ concordano con l’interpretazione storica, e sono tutti morti nel secolo scorso!  Tuttavia, i libri di grammatica Greca del 19° secolo, radicati nella letteratura Classica da cui si sviluppò il Greco Koinē, enunciarono la regola che un dimostrativo neutro può rinviare a una parola al maschile o al femminile. I commentatori moderni talvolta ne prendono atto.  

Considerazioni espositive (Efesini 2:1-10)

La traiettoria dei versetti 1-7 non indica che gli uomini sotto il peccato sono malati e indeboliti, bensì morti e in schiavitù. Siamo ‘morti’ nelle ‘colpe e [nei] peccati’ (v1), e Paolo si mette nella nostra stessa condizione (v5). Ogni uomo a un certo punto ha vissuto secondo il mondo, la carne e il diavolo (vv2-3), e questo comporta che Dio deve vivificarci in Cristo (v5) affinché noi possiamo esercitare la fede (v8). 
La proposizione ‘è per grazia che siete stati salvati’ è la spiegazione di ‘egli ci ha vivificati con Cristo’ (v5). ‘Vivificare’ fa quindi parte della salvezza di Dio per grazia. ‘E’ per grazia che siete stati salvati’ compare nuovamente (v8), ma un nuovo elemento umano viene introdotto—‘mediante la fede’. Ciò rende più probabile che il nuovo elemento, la ‘fede’, sia il soggetto del versetto 9. Ossia, Paolo ha già spiegato quella proposizione (vv5-7). Ma il nuovo elemento ‘mediante la fede’ (v8) necessitava maggiormente della spiegazione dei versetti 8-9. Per evitare che i suoi lettori pensino che la fede sia una qualche azione indipendente da parte del soggetto, l’apostolo si spiega più chiaramente: la ‘fede’ in un certo senso ‘non viene da noi’, anche se visto da un’altra prospettiva è evidente che la ‘fede’ viene da noi. E se la ‘fede’ è il dono di Dio, lo sono anche la ‘grazia’ e la ‘salvezza’. Non può essere altrimenti. Come disse Ecumenio: ‘Per noi credere [è il] dono di Dio, ed essere salvati mediante la fede [è il] dono di Dio’. Non è ‘uno o l’altro’ ma ‘entrambi’.

La tradizione teologica Orientale ritiene che la causa divina della fede sia adeguatamente spiegata dall’iniziativa che Dio ha preso nell’incarnazione e nella predicazione del vangelo (Romani 10:14; Crisostomo; Ecumenio). Questo lascia spazio al libero arbitrio nel piano della salvezza, in cui la grazia ‘collabora’ (synergos) con il libero arbitrio. E’ una visione sinergistica. 

Per contro, l’Agostinianismo maturo crede che l’impulso stesso mediante il quale cerchiamo Dio ci venga da Dio. ‘Riceviamo, senza nessun merito da parte nostra, ciò da cui tutto … ha inizio — ossia, la fede stessa’. Allo stesso modo, Fulgenzio dichiara: ‘E poiché questa fede è resa possibile da Dio, essa è senza dubbio conferita dalla sua libera generosità’. E’ il rendere possibile da parte di Dio la fede, e non solo l’invito divino alla fede, ad accordarsi con maggiore precisione al fatto che la fede è ‘il dono di Dio’.

La tradizione Orientale tende invece a riferire le parole ‘non è in virtù di opere’ alla salvezza, anche se ritiene che ‘il dono di Dio’ sia la ‘fede’. Potremmo tuttavia pensare che la ‘fede’ ‘non è in virtù di opere’ perché nessuna opera merita il conferimento della fede da parte di Dio. Le opere non sono una condizione del dono della fede. Agostino legge il testo in questo modo: ‘E poi, perché non dicessero di aver meritano tale dono con le proprie opere, subito dopo aggiunge: “Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti”’

Quali opere? 

Di quali ‘opere’ Paolo parla? Barclay sostiene correttamente che le ‘opere’ del versetto 9 sono ‘conseguimenti di tipo morale, e non vanno limitate ai riti e agli elementi culturali Ebraici’. Anche se considerassimo le ‘opere’ (v9) essenzialmente equivalenti all’espressione ‘opere della legge’ in Romani e Galati, le ‘opere della legge’ sarebbero ancora ‘opere buone’, poiché i comandamenti della legge di Mosè sono ‘santi, giusti e buoni’ (Romani 7:12). E ciò a cui la legge conduce non è la ‘conoscenza dell’Ebraicità’ ma la ‘conoscenza del peccato’ (Romani 3:20). Le ‘opere della legge’ richiedono un conseguimento da parte dell’uomo, perché il ‘fare’ è la base della giustificazione mediante la legge (Romani 2:12-13, 7:10, 10:5; Levitico 18:5). Le ‘opere’ cui al giudizio è stata promessa la ricompensa della vita eterna per coloro che non hanno peccato ma hanno osservato la legge sono le ‘opere buone’ (Romani 2:6-7, 12-13). Le ‘opere’ (v9) non andrebbero quindi distinte dalle ‘opere buone’ (v10), né limitate alle opere precedenti la conversione, a perimetri etnici, o alle leggi cerimoniali Ebraiche. ‘Opere’ sono ‘conquiste umane’, ‘sforzi umani’, ‘opere buone’, punto e basta. Queste ‘opere buone’ sono lo scopo della nostra creazione in Cristo Gesù, non il fondamento. Fozio di Costantinopoli, che considerava le ‘opere’ (v9) e le ‘opere buone’ (v10) di fatto come la stessa cosa, osserva:

Ma anche nel caso in cui fossimo stati creati per le opere buone, non solo non abbiamo fatto niente di buono, ma abbiamo fatto addirittura l’esatto contrario […] Essere stati creati per le opere buone, ci esorta allo stesso tempo sia a fare [le opere buone] sia a prendere le distanze dalle opere buone.

‘Prendere le distanze dalle opere buone’ può riferirsi soltanto a ‘non è in virtù di opere’ (v9). Fozio associa dunque le ‘opere buone’ alle ‘opere’. Benché siamo stati creati per le buone opere, non abbiamo fatto niente di buono. Efesini 2:8-10 insegna pertanto che la fede salvifica non ci è stata conferita mediante le opere buone, ma allo scopo di farci praticare le opere buone. Le opere mediante le quali non siamo salvati sono le stesse opere in vista delle quali siamo stati salvati. ‘Le buone opere non sono mai la causa della salvezza, ma ne dovrebbero essere il frutto’.

Il versetto 10 insegna altresì che Dio ha precedentemente preparato queste ‘opere buone’. Il prefisso pro— è usato in Efesini 1:4, 5, 9, 11 per sottintendere un decreto divino prima della fondazione del mondo. Attribuire a pro— lo stesso significato in Efesini 2:10, significa affermare che Dio ha predestinato e ha preparato le specifiche opere buone per coloro ai quali egli dona la fede. Le buone opere non provengono dal credente, poiché sono state preparate e stabilite da Dio, e perciò non si può dire che esse meritino la salvezza o la fede. Non sorprende che la parola tradotta con ‘precedentemente preparate’ compaia anche in Romani 9:23, in un contesto che fa pensare alla predestinazione divina.

E’ interessante notare che Paolo non usa affatto la terminologia della ‘giustificazione’ in tutti questi versetti. L’espressione che più si avvicina è ‘sedere in Cristo’ nei luoghi celesti—una categoria chiaramente posizionale (v6). Questa è un’osservazione importante, che ci ricorda che la ‘salvezza’ è un concetto più ampio che può comprendere altri insegnamenti quali la predestinazione, la rigenerazione, la santificazione e l’assoluzione dalla condanna, mentre ‘giustificare’ è una categoria forense più circoscritta che significa ‘dichiarare giusto’. 

Conclusione

L’anziano Vescovo Agostino unì la maggioranza dell’esegesi Orientale di Efesini 2:8-10 fornendo un sostegno teologico che diede a questa esegesi la sua collocazione naturale. Il suo rifiuto della concezione pressoché universale della predestinazione in base alla previsione della virtù e la sua adozione della predestinazione assoluta lo rese il primo monoergista radicale. La sua soteriologia era più conforme all’interpretazione di Efesini 2:8-9 adottata nell’Occidente. 

Considerare la ‘fede’ come ‘il dono di Dio’ in Efesini 2:8-9 trova ampio supporto da meritare l’etichetta di ‘cattolica’, anche se non è il caso della dottrina Agostiniana matura della predestinazione.

Imparare queste cose riguardo Efesini 2:8-10 da entrambe le tradizioni esegetiche Orientali e Occidentali ci permette di essere ‘più Calvinisti di Calvino’, che pensava fosse sbagliato dire che qui la ‘fede’ è il dono. Secondo le regole della sintassi Greca è però del tutto accettabile. Le nostre grammatiche e commentari moderni andrebbero riveduti per rispecchiare questa realtà.


Matthew Olliffe è il responsabile di una chiesa e minsitero anglicano nella casa di cura nella zona occidentale di Sydney.

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