Perché è necessario parlare della morte
Ricordo il momento in cui me ne resi conto. Ero incinta da quella che mi sembrava una vita, ma un giorno si fece strada in me il pensiero che per avere mio figlio avrei dovuto partorire, e questa prospettiva mi spaventava. La gravidanza era bella, la prospettiva di avere un bambino anche, ma il travaglio e il parto … non ne ero tanto sicura.
A volte ragioniamo in modo simile riguardo la morte. La vita è bella e lo è anche la vita con Dio dopo la morte, ma è il processo del travaglio e del parto nella vita futura a non convincerci molto. In effetti, preferiamo non parlarne e non vogliamo nemmeno pensarci. Tuttavia, sono convinta che ci sia vera libertà, e persino gioia, nel meditare sulla morte.
Leggere e assorbire le verità bibliche espresse negli scritti di grandi predicatori e teologi del passato e del presente può cambiare radicalmente il nostro modo di pensare e sentire riguardo l’inevitabile realtà della morte.
Questo estratto da J. I. Packer può aiutarci in questo. Ci aiuterà a prendere le distanze dalla negazione dilagante della morte nella nostra cultura, e a guardare in faccia la realtà della morte alla luce della più bella e migliore realtà di Cristo. Soltanto lui infonde speranza e pace agli aspetti più dolorosi e misteriosi della fine di questa vita.
Nel mondo di oggi, la morte è un argomento tabù, come lo era il sesso cento anni fa. Fatta eccezione per ostentazioni di cinismo sul senso di futilità della vita (Grateful Dead, “chi muore con più giocattoli vince”) ed espressioni egocentriche di fede nella reincarnazione (la New Age, Shirley MacLaine), normalmente non si parla di morte al di fuori degli ambienti medici. Invitare a discutere sulla morte, anche nella chiesa, è considerato di cattivo gusto.
È diventato comune pensare come se tutti dovessimo vivere in questo mondo per sempre e considerare ogni lutto come una ragione per dubitare della bontà di Dio. Nel nostro intimo sappiamo che ciò è assurdo, ma lo facciamo lo stesso. E nel farlo, ci discostiamo dalla Bibbia, dal cristianesimo storico, e da uno dei principi basilari del giusto vivere, ossia, che solo quando sai come morire sai come vivere.
C’è un notevole contrasto qui tra passato e presente. In ogni secolo fino al nostro, i cristiani hanno sempre considerato questa vita come una preparazione all’eternità. Medievali, Puritani e successivamente gli evangelici hanno riflettuto e scritto molto sull’arte del morire bene, esortandoci a vedere tutta la vita come una preparazione per lasciarcela un giorno alle spalle. La loro non era vana morbosità, ma saggezza realistica, dal momento che la morte è veramente l’unico fatto certo della vita. Ignorare la morte è follia al massimo grado. Perché il Protestantesimo moderno ha perduto in così larga misura il senso di questa realtà ultraterrena biblica? L’unione di diversi fattori ha prodotto tale effetto.
Primo, la morte non è più una compagna costante. Fino al ventesimo secolo la maggior parte dei bambini moriva prima di compiere dieci anni, e gli adulti morivano in casa circondati dalla famiglia. Ma oggi le morti in famiglia sono più rare e il più delle volte si muore negli ospedali, così è facile dimenticare la certezza della nostra morte per anni.
Secondo, il materialismo moderno, con il suo corollario che questa vita è l’unica vita che abbiamo per godere qualsiasi cosa, ha infettato le menti dei cristiani, generando la sensazione che è un oltraggio cosmico dover lasciare questo mondo prima che una persona abbia gustato tutto ciò che esso ha da offrire.
Terzo, la derisione marxista della speranza cristiana (“La vita eterna è una pia illusione”) e l’accusa secondo cui avere la speranza del cielo faccia cessare l’impegno a porre fine al male sulla terra ha dato ai cristiani una falsa coscienza che impedisce loro di avere una mente rivolta verso il cielo.
Quattro, i cristiani moderni sono giustamente turbati dalla sterilità culturale, dal disinteresse sociale e dall’umanità all’apparenza rattrappita che talvolta hanno accompagnato il desiderio dichiarato per il cielo. Siamo arrivati a sospettare che tale anelito sia una pericolosa fuga dalla realtà.
Quinto, il senso innato dell’uomo di essere fatto per un destino eterno, quella consapevolezza anticamente espressa dalla frase: “la grandezza dell’anima”, si è in gran parte atrofizzato, immerso com’è nelle artificialità della frenetica vita urbana occidentale.
Come dovrebbero dunque i cristiani pensare alla morte—cominciando dalla loro morte?
La morte fisica è il segno esteriore della separazione eterna da Dio che è il giudizio del Creatore sul peccato. L’evento decisivo della morte non farà altro che rendere tale separazione più profonda e più dolorosa, a meno che non intervenga la grazia salvifica. I non convertiti fanno quindi bene a temere la morte. Essa è veramente spaventosa.
Per i cristiani, il dardo della morte è stato rimosso. La grazia è intervenuta, e ora il giorno della loro morte diventa un appuntamento con il loro Salvatore, che sarà lì per portarli al riposo preparato per loro. Anche se saranno temporaneamente incorporei, che non è il buono finale, saranno più vicini a Cristo che mai, “che è molto meglio” (Filippesi 1:23).
Siccome i credenti non sanno quando Cristo tornerà per loro, essere pronti a lasciare questo mondo in qualunque momento è saggezza essenziale per un cristiano. Dovremmo vivere ogni giorno come figli che aspettano le loro vacanze, che fanno i bagagli e sono pronti per partire con largo anticipo.
La formula per essere pronti è: “Vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo” (Thomas Ken). In altre parole: “Essere a posto con Dio”. Una volta ho sentito Fred Mitchell, direttore della società missionaria OMF, applicare questo detto poco prima della sua chiamata a casa istantanea quando l’aereo sul quale viaggiava si disintegrò in volo. Mitchell visse ciò che insegnò, e alla sua biografia fu giustamente dato come titolo l’ultimo messaggio trasmesso via radio dal pilota del velivolo destinato a schiantarsi —Stiamo prendendo quota. Spero di non dimenticare mai le sue parole.
Morire bene è una delle buone opere a cui i cristiani sono chiamati, e Cristo permetterà a noi che lo serviamo di morire bene, per quanto orribile possa essere il processo fisico della morte. Morire così, in Cristo, per Cristo e con Cristo, sarà un fiorire spirituale. Come la nostra nascita nel mondo terreno è stato il nostro compleanno iniziale, e come la nostra nascita nel regno spirituale di Dio è stato il nostro secondo compleanno, la nascita dalla morte fisica nel mondo eterno sarà il nostro terzo compleanno.
Dag Hammarskjöld pensava in modo cristiano quando scrisse che una filosofia che non è in grado di dare un senso alla morte non può nemmeno dare un senso alla vita. Nessuno vivrà nel modo giusto finché queste verità sulla morte non sono radicate nel suo cuore.
Nancy Guthrie insegna la Bibbia nella chiesa di cui fa parte, Cornerstone Presbyterian Church a Franklin, Tennessee, nonché in conferenze nazionali e internazionali, incluso il suo laboratorio di teologia biblica per donne. È autrice di numerosi libri, tra cui La voce di Dio nella sofferenza, Meglio dell’Eden e Dio crea capolavori dal vuoto, pubblicati in italiano. Conduce il podcast Help Me Teach the Bible di The Gospel Coalition. Lei e suo marito organizzano ritiri per coppie che hanno perso un figlio e sono co-conduttori della serie di video GriefShare.
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