Chiese di nuova fondazione, combattete per la vostra comunità durante l’epidemia di COVID-19

Sotto molti aspetti, questo momento storico segnato dalla pandemia di COVID-19 è una resa dei conti. In un tempo in cui nessuna componente della vita ecclesiale è facile, le componenti che sopravviveranno e prospereranno domani sono quelle a cui diamo la priorità oggi. Il COVID-19 può essere il fuoco raffinatore che elimina le scorie e rivela l’impegno di una chiesa di nuova fondazione nei confronti della comunità, o il fuoco consumante che divora la nostra pretesa di essere una comunità come pula. Ma potrebbe anche rappresentare il crogiolo che forgia la comunità in una chiesa di nuova fondazione in cui essa era precedentemente assente.

Questa pandemia rivela il nostro impegno ecclesiologico. Perché l’aspetto comunitario della vita ecclesiale continui durante il COVID-19, invece di limitarci a ibernarlo, diamo prova di queste tre caratteristiche nella nostra battaglia per la comunità. Questo è il tempo di guidare la tua chiesa a mettere al primo posto la comunità e a ricercare la comunione fraterna.

Dobbiamo essere motivati

In momenti come questi, si è tentati a considerare la comunità cristiana necessaria a livello teorico, ma non nella realtà dei fatti. Questo è pericoloso. Un cristianesimo in comunità non è qualcosa che possiamo dare per scontato, ma qualcosa cosa per cui dobbiamo combattere. Dobbiamo essere convinti della sua necessità.

Ciò accade in due modi. Il primo è che l’esperienza abituale da parte della chiesa di nuova fondazione dei ritmi di una comunione profonda nell’adorazione di Cristo diventi una necessità preziosa. Per una tale chiesa, la prospettiva di perdere la comunione fraterna accende un fuoco nei cuori dei suoi membri, che li fa diventare combattivi. Combattono per essa come se fosse un combattimento contro la morte (perché lo è).                                                                 L’altro modo in cui le chiese di nuova fondazione si convincono del bisogno di combattere per la comunità è quando tutte le sue consolazioni e i suoi sostegni vengono a mancare, e l’assenza di una vera comunità cristiana diventa così pronunciata che non è più possibile ignorarla. In “tempo di pace”, è possibile che una nuova chiesa si definisca “appassionata per la comunità” quando in realtà non è così. Ma quando l’assenza di comunità non può più essere riempita da programmi, aspettative ed eventi relazionalmente poveri, ciò che resta è il vuoto. E questo vuoto può creare un desiderio per quella comunità genuina che soltanto Cristo può produrre tra il suo popolo.

Dobbiamo essere vigilanti

I comandamenti “gli uni gli altri” che si trovano nel Nuovo Testamento non sono facoltativi, né sono subordinati a circostanze ideali. Dobbiamo amarci gli uni gli altri, come Cristo ha amato noi (Giovanni 15:12) e consolarci gli uni gli altri (2 Corinzi 13:11). Possiamo mettere in quarantena i nostri cuori, ma non abbiamo la facoltà di mettere in quarantena il comandamento di sopportarci gli uni gli altri e di perdonarci a vicenda (Colossesi 3:13), di esortarci a vicenda (Ebrei 3:13), o di affrontare il peccato (Galati 6:1). Il COVID-19 fa alcune cose interessanti, ma non è in grado di trasformare questi comandamenti biblici in suggerimenti.                                                                           Nel futuro immediato, mentre a molte chiese di nuova fondazione è vietato riunirsi insieme, obbedire a questi comandamenti richiede un po’ di creatività. Sarà difficile, ma è necessario. Potrebbe voler dire che i membri più giovani della chiesa vadano a fare la spesa per i membri più anziani o più a rischio in modo che questi ultimi non entrino in contatto con il virus. Per i membri della chiesa potrebbe significare dover acquisire una maggiore familiarità con la tecnologia.

Non dobbiamo essere nello stesso luogo per pregare gli uni per gli altri. In effetti, non dobbiamo essere nello stesso luogo per vederci. Possiamo sfruttare la tecnologia delle telefonate, delle chat di gruppo, delle email, di Zoom, Marco Polo, FaceTime, e così via. Possiamo usare la tecnologia senza diventarne schiavi, ma mettendola al servizio del Re Gesù. Facciamo questo quando la tecnologia cessa di essere uno strumento per il nostro intrattenimento e diventa uno strumento per una comunicazione significativa.

Dobbiamo essere premurosi

Se posso, vorrei fare da portavoce soprattutto per le persone ansiose, timorose e depresse nelle nostre chiese. Molti nostri fratelli e sorelle si sentono oppressi anche quando non incombe nessuna pandemia. Mi spezza il cuore sapere cosa può fare un periodo del genere ai membri della mia chiesa che già si sentivano sprofondare.

Dobbiamo fare attenzione gli uni agli altri ed essere saggi nell’uso dei social-media. Mettiamoci in contatto tra di noi, specialmente con coloro che dipendono dal rendere conto agli altri nel combattimento contro la pornografia. Non lasciamo che la persona depressa tra noi affondi sempre più nell’isolamento e nella disperazione. Non lasciamo che la persona ansiosa e timorosa si abbandoni alla preoccupazione autodistruttiva. Incoraggiamoci gli uni gli altri e ricordiamoci a vicenda che il nostro Dio sovrano è buono. In sostanza, fondatore, fai attenzione. Non lasciare che i tuoi fratelli e le tue sorelle si perdano per strada.

Se le nostre chiese di nuova fondazione usciranno da questa pandemia con comunità sane e vangelocentriche, non sarà stato per caso. Fondatori di chiesa, guidate le persone a voi affidate nel combattimento per la comunità durante questo tempo di isolamento necessario.


Samuel G. Parkison è l’autore del libro Revelation and Response: The Why and How of Leading Corporate Worship Through Song. Collabora regolarmente con For the Church ed è un dottorando presso il Midwestern Baptist Theological Seminary. Samuel vive a Kansas City con sua moglie Shannon e i loro tre figli. Samuel è pastore per l’insegnamento e la liturgia di Emmaus Church.

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