Come svolgere fedelmente un lavoro in un ambiente dove mancano i "grazie"

“Non vedo l’ora di tornare a casa”, sospirò la mia collega di lavoro.

Avevamo appena passato due ore a ricevere freneticamente ordini da un’orda di clienti difficili. Eravamo di turno nel takeaway dall’auto di un fast-food locale e stavamo sfrigolando al caldo come i filetti di pollo in cucina. Una delle nostre mansioni consisteva nel dirigere il traffico in modo che scorresse in modo sicuro e ordinato, come fa un pastore che guida un gregge di pecore (il che mi ha fatto venire in mente un’immagine piuttosto divertente di come il Signore deve sentirsi quando si occupa di noi).

Il guidatore dell’ultima auto, che se l’era presa con noi perché la Sprite era esaurita, aveva appena oltrepassato la finestra del takeaway, lasciando dietro di sé una scia di imprecazioni.

Servire nel terziario

Questa esperienza non è inedita. Lavoro nel settore terziario da quasi cinque anni—da quando ne avevo 15—e in precedenza ho lavorato in una paninoteca e nello stadio di una lega minore.

Anche a me in certe giornate verrebbe voglia di andarmene appena arrivata al lavoro. Io e le mie colleghe non siamo rispettate dai clienti, che ci urlano contro e ci trattano come dei semplici mezzi per ottenere ciò che desiderano. Molti di loro non ci guardano affatto, men che meno negli occhi. Sareste stupiti nel vedere che ben pochi di loro si rapportano a noi come a degli esseri umani. Spesso dico che le persone sono sia la parte migliore che quella peggiore del nostro lavoro.

È un lavoro monotono, estenuante e non adatto ai deboli di cuore. Le persone che lavorano qui da noi spesso rientrano in due categorie: questo fast food è per loro una sorta di ultima spiaggia o vengono qui in attesa di trovare “qualcosa di meglio” per poi andarsene.

Contenti in ogni circostanza

Ad ogni modo, sarei contenta di lavorare nel settore terziario per il resto della mia vita.

“Qualunque cosa facciate, fate tutto alla gloria di Dio”, dice 1 Corinzi 10:31. Non considero il settore dei servizi un lavoro ingrato, ma un’opportunità unica di servire tantissime persone. Se disprezzo il lavoro che Dio mi ha dato, è come se gli facessi il muso e gli dicessi che sono troppo brava per fare questo mestiere. Questa è pura arroganza.

Ogni compito che svolgo è un’opportunità che Dio mi dà per glorificarlo servendo le persone che entrano nel locale, e questo è un privilegio—come lo sarebbe predicare il Vangelo nella giungla. È un privilegio pulire i tavoli in modo che i prossimi occupanti possano godersi un pasto senza dover sguazzare nel caos lasciato dai clienti precedenti. È un privilegio consegnare un ordine al tavolo di una mamma stanca affinché lei possa stare con i suoi figli. È un privilegio rispondere alle lamentele dei clienti con empatia, riconoscendo di avere sbagliato e di avere appena aggiunto una seccatura extra alla giornata di qualcuno.

A volte devo stringere i denti e ricordare a me stessa tutte queste cose. Altre volte, le dimentico completamente. Tuttavia, la verità è che Dio non divide il lavoro che svolgiamo in categorie, come se alcuni lavori lo glorificassero di più, altri di meno e altri ancora non lo glorificassero affatto. Siamo noi a usare queste categorie, non la sua Parola. Ogni vocazione che egli dà al suo popolo è importante per lui, incluse le vocazioni nell’industria dei servizi.

Lavorare in modo fedele

È comunque facilissimo cadere nella disperazione. In che modo questi piccoli gesti in un ristorante insignificante possono lasciare il segno nelle tenebre che si trovano in ogni angolo del mondo, specialmente quando nessuno sembra notare o apprezzare i tuoi sforzi?

Paolo ci offre una risposta: “La vostra fatica non è vana nel Signore” (1 Corinzi 15:58). Notiamo che egli non promette che sentiremo questo fatto, né che vedremo i frutti della nostra fatica. Tim Keller parafrasa bene questo versetto: “Se il Dio della Bibbia esiste . . . allora ogni impresa, anche la più semplice, portata avanti in risposta alla chiamata di Dio, può avere un’importanza eterna”.

Non sta a noi dire al Signore quale settore lavorativo produrrà più frutto e poi chiedergli di collocarci lì immediatamente —infatti, come ci dice anche 1 Corinzi 10:31, se l’obiettivo del nostro lavoro è quello di ottenere dei risultati, allora non abbiamo colto il punto. Non facciamo come Tommaso, che ebbe bisogno di prove visibili per credere (Giovanni 20:24-25). Il Signore ha detto che il lavoro che svolgiamo in risposta alla chiamata di Dio porterà frutto, e dobbiamo avere fiducia in questo indipendentemente dal fatto che lo vediamo accadere da questo lato dell’eternità.

“Non vedo l’ora di tornare a casa”, sospirò la mia collega. Entrambe abbiamo guardato la nuova fila che si stava formando, piena di persone di cattivo umore e affamate dopo una lunga giornata di lavoro. La mia collega pareva seccata. Capivo la sua stanchezza, ma allo stesso tempo ebbi un’ondata di compassione per i clienti. Questo probabilmente era il momento peggiore per andare a casa. Avevamo del lavoro da fare.


Emily Ellis è una studentessa del secondo anno presso la North Carolina State University, dove sta perseguendo una laurea specialistica in orticoltura e una laurea minore in Spagnolo. Vive a Raleigh (North Carolina) dove frequenta la Chapel Hill Bible Church.

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