Lettera aperta a un pastore che dubita della sua chiamata

Caro fratello,

posso assicurarti che non sei il primo pastore a domandarti se sei veramente chiamato al ministero pastorale. E’ una questione che mi ha tormentato per quasi l’intera durata del mio primo pastorato a tempo pieno. Ho trascorso innumerevoli ore a pregare e a parlare del problema con colleghi pastori. Vorrei parlarti un pò del mio caso in modo da poter fondare la questione nel mondo reale del ministero, poi ti dirò quello che mi ha spinto ad andare avanti.

Due anni dopo aver ottenuto il diploma di dottorato al seminario, iniziai il mio primo incarico di pastore a tempo pieno. In apparenza, la chiesa che mi aveva chiamato sembrava quasi utopica: era una chiesa confessionale che sposava la sana dottrina; la sua costituzione prevedeva una pluralità di anziani; era stata guidata per oltre due decenni da fedeli espositori della Parola di Dio. La gente sembrava ricevere con gioia la Parola predicata e pareva desiderosa di crescere nella grazia ed entusiasta di avere la mia famiglia lì con loro.

Ma avevo valutato male la situazione.

Dietro alle apparenze, nascosta ai miei occhi, un’imboscata era in agguato. Un serio disaccordo teologico e metodologico tra i membri era latente. C’erano più o meno tre gruppi all’interno della congregazione in lotta tra loro per contendersi l’anima dottrinale e pratica della chiesa— e soltanto uno di essi rispecchiava la mia dottrina e pratica. Incombeva pure una minaccia reale, una crisi finanziaria di cui nessuno sembrava essere a conoscenza (onestamente credo che non lo fossero), e che minacciava di rapinare la chiesa della sua vita come un bandito nascosto.

A causa di questi e altri fattori troppo complessi da menzionare, non ci fu mai un giorno di pace in quel ministero. Ebbi subito degli oppositori. La prima settimana, un uomo mi accusò di aver fatto manovre politiche per diventare il pastore della “sua” chiesa. Disse chiaramente che la sua famiglia aveva votato contro di me. Ci fu un’immediata controversia con un membro dello staff, seguita da una riprensione da parte di uno degli anziani: sette pagine scritte a mano in cui erano elencati i miei difetti come pastore. Questo dopo aver servito insieme a lui per appena tre mesi.

Alcuni mesi dopo, venni a sapere che diverse famiglie stavano complottando segretamente la mia estromissione. Cercai di fare tutto quello che la mia formazione al seminario prevedeva, le cose che avevo fatto in passato nel ministero: Predicavo la Parola libro dopo libro, versetto dopo versetto. Lavorai tanto per coltivare le relazioni con lo staff e i membri della chiesa. Io e mia moglie invitammo sistematicamente l’intera chiesa a casa nostra.

Niente di tutto questo si rivelò utile. Ogni pulsante che premevo sembrava quello sbagliato, ogni carta che estraevo dal mazzo suscitava opposizione, persino vera e propria rabbia nei confronti miei e dalla mia famiglia. Ero sconcertato. La mia mente era piena di ansia. Mia moglie sentiva tutti pettegolezzi che si dicevano e combatteva contro l’amarezza. Alla fine, la depressione subentrò nel profondo del mio cuore e della mia mente. Non fraintendermi: non sto affatto dicendo di aver fatto ogni cosa per bene o di aver gestito a dovere ogni situazione. La mia stoltezza non fece altro che alimentare il fuoco che distrusse il mio ministero.

Che cosa aveva ancora in mente Dio? Come forse immagini, non ci volle molto prima che iniziai a sentire la sottile voce diabolica del dubbio interiore: Forse non sono stato veramente chiamato al ministero pastorale. Forse sono andato in seminario perché mi piacciono le grandi idee e i buoni libri. Tanto per cominciare, il ministero non era mai stato il piano di Dio per me, ed egli mi sta disciplinando per aver avuto tale audace presunzione. Forse sono chiamato a fare il professore—o qualcos’altro. Stavo prendendo in considerazione la possibilità di trovarmi un lavoro secolare nella mia città natale.

Il colpo finale—quello più doloroso—giunse alcune settimane dopo il mio terzo anniversario in quella chiesa. Una domenica mattina, dopo aver finito di predicare, uno degli anziani—tra lo stupore della mia famiglia e della congregazione—si alzò, salì al pulpito, e chiese un voto di fiducia su di me mentre mia moglie e i nostri quattro bambini assistevano alla scena dalla seconda fila. La sua fiducia nella mia leadership era finita—mi chiamò “un leader mancato”. Se già mi trovavo sull’orlo dell’addio, queste parole mi convinsero che era arrivata l’ora di andarmene.

La congregazione restò in silenzio e si rifiutò di votare contro di me o a mio favore, ma in quel momento sapevo che quello era il capolinea. Avevo finito lì—e forse nel ministero in generale. Sette giorni dopo, dallo stesso pulpito lessi la mia lettera di dimissioni, cercando senza riuscirci di trattenere tre anni di lacrime amare. Non sono un tipo che di solito piange, ma la diga crollò, e così feci io. La mattina dopo, dissi alla mia famiglia che avremmo fatto ritorno alla mia città natale, dove avrei ricominciato la mia precedente carriera di giornalista. Ero arrabbiato con la congregazione—e con Dio. Le parole del mio ex anziano riecheggiavano nel mio cervello. Come potrebbe un leader mancato essere chiamato a pascere il popolo di Dio?

Lasciai quella chiesa, ma non lasciai il ministero pastorale. Perché? Dopo un disastro assoluto del genere, quale persona sana di mente si offrirebbe per un secondo round? Questa è una buona domanda. La mia semplice risposta è questa: Sono chiamato ad essere un pastore. E a meno che non sia moralmente squalificato—quando non sono l’uomo che Paolo chiede che io sia in 1 Timoteo 3 e Tito 1 in modo manifesto e impenitente — sono chiamato ad andare avanti nel ministero a dispetto di ogni evidenza del contrario. Serviamo un regno invisibile il cui progresso è spesso altrettanto invisibile. Sono giunto a questa conclusione attraverso uno studio attento e approfondito della Scrittura e molta preghiera. Esaminando le vite di alcuni degli uomini che Dio ha chiamato nella Scrittura, mi sono reso conto che da un punto di vista strettamente umano i loro ministeri sembravano tutto tranne che un successo travolgente. Dio ha confermato spesso la loro chiamata attraverso le difficoltà che hanno sperimentato. Ed è così che egli ha riconfermato la mia.


Jeff Robinson Sr. (PhD, The Southern Baptist Theological Seminary) è redattore senior di The Gospel Coalition ed è il pastore principale della Christ Community Church di Louisville. E’ anche professore aggiunto di storia della chiesa al Southern Baptist Theological Seminary. E’ co-autore del libro To the Ends of the Earth: Calvin's Missional Vision and Legacy.

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