Un medico condivide il segreto per morire bene
Da quasi vent’anni anni faccio il medico ospedaliero. Anche se fare il medico non è così eccitante come si vede in TV, è comunque un lavoro dinamico. Mi prendo cura delle persone nei momenti migliori e peggiori delle loro vite. Di tutte le varie situazioni che ho affrontato, gli incontri più memorabili dal punto di vista professionale li ho avuto assistendo i malati terminali.
Sono stato al capezzale di pazienti vicini alla fine della loro vita, un paio di volte anche quando hanno esalato il loro ultimo respiro. Ho perso il conto del numero di certificati di morte che ho compilato negli anni. Ma la mia esperienza non è unica per chi fa la mia professione, tranne forse per il fatto che sono un cristiano che lavora in un grande ospedale nel cuore di San Francisco, una città nota come “la metropoli meno cristiana” d’America. La maggior parte delle persone che ho visto morire non erano credenti. Tranne poche eccezioni, sono stato l’unico medico cristiano nella mia equipe per la maggior parte della mia carriera. Questo punto di osservazione privilegiato mi ha fatto vedere come il Vangelo offra risorse di gran lunga migliori di ogni modo di affrontare l’angoscia esistenziale della morte creato dall’uomo.
Disorientati dalla morte
Quando assisto i malati terminali, chiedo loro se vorrebbero parlare con un cappellano o se frequentano una chiesa. È il mio modo per cercare di capire se hanno un interesse per le cose spirituali. A questo punto della mia carriera, devo aver rivolto questa domanda diverse centinaia di volte. Ben pochi pazienti hanno risposto “sì”.
“Morte” è un concetto che inizialmente confonde la maggior parte dei malati terminali. Non ho visto molte persone piangere mentre comunico loro la triste notizia che hanno una malattia mortale. Invece, la reazione molto più comune è uno sguardo di smarrimento. Anche se tutti sanno che la morte è inevitabile, molti non sanno come reagire alla notizia di una diagnosi terminale. Essi non considerano la morte imminente come una chiamata a esaminare le loro vite e cambiare. Dopo lo shock iniziale, la maggior parte dei pazienti continua a vivere il resto dei loro giorni come ha sempre fatto; non ho mai visto un paziente rinnegare la sua filosofia di vita perché la fine è finalmente arrivata.
Ho sentito alcuni dire: “Da giovane voglio vivere la mia vita come mi pare, poi quando mi sarò sistemato penserò alle cose spirituali”. Sono certo che questo accade, ma non l’ho mai visto nei miei pazienti. Salomone disse: “Ma ricòrdati del tuo Creatore nei giorni della tua giovinezza, prima che vengano i cattivi giorni e giungano gli anni dei quali dirai: «Io non ci ho più alcun piacere»” (Ecclesiaste 12:1). Le parole di Salomone si sono dimostrate vere con quasi tutti i pazienti ai quali ho portato la triste notizia di una malattia terminale. Se non hanno cercato il loro Creatore prima di ricevere la diagnosi, difficilmente lo cercheranno dopo averla ricevuta.
Una vita caratterizzata dalla fedeltà
Il contrario è vero per coloro che sanno cosa vuol dire avere intimità con Dio e ubbidirgli; se la vita di una persona è caratterizzata dalla fedeltà, lo sarà anche la sua morte. In alcune occasioni, ho avuto il privilegio di essere testimone di una vita caratterizzata da quello che Eugene Peterson ha descritto come “Ubbidire a lungo e in una sola direzione”. Una vita simile paga i suoi dividendi quando arriva la fine.
Una mattina andai a lavorare e, come al solito, mi fu assegnato un nuovo elenco di pazienti ricoverati da assistere quella settimana, tra cui un uomo di mezza età con un cancro incurabile. Il mio compito consisteva nel tenere il suo dolore a un livello accettabile e poi dimetterlo dall’ospedale in modo che potesse prendere l’aereo e tornare nella sua città e trascorrere lì i suoi ultimi giorni.
Entrai nella stanza buia di quest'uomo, e lo vidi silenzioso, deperito e senza capelli. Eppure era sorprendentemente calmo e cordiale. Si vedeva che aveva un bel po’ di dolori, ma c’era un’atmosfera di pace che riempiva la stanza.
Dopo aver parlato del dosaggio dei suoi antidolorifici e delle questioni mediche ad essi collegate, feci la mia solita domanda, “Vorresti parlare con un cappellano?” Ricevetti il solito diniego, ma questa volta per un motivo diverso. Con un grande sorriso sul volto, egli rispose: “Dottor Cho, sono un cristiano. So che Dio è con me. Sono a posto”.
Ah, ecco perché!
Quella che seguì fu una piacevole seppur breve conversazione con un fratello sulla gioia e la speranza che abbiamo in Cristo. L’uomo mi disse che camminava fedelmente con Dio da un po’ di tempo: “E non voglio cambiare perché sto per morire!” Anche se il suo corpo fisico stava rapidamente venendo meno, e tutto quello che aveva conosciuto in questa vita gli stava per essere tolto, la speranza della risurrezione rimaneva (2 Corinzi 4:16). Infatti, la speranza cristiana di quest’uomo era ora più reale per lui che mai.
Con il suo permesso, posi le mie mani sull’uomo e pregai per lui. Poi firmai le sue dimissioni dall’ospedale dopo avergli somministrato abbastanza antidolorifici per controllare i suoi sintomi mentre tornava a casa. Questo successe molti anni fa. Quando lo vedrò la prossima volta, sono felice che non avrà bisogno di un medico.
Potremmo non essere del tutto pronti per la morte quando essa arriva. Ho anche visto credenti attanagliati dalla paura, dalla disperazione, dal dubbio e dalla rabbia alla fine della loro vita; il nemico non è passivo nemmeno nelle nostre ultime ore. Ma anche se il modo in cui i cristiani affrontano la morte varia, sono grato che Cristo custodisce sempre i suoi nelle sue mani (Giovanni 10:28-29).
Il modo migliore per prepararsi alla morte è camminare fedelmente con Cristo un giorno alla volta. Fidati di lui oggi come vorresti fidarti di lui alla fine. E poi, un giorno —come il mio paziente—entrerai nell’eternità con il Dio fedele che ti ha guidato per tutta la tua vita.
Joel Cho è un medico ospedaliero, specializzato in medicina interna nonché in hospice e cure palliative. Joel e sua moglie Christine vivono nella Bay Area e frequentano la Bridgeway Church di Silicon Valley. Hanno due figlie, Lizzie e Danielle. Joel è anche uno studente del Reformed Theological Seminary.
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