Due cose da considerare prima di lasciare la città

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Nelle ultime settimane ho letto diversi titoli nei giornali, nelle riviste e nel mio feed di Twitter in cui si annuncia che città come New York sono morte e che “l’epoca delle metropoli è finita”. La ragione principale di queste predizioni è l’apparente esodo dai centri urbani verso i più spaziosi angoli periferici (e rurali) d’America. 

Ho letto questi articoli con interesse perché sono il pastore di una chiesa a Manhattan, e alcune persone che hanno lasciato la città facevano parte della nostra chiesa. Ho celebrato i loro matrimoni, li ho battezzati e ho gioito per le loro gravidanze. Ora posso soltanto vedere i post su Instagram dei loro neonati.

Molti dei nostri amici non sono andati via per motivi consumistici o perché erano dei privilegiati, ma perché lavoravano per industrie, come quella dei servizi e dello spettacolo, che hanno chiuso completamente o hanno subito gravi limitazioni, o perché dovevano prendersi cura dei loro familiari. 

Poiché Manhattan è una città piuttosto secolare, con relativamente pochi cristiani e poche chiese, i credenti possono avere sentimenti contrastanti sul trasferirsi qui o partire da qui. Le risorse di una chiesa spesso sono esigue, per cui qualunque perdita (finanziaria o di persone) può essere rilevante, per cui la decisione di lasciare viene spesso presa con un misto di vergogna e senso di colpa.

Cosa dovrebbero pensare i cristiani al riguardo? Forse vivi in una grande città e stai valutando se lasciarla. Qual è la cornice corretta per decidere se restare in città o lasciarla?

Inizia dalla grazia

Inizia sempre dalla grazia. Il COVID-19 ha provocato perdite, stanchezza e logorio che molti di noi non avevano mai affrontato prima. Nessuno di noi è pratico di pandemie. Tutti noi abbiamo bisogno di fiumi e fiumi di grazia. Se ti sei sentito schiacciato in questo periodo, o se non è stata la passeggiata spirituale annunciata dal tuo podcaster o pastore preferito, c’è misericordia per te. Quando si parla della questione delle persone che si sono trasferite durante quest’anno, è possibile che alcuni abbiano lasciato la città per dei motivi sbagliati, spinti dalla paura o dal desiderio di trovare lidi più tranquilli. Ma in un periodo come questo non bisogna avere un atteggiamento inquisitorio sulla fragilità delle persone, ma dare e ricevere grazia. 

Chiamata e patto

Ad ogni modo, qual è una buona cornice teologica da usare nel decidere se restare o partire? Uno degli approcci prevalenti nella nostra cultura è quello di prendere decisioni importanti usando le categorie della comodità e dell’opportunità. Stai vivendo una situazione di disagio? Vai dove c’è il comfort. Hai ricevuto un’opportunità migliore? Segui la porta aperta. 

Noi cristiani abbiamo però due categorie più profonde da prendere in considerazione: patto e chiamata. Entrambe possono essere iper-spiritualizzate e usate semplicemente per assecondare i nostri desideri per la comodità o l’opportunità, perciò abbiamo bisogno di saggezza. 

Chiamata può sembrare una cosa nebulosa. Ma Cristo ci chiama all’obbedienza, che ha vaste implicazioni per le nostre finanze, vocazioni, relazioni e tempo. Che cosa significa essere fedeli a Cristo in questi aspetti? Certamente non significa che posso inseguire ogni opportunità. Se ci sono mansioni o opportunità a cui dici sempre “sì” perché così avanzerai nella vita, o se la tua vita con Cristo non chiude mai le porte, allora probabilmente stai pensando in termini di opportunità e non di chiamata. 

Patto è la categoria con la quale i cristiani agiscono nell’amore. Il patto richiede sacrificio. Spesso crea disagio perché è una relazione corposa piuttosto che esile. Probabilmente hai dovuto chiedere perdono (e concederlo) diverse volte in una relazione dove c’era un patto. Il patto privilegia la crescita e la maturità a lungo termine, sopportando insieme gli alti e i bassi, al posto di relazioni fragili che possono rompersi alla più piccola pressione. (C’è un importante avvertimento qui sulle situazioni di abuso spirituale, ma questo esula lo scopo di questo articolo). Quando il disagio proviene da circostanze difficili (ad esempio, pressioni finanziarie, distretti scolastici, lontananza dalla famiglia), il patto ci tiene legati insieme più a lungo di una relazione di mera convenienza o di comodo. 

Decisioni alla luce della chiamata e del patto

Il vangelo ci spinge a permettere alla chiamata e al patto di guidare le nostre decisioni. Questo non significa che tali dinamiche ci costringono sempre a stare fermi. Chiamata e patto spinsero Abraamo e Sara a uscire dalla città di Ur, probabilmente turbando e deludendo i membri della loro famiglia e la loro comunità. Ma se ogni volta lasciamo la città per evitare il disagio (finanziario, vocazionale o relazionale) o alla ricerca di opportunità (finanziarie, vocazionali o relazionali), allora è probabile che il patto e la chiamata non stiano guidando il nostro processo decisionale. Il patto spesso implica dover sopportare il disagio, e la chiamata spesso comporta la perdita di opportunità.

Tuttavia, è importante ricordare che niente sotto il cielo è permanente. Le chiese non dovrebbero essere settarie richiedendo impegni assoluti e permanenti. I pastori e i leader di chiesa in città di passaggio dovrebbero avere la maturità emotiva di parlare di patto e chiamata in modi che non provocano paura, senso di colpa o vergogna quando le persone pensano di trasferirsi. Possiamo sfidarci a vicenda a pensarci due volte prima di agire, alla luce della chiamata e del patto, pur continuando ad amare, rispettare e piangere quelli che scelgono di andarsene. 

Molti di noi hanno preso decisioni che impattano le nostre vite per motivi egoistici invece di scegliere di fare un sacrificio. Forse ci siamo trasferiti quando avremmo dovuto restare. Il ravvedimento e la grazia sono gli unici modi che abbiamo per muoverci, in questo mondo decaduto, verso la maturità e la perseveranza. 

Mentre soffrivo per un amico che se ne stava andando dalla città, una persona più saggia di me disse: “Penso che sia giusto credere che ognuno prende la migliore decisione possibile, e allo stesso tempo desiderare che alcuni avessero preso una decisione migliore”. Forse è vero. 


John Starke è il pastore per la predicazione della Apostles Church a New York City e co-editor di One God in Three Persons (Crossway, 2015). Puoi seguirlo su Twitter.

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