Due errori comuni nell’interpretare la Bibbia
Evitare gli errori comuni
È bello viaggiare quando un membro della comitiva ha una certa familiarità con il luogo dove si sta andando. Un viaggio avventuroso sulla strada aperta è molto divertente, ma perdere un’uscita autostradale importante o prendere in pieno una buca e forare una gomma non lo è. Quando leggiamo la Bibbia, è bene imparare come evitare di commettere alcuni degli errori interpretativi più comuni. Il punto di questa abilità non è quello di privarci della gioia del viaggio ma piuttosto di proteggerci dalle strade sbagliate e dalle inutili riparazioni che rallentano il nostro viaggio.
Dal momento che la cosa che ci interessa è ascoltare la voce di Dio nella Bibbia (anziché fare in modo che essa ci dica quello che vogliamo sentirci dire), dovremmo esercitarci ad interpretarla nel migliore dei modi. Una buona lettura di tipo informativo è accurata, prestando la massima attenzione e dando il meglio delle nostre capacità intellettuali all’attività di comprensione. Ci sono errori comuni nell’interpretazione che sono facili da commettere e altrettanto facili da correggere. Questi errori possono essere raggruppati in due categorie: errori linguistici ed errori di ragionamento.1
Errori linguistici
Dio è un Dio che parla, e la Bibbia è un libro fatto di parole. Anche se è possibile farsi un’idea di Dio attraverso altri modi ed esperienze —come le emozioni, la bellezza dell’arte e della natura, esperienze misteriose e spirituali —nessuna forma di rivelazione è più centrale della Scrittura.
Tuttavia, dal momento che siamo creature limitate e peccaminose che vivono in un mondo decaduto, ci capiterà di incorrere spesso in fraintendimenti nella comunicazione. A volte è facile fraintendere persino un buon amico. Se parlare faccia a faccia con qualcuno con cui abbiamo molto in comune può portare a malintesi, quanto più impegnativo è leggere e comprendere un testo che è stato scritto da persone di una lingua e di una cultura diversa dalla nostra e che hanno vissuto in un luogo e in un’epoca diversa dalla nostra? Questo è vero specialmente quando studiamo la Bibbia perché ci sforziamo di ricavare un significato profondo da essa. Paradossalmente, questa aspettativa e questo rispetto per la Bibbia possono portarci a trattare le parole in essa contenute in un modo magico che genera più confusione che chiarezza, più errore che verità.
Per esempio, quando studiamo la Scrittura a volte mettiamo troppa enfasi sul significato preciso di una particolare parola concentrandoci sulla sua origine e storia (etimologia) —o su come quella parola viene usata in contesti più tecnici. Prendiamo la parola pianoforte, per esempio. Chiunque parli italiano sa che, nonostante le sue componenti, questo nome non si riferisce a una superficie uniforme particolarmente robusta. Pianoforte è un insieme concordato di suoni che indica uno strumento musicale. Non determiniamo il significato della parola dissezionando le sue parti—piano e forte. Eppure questo tipo di errore viene spesso commesso con le parole della Bibbia. Per esempio, la parola comune Greca ekballō deriva dalla preposizione ek (“fuori da”) e dal verbo ballō (che spesso significa “gettare, buttare”). Talvolta questa parola viene usata nel senso di “lanciare o gettare [qualcosa] fuori”, come un gruppo di demoni in Matteo 8:31. Ma la stessa parola può anche essere usata con il significato etimologicamente meno derivato di “fare uscire” come nel caso di Matteo 12:35, dove sia l’uomo buono sia l’uomo malvagio “traggono” cose buone e cose malvagie dal loro buon tesoro e dal loro malvagio tesoro —non le “lanciano fuori”.
Allo stesso modo, dovremmo sempre fare attenzione a lasciare che il significato di una parola sia determinato dall’uso che se ne fa nel proprio contesto piuttosto che presumere che la stessa parola abbia lo stesso significato ovunque. Per esempio, le importanti parole bibliche per “giusto/giustizia” (Ebraico: tsedaqah; Greco: dikaiosunē) hanno un significato e un utilizzo ricco e variegato. “Giustizia” nell’Antico Testamento significa principalmente fare ciò che è giusto secondo i comandamenti di Dio, e questo è l’uso che viene fatto anche nel Vangelo di Matteo. Negli scritti di Paolo hanno un senso leggermente diverso ma collegato di essere dichiarati giusti davanti a Dio e della giustizia che Dio porta nel mondo. L’uso di Matteo della parola “giusto” si concentra di più sul modo di vivere virtuoso che è in accordo con il regno futuro di Dio che sull’idea che le cose verranno messe a posto nel mondo e in noi. I significati attribuiti da Matteo e da Paolo non sono in contraddizione tra loro, ma non sono gli stessi. Creeremo molta confusione per noi stessi e per gli altri se partiamo dal presupposto che dikaiosunē significhi necessariamente la stessa identica cosa quando è usato da autori diversi.
Si potrebbero fare molti altri esempi di errori linguistici, ma possiamo riassumere il punto sottolineando il nostro bisogno di prestare molta attenzione a quanto viene comunicato nella Scrittura e di usare il buon senso. Possiamo evitare molti errori linguistici quando facciamo attenzione a non essere eccessivamente tecnici nelle nostre argomentazioni e allo stesso tempo non fare troppe supposizioni su ciò che un autore sta dicendo.
Errori di ragionamento
Non solo facciamo facilmente errori linguistici ma commettiamo spesso errori anche nel ragionamento logico. Gli effetti del peccato sulla nostra mente (si veda Rom. 1) comportano che le argomentazioni logiche e i modelli di ragionamento spesso ci appaiono validi quando in realtà non lo sono. Per esempio, consideriamo la seguente argomentazione:
Tutti i gatti sono pelosi.
Il cane Rover è peloso.
Conseguentemente, il cane Rover è un gatto.
Sebbene la conclusione assurda ci faccia capire che l’argomentazione è falsa, potrebbe non esserci immediatamente chiaro il motivo per cui l’argomentazione non solo è falsa ma anche sostenuta in modo inadeguato. Questa argomentazione non è valida perché anche se le prime due affermazioni sono vere, la relazione tra di esse è priva di un legame logico. Vale a dire, affermare che tutti i gatti sono pelosi non significa che altri animali, come i cani, non possano essere pelosi a loro volta. Pertanto, dal momento che la prima affermazione non è necessariamente legata alla seconda, la conclusione non è valida. Molte volte facciamo la stessa cosa quando cerchiamo di comprendere una verità teologica contenuta in un brano biblico.
Molte volte non ci rendiamo conto che la nostra argomentazione sta seguendo lo stesso tipo di ragionamento illogico. Nel caso precedente abbiamo una classica fallacia di associazione logica, laddove l’abbinamento della prima e della seconda premessa creano un falso senso di necessità nella conclusione. Possiamo fare lo stesso errore quando interpretiamo la Bibbia. Consideriamo per esempio il seguente ragionamento:
Nella Bibbia i discepoli scacciano i demoni.
Anche noi siamo discepoli.
Di conseguenza, noi scacciamo i demoni.
Questa argomentazione può sembrare valida, ma è sbagliata come quella precedente. Non sto dicendo che cristiani vissuti dopo i tempi della Bibbia non abbiano scacciato demoni (anzi, ne sono piuttosto certo); cionondimeno, la conclusione non discende dalla premessa. Se dei discepoli nella Bibbia hanno scacciato demoni e anche i cristiani di oggi sono discepoli, non per questo ne consegue logicamente che ogni discepolo oggi scacci demoni. Questo potrebbe succedere, ma non è una conseguenza logica necessaria perché potrebbero esserci in gioco altri fattori —come ad esempio la posizione unica dei primi discepoli di Gesù, tempi speciali in cui l’evangelo avanza ed è accompagnato da miracoli (come in Atti), e il fatto che i credenti hanno doni spirituali diversi (vedi 1 Cor. 12:4–11, 27–31).
Nel nostro studio della Bibbia commettiamo spesso errori di ragionamento di questo tipo, specialmente quando vogliamo affermare qualcosa che secondo noi è vero e opportuno. Questi modi di argomentare potrebbero avere la meglio in una discussione ma si riveleranno sempre insensati e dannosi alla lunga.
Questo avvertimento per evitare errori di interpretazione comuni vuole essere un invito a fare attenzione alle nostre argomentazioni su ciò che la Sacra Scrittura dice. A causa delle nostre limitazioni umane e degli effetti del peccato, commettiamo spesso errori linguistici e di ragionamento, quindi dobbiamo essere umili e prestare attenzione nell’interpretare la Bibbia.
Note:
Un utile libro classico sul soggetto è Fallacie esegetiche di D. A. Carson, edizioni GBU.
Il presente articolo è tratto da Come and See: The Journey of Knowing God through Scripture di Jonathan Pennington.
Jonathan Pennington (PhD, University of St Andrews) è professore di interpretazione del Nuovo Testamento presso il Southern Baptist Theological Seminary e pastore per la formazione spirituale della chiesa Sojourn East a Louisville, Kentucky. È l’autore di numerosi libri, tra cui Reading the Gospels Wisely, The Sermon on the Mount and Human Flourishing, e Jesus the Great Philosopher.
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