Possiamo spiegare la Trinità?

Uno dei motivi per cui la visione di Dio di Jonathan Edwards si è dimostrata così utile nella mia adorazione e nel mio ministero è che egli “spiega” e non “spiega” la Trinità.

Quando nella sua “spiegazione” della Trinità si spinge più in là di quanto molti abbiano fatto, egli ammette: “Lungi da me affermare che questa sia una spiegazione che sveli e rimuova la misteriosità e l’incomprensibilità di questo mistero” (Writings on the Trinity, Grace, and Faith, 139).

Edwards osa scalare la catena montuosa della Trinità perché crede che “la Parola di Dio . . . espone molte cose riguardo essa [più] gloriose e meravigliose di quanto si noti a prima vista” (Writings, 139).

I pensieri preziosi di Dio

In altre parole, per Edwards non onoriamo la verità ignorandola. Egli non pensa che arricchire la nostra conoscenza impoverisca il mistero di Dio. Non è tra coloro che credono che la maestà di Dio è magnificata ripetendo quanto poco di lui conosciamo — restando sotto il livello delle nuvole e parlando in termini vaghi di maestose montagne che non possiamo vedere.

La mia opinione è che qualcosa non quadra nel sostenere che il nostro senso di meraviglia e la nostra adorazione di Dio diventano più grandi concentrandoci su quanto poco conosciamo di lui. Si ricava l’impressione che tale “meraviglia” e “adorazione” siano bei sentimenti vaghi davanti al nulla, e non ciò che notiamo nei Salmi: “Oh, quanto mi sono preziosi i tuoi pensieri, o Dio! Quant'è grande il loro insieme!” (Salmo 139:17).

Edwards credeva che il vero sapere aumenta sia la conoscenza sia il mistero. Più conoscenza biblica di Dio abbiamo, più comprendiamo la sua realtà, e più misteri capiamo. Il beneficio di accrescere il mistero in questo modo (anziché restando ignoranti) consiste nel fatto che ciò che conosciamo imprime una direzione a ciò che non conosciamo. Non ci chiediamo se il mistero che non comprendiamo contiene un Dio sinistro, perché ciò che conosciamo di Dio ci impedisce di fare speculazioni di questo genere.

Piccoli misteri legati all’ignoranza

Edwards spiega questo con l’analogia di un bambino:

Quando spieghiamo a un bambino qualcosa su Dio, lui non conosce che la centesima parte dei tanti misteri sulla natura e sugli attributi di Dio . . . rispetto allo studente che viene istruito su Dio in una facoltà di teologia; e tuttavia [lo studente di teologia] sa molte più cose su Dio. (Writings, 139)

Egli chiarisce ulteriormente il suo pensiero indicando come il Nuovo Testamento accresca la nostra conoscenza della Trinità, facendo comparire allo stesso tempo altri misteri.

Sotto il Vecchio Testamento, alla chiesa di Dio non fu concessa una conoscenza della Trinità pari alla nostra; ma ciò che il Nuovo Testamento ha rivelato, benché abbia ampliato la nostra visione sulla natura di Dio, ha tuttavia aumentato il numero dei misteri visibili e delle cose che ci appaiono straordinariamente meravigliose e incomprensibili. (Writings, 139–140)

Quando Edwards ci guida al di là della conoscenza comune che si ferma al livello delle nuvole, egli ci dà una specie di “spiegazione” della Trinità. Tuttavia, sarebbe sciocco pensare che egli creda (o che io creda) che capire meglio i misteri di Dio possa rimpicciolire la Sua maestà. Per quanto uno possa ascendere verso l’infinito, la distanza sopra la sua testa rimane sconfinata.

Le parole: inadeguate ma indispensabili

Edwards era altresì consapevole che le parole umane sono soltanto dei riferimenti alla realtà. Affermazioni su Dio non sono Dio. Le parole, e le realtà che esse rappresentano, sono cose radicalmente diverse. Quando Paolo fu rapito in cielo e intravide scorci delle realtà celesti, egli disse che “udì parole ineffabili che non è lecito all’uomo di pronunciare” (2 Corinzi 12:4). Il nostro linguaggio è insufficiente per comunicare tutta la grandezza di ciò che Dio è.

Ma l’inadeguatezza del linguaggio è superata soltanto dalla sua indispensabilità. Inadeguato non significa inutile. Il linguaggio può anche non comunicare tutto quello che c’è da conoscere, ma ciò che esso comunica può essere vero e prezioso — infinitamente prezioso. Di certo, “noi conosciamo in parte, e in parte profetizziamo. . . . Ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro” (1 Corinzi 13:9, 12). Ogni linguaggio umano su Dio, anche la Scrittura, è un linguaggio infantile. Giovanni Calvino scrisse: “Dio balbetta con noi come le balie fanno con i piccoli bambini per adeguarsi a loro” (Istituzioni, 1.13.1).

Eppure il linguaggio infantile della Bibbia è più dolce del miele e più desiderabile dell’oro (Salmo 19:10). Oh, quanto prezioso è il linguaggio infantile di Dio! Non è come l’erba che si secca o il fiore che appassisce. La sua Parola dura per sempre (Isaia 40:8). E’ come “argento raffinato in un crogiuolo di terra, purificato sette volte” (Salmo 12:6).

In altre parole, la “spiegazione” di Edwards della Trinità è un linguaggio infantile estremamente colto — come quello di tutti i sermoni e libri di teologia. Ma quanto utile può essere! Occorre dunque tenere a mente che è uno sforzo umano quello di trarre conclusioni da centinaia di brani biblici, per poi elaborare con parole una concezione di come Dio è un unico Dio in tre persone, che sono tutte divine, e uguali in essenza e dignità, ma che hanno ruoli diversi nella grande opera della redenzione.

Ricordo un non credente che, in seguito alla richiesta di un suo amico, venne ad ascoltarmi predicare. Il suo amico lo portò da me dopo il servizio, e la prima domanda che mi rivolse fu sulla Trinità. “Non ha alcun senso. Mi aiuteresti a capirla?” Gli feci un brevissimo riassunto della concezione di Jonathan Edwards. Rispose più o meno così: “E’ la cosa più utile che abbia mai sentito a riguardo”. Non dissi nulla di esaustivo. Non avevo la pretesa di eliminare il mistero. Era semplicemente un’espressione verbale umana di come una persona potrebbe pensare alla Trinità. Un ostacolo alla fede fu rimosso.

La Trinità sotto gli occhi di tutti

Ben visibile sotto il livello delle nuvole, nella Bibbia troviamo la verità che vi sono tre persone divine che sono un solo Dio. Per esempio: “Nel principio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. . . . E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra noi ... e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre” (Giovanni 1:1, 14). La Parola “era” Dio e la Parola era “con Dio”. Era Dio ed era con Dio. Poi, quattordici versetti dopo, queste due designazioni, “Parola” e “Dio”, diventano “Figlio” e “Padre”. E la Parola/Figlio diventa “carne” — veramente umano, l’uomo-Dio. E “al Padre piacque di far abitare in lui tutta la pienezza” (Colossesi 1:19).

E questo uomo-Dio, il Figlio di Dio incarnato, parlò dello Spirito Santo come di una (terza) persona distinta. “Il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa” (Giovanni 14:26). “Se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore . . . Quando però sarà venuto lui, lo Spirito della verità . . . egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo annuncerà” (Giovanni 16:7, 13-14). Gesù non stava parlando di una forza impersonale, ma di una persona, una persona che insegna. E questa persona è distinta dal Figlio di Dio, perché Gesù parla di essa come di “un altro consolatore”, che è distinto dal Padre, perché “il Padre [lo] manderà”.

Tuttavia, questa persona, lo Spirito Santo, è anche uno con il Figlio di Dio. Gesù identifica il futuro Consolatore così: “Voi lo conoscete, perché dimora con voi, e sarà in voi” (Giovanni 14:17). Poi nel versetto 25, egli dice: “Vi ho detto queste cose, stando ancora con voi”. In altre parole, lo Spirito Santo è uno con il Figlio.

Paolo evidenzia la stessa cosa:

Voi però non siete nella carne ma nello Spirito, se lo Spirito di Dio abita veramente in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, egli non appartiene a lui. Ma se Cristo è in voi, nonostante il corpo sia morto a causa del peccato, lo Spirito dà vita a causa della giustificazione. (Romani 8:9-10)

“Lo Spirito di Dio”, “lo Spirito di Cristo”, “Cristo” e “lo Spirito” sono usati in modo da trattarli, in un certo senso, come se fossero la stessa persona. Se hai uno, hai l'altro.

In base a questi e molti altri brani, la chiesa ha insegnato per duemila anni che Dio è un unico Dio, e che esiste in tre persone, ognuna delle quali è Dio. Questa è la Trinità. Tutto ciò è visibile chiaramente sotto il livello delle nuvole dalla maggioranza dei cristiani con gioia e stupore, anche se non con una comprensione totale.

La Trinità secondo Edwards

Quando Edwards penetra oltre il livello delle nuvole e si spinge più in alto sulla montagna della verità Trinitaria, egli cerca di offrire una concezione della Trinità fedele alla Scrittura e radicata nel linguaggio biblico, comprensibile e utile, pur non avanzando alcuna pretesa di comprendere pienamente il mistero. Diamo uno sguardo prima di tutto alla sua sintesi di come tutte e tre le persone sono un unico Dio, eppure persone distinte.

Il Padre è la Divinità che sussiste nella forma primaria, non originata e più assoluta, o la Divinità nella sua esistenza diretta. Il Figlio è la Divinità generata dalla conoscenza o dall’idea che Dio ha di se stesso, e sussiste in quell’idea. Lo Spirito Santo è la Divinità che sussiste in azione, o l’essenza divina che scaturisce dall’amore e dal diletto infinito di Dio per se stesso. E io credo che l’intera essenza divina sussiste realmente e distintamente sia nell’idea divina sia nell’amore divino, e che pertanto sono persone ben distinte. (Writings, 131)

Edwards potrebbe aver avuto delle ragioni tecnico-filosofiche per usare la parola “sussiste” invece di “esiste” (per sottolineare una realtà indipendente che sostiene le altre realtà invece di derivare da un’altra), ma per motivi di semplicità è possibile leggere: “Il Padre è la Deità che esiste in . . .” ecc.

Il Padre è dunque non originato, assoluto. (La parola “non originato” non implica che il Figlio e lo Spirito abbiano un inizio. Non hanno un inizio. Sono “originati” eternamente, come vedremo). Il Figlio è l’“idea” o la “conoscenza” (o immagine) che il Padre ha di se stesso. E lo Spirito è l’amore (o il diletto) di Dio per se stesso. Se Edwards si fermasse qui, questa potrebbe apparire indubbiamente una visione inadeguata della Trinità, perché sembrerebbe che il Figlio sia un'idea impersonale, e che lo Spirito sia un’emozione impersonale. Ma Edwards dice molto di più.

Notiamo subito che questa concezione potrebbe non essere così campata in aria visto che il Figlio di Dio è chiamato in Giovanni 1:1 la “Parola” o il “logos” di Dio, che può significare “ragione o pensiero”, che non è così molto distante da “idea”. E lo Spirito Santo è, ovviamente, uno Spirito. Teniamo a mente che l’intera Deità è chiamata spirito in Giovanni 4:24. “Dio è spirito; e quelli che lo adorano bisogna che lo adorino in spirito e verità.” Così, Dio, che è spirito, ha uno Spirito, che è distinto da Dio il Padre perché egli “intercede” presso il Padre (Romani 8:27) e “scruta . . . le profondità di Dio” (1 Corinzi 2:10). E questo Spirito di Dio, che è spirito, non potrebbe essere la natura essenziale di Dio, lo Spirito di amore (1 Giovanni 4:8)?

Il Figlio: la conoscenza che Dio ha di se stesso

Dobbiamo tuttavia permettere a Edwards di chiarire ciò che intende quando definisce il Figlio la “conoscenza o idea” che il Padre ha di se stesso che egli ha avuto da ogni eternità (perché il Figlio è co-eterno).

Se fosse possibile per un uomo mediante la riflessione contemplare perfettamente tutto ciò che è nella sua mente in un dato momento, così com’è e nello stesso momento che è lì, nella sua prima e immediata esistenza; se un uomo avesse un riflesso perfetto o una visione contemplativa di ogni pensiero nello stesso momento in cui esso sorge, e di ogni suo movimento nello stesso tempo in cui esso si compie, e così per tutto il tempo, quell’uomo sarebbe veramente due di sé. Egli sarebbe infatti doppio; sarebbe due persone allo stesso tempo: l’idea che ha di se stesso sarebbe ancora una volta se stesso . . .

Poiché Dio comprende se stesso e contempla la sua essenza (nella quale non vi è alcuna distinzione tra sostanza e azione, ma è pienamente sostanza e pienamente azione) con perfetta chiarezza, pienezza e intensità, l’idea che Dio ha di se stesso è assolutamente se stesso. Questa rappresentazione della natura e dell’essenza divina è ancora una volta la natura e l’essenza divina; in modo che dal pensiero di Dio della Deità, [la Deità] deve essere certamente generata. In tal modo vi è un’altra persona generata; vi è un altro Dio infinito, eterno, onnipotente e santissimo che è lo stesso Dio, la stessa natura divina.

E questa persona è la seconda persona della Trinità, l’unigenito e diletto Figlio di Dio. Egli è l’idea eterna, essenziale, perfetta, sostanziale e personale che Dio ha di se stesso. Che sia così mi sembra abbondantemente confermato dalla Parola di Dio. (Writings, 116–117)

Per cogliere ciò che Edwards sta cercando di comunicare, dobbiamo, per usare un eufemismo, ampliare il nostro concetto della parola “idea”. Edwards sta cercando di aiutarci a capire che l’“idea” o “comprensione” o “immagine” che Dio ha di se stesso è così perfetta, così piena di tutto ciò che Dio è, da essere la riproduzione vivente, o la generazione, di Dio stesso. Ne consegue che Dio il Figlio è coeterno con il Padre e uguale in essenza e gloria.

A sostegno di questa affermazione, egli mette in evidenza alcuni testi biblici che descrivono il Figlio come la forma, l’immagine, l’impronta e la parola di Dio.

Pur essendo in forma di Dio, [egli] non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente. (Filippesi 2:6)

Il dio di questo mondo ha accecato le [loro] menti, affinché non risplenda loro la luce del vangelo della gloria di Cristo, che è l'immagine di Dio. (2 Corinzi 4:4)

Egli è l’immagine del Dio invisibile. (Colossesi 1:15)

Egli, che è splendore della sua gloria e impronta della sua essenza. (Ebrei 1:3)

Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. (Giovanni 1:1)

“La Scrittura ci insegna”, dice Edwards, “che Cristo è il logos di Dio [Giovanni 1:1]. A quanto pare questo logos è la stessa cosa dell’idea di Dio, che la si interpreti come la ragione di Dio o la parola di Dio” (Writings, 120). Con queste e molte altre Scritture, Edwards dimostra che il suo concetto del Figlio come ’“idea” che il Padre ha di se stesso non è infondata.

Lo Spirito: il diletto che Dio ha in Dio

Edwards passa poi a concentrarsi sullo Spirito Santo.

La Divinità così generata dall’idea che Dio ha di se stesso e che si presenta in una esistenza o persona distinta, da essa procede un atto purissimo, e un’energia infinitamente santa e amabile sorge tra il Padre e il Figlio: perché il loro amore e la loro gioia sono reciproci, amandosi e dilettandosi l’uno nell’altro. Proverbi 8:30: “Io ero presso di lui come un artefice; ero sempre esuberante di gioia giorno dopo giorno, mi rallegravo in ogni tempo in sua presenza”.

Questo è l’atto eterno più perfetto ed essenziale della natura divina, nel quale la Divinità agisce in grado infinito e nel modo più perfetto possibile. La Divinità diventa tutta azione; la stessa essenza divina fuoriesce come se fosse alitata in amore e gioia, in modo tale che la Divinità in essa contenuta si presenta in un’altra modalità di sussistenza, e da qui procede la terza persona della Trinità, lo Spirito Santo, vale a dire la Deità in azione. (Writings, 121)

Edwards cita numerosi testi, tra cui 1 Giovanni 4:8 per radicare la sua concezione nella Scrittura:

Nella Parola di Dio scopriamo che la Deità, o la natura e l’essenza divina, sussiste nell’amore. “Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1 Giovanni 4:8). In questo contesto credo ci venga lasciato chiaramente intendere che lo Spirito è questo amore, come dicono i versetti dodici e tredici: “Se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e il suo amore diventa perfetto in noi. Da questo conosciamo che rimaniamo in lui ed egli in noi: dal fatto che ci ha dato del suo Spirito”. (Writings, 121)

Come può questo Amore di Dio essere una persona a sé stante? Le parole appaiono del tutto inadeguate. Ma non potremmo forse dire che l’amore tra il Padre e il Figlio è così perfetto, così costante e che contiene in modo così completo tutto ciò che essi sono in se stessi da presentarsi come una Persona a tutti gli effetti? C.S. Lewis cerca di tradurre questo concetto in un’analogia plausibile:

Quando gli esseri umani sono riuniti in una famiglia, in un circolo, in un sindacato, si parla dello “spirito” di quella famiglia, di quel circolo o di quel sindacato. E ci si esprime così perché i singoli membri, quando sono insieme, sviluppano realmente determinati modi di parlare e di comportarsi che non avrebbero se fossero separati. E’ come se nascesse una sorta di personalità comune: che non è, ovviamente, una persona reale, bensì soltanto qualcosa di simile a una persona. Ma qui sta appunto una delle differenze tra Dio e noi: ciò che nasce dalla vita congiunta del Padre e del Figlio è una Persona reale; è infatti la terza delle tre Persone di Dio. (Beyond Personality, 21)

Dare un senso a molte cose

In sintesi, c’è un solo Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, tre persone uguali in essenza e gloria divina. Il Padre ha, da ogni eternità, generato il Figlio, il che significa che il Padre ha conosciuto se stesso da ogni eternità con una tale pienezza che il sé che chi egli conosce è pienamente Dio — Dio l’unigenito Figlio. E il Padre e il Figlio da ogni eternità (non vi è inizio nella Deità eterna) si sono amati e dilettati l’uno nell’altro, con una tale pienezza che questo infinito diletto reca con sé tutta la deità e si presenta come una terza persona — Dio lo Spirito Santo.

Il Figlio non è un’idea impersonale, né lo Spirito un’emozione impersonale. Sono persone, e tutta la pienezza della deità dimora nell’immagine (o idea) che Dio ha di se stesso; e tutta la pienezza della deità dimora nel diletto (o amore) che Dio ha per se stesso.

Edwards notò che questa visione della Trinità consente di chiarire “molte cose che i teologi ortodossi erano soliti dire sulla Trinità” (Writings, 134–5). Per esempio:

  • “In tal modo capiamo che il Padre è la fonte della Divinità, e perché quando si parla di lui nella Scrittura egli viene spesso, senza altra aggiunta o distinzione, chiamato Dio” (Writings, 135).

  • “In tal modo capiamo come sia possibile per il Figlio essere generato dal Padre, e per lo Spirito Santo procedere dal Padre e dal Figlio, e tuttavia comprendere che tutte le persone della Trinità sono coeterne” (Writings, 135).

Origine e fondamento dell’edonismo cristiano

Chiudo con un’importante implicazione che tutto ciò ha avuto nei miei sforzi di comprendere il ruolo fondamentale della gioia nella vita cristiana — in quello che io chiamo edonismo cristiano. Edwards ci mostra che la gioia ha una posizione significativa nella Scrittura fondamentalmente perché fa parte della natura stessa di Dio. Dio è Gioia.

Ossia, Dio lo Spirito Santo è la persona divina che “ha origine” (eternamente!) dal Padre e dal Figlio nel loro amore reciproco. E questo amore non è un amore “compassionevole” come se avessero bisogno di compatimento. E’ un amore fatto di ammirazione, diletto ed esultanza. E’ Gioia. Lo Spirito Santo è la Gioia di Dio in Dio. Di certo, egli è talmente pieno di tutto ciò che il Padre e il Figlio sono, da essere una persona divina a sua volta. Ma ciò significa che egli è più, e non meno, della Gioia di Dio.

Questo significa che la Gioia è al centro della realtà. Dire che Dio è Amore, significa nel senso più profondo dire che Dio è Gioia in Dio. Come dice Edwards: “La gloria del Padre e del Figlio consiste nel fatto che essi sono infinitamente felici e sono l’origine e la fonte della felicità; e la gloria dello Spirito Santo è identica, poiché egli stesso è felicità e gioia infinita” (Writings, 135).

Avere lo Spirito Santo dentro di noi significa avere la Gioia che Dio ha in Dio. Essere ripieni di Spirito Santo significa traboccare della gioia che Dio ha per Dio. Non siamo lasciati alle nostre personalità limitate. Dio ci viene in soccorso per aiutarci a godere di ciò che è infinitamente godibile. Dio lo Spirito è la capacità che dimora dentro di noi di godere Dio.

Questa esperienza raggiungerà il suo culmine quando vedremo il Figlio di Dio come egli è veramente alla sua venuta. Egli pregò per questo momento culmine di gioia e di amore, quando disse al Padre: “E io ho fatto loro conoscere il tuo nome, e lo farò conoscere, affinché l'amore del quale tu mi hai amato sia in loro, e io in loro” (Giovanni 17:26).

Questo amore per Gesù, per tutta l’eternità, non sarà un amore sacrificale, ma un amore onnisoddisfacente. Dio sarà in noi, e noi ameremo suo Figlio con il suo amore, lo Spirito Santo. Questa Gioia sarà una conseguenza così evidente della visione di Dio e della sua presenza che Egli sarà glorificato in modo supremo nella nostra gioia. Egli sarà, finalmente, tutto in tutti.


John Piper (@JohnPiper) è insegnante di desiringGod.org di cui è anche il fondatore. E’ rettore del Bethlehem College & Seminary. Per trentatré anni è stato pastore della Bethlehem Baptist Church di Minneapolis, Minnesota. Ha scritto più di 50 libri, incluso “Desiderare Dio. Meditazioni di un edonista cristiano” e il recente Coronavirus e Cristo.

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