Cinque miti sull’aborto
Mito n°1: I cristiani pro-life impongono le loro argomentazioni religiose a una società pluralista, violando in questo modo la separazione tra chiesa e Stato.
L’obiezione riguardante la “religione” è un espediente, non una confutazione. Come fa notare Francis J. Beckwith1, una tesi è vera o falsa, valida o non valida. Definire una tesi “religiosa” significa fare un errore di categoria, come lo è chiedere: “Quanto è alto il numero tre?” I cristiani pro-life sostengono che è sbagliato uccidere intenzionalmente esseri umani innocenti, cosa che l’aborto fa, quindi è sbagliato. Se i critici possono confutare questa argomentazione con delle prove, che lo facciano. Ma non possono respingerla addossandole un’etichetta.
D’altro canto, i cristiani pro-life non stanno imponendo le loro idee più di quanto i cristiani abolizionisti imposero le loro o il Reverendo M. L. King impose le sue. Piuttosto, le stiamo proponendo nella speranza di poter convincere i nostri concittadini a convertirle in legge. E’ così che funziona una repubblica costituzionale come la nostra. Non stiamo cercando di instaurare una teocrazia da imporre a chi non è cristiano, vogliamo soltanto una società più giusta per i membri più deboli della famiglia umana.
Sostenere che un embrione umano abbia valore non è infatti più religioso di quanto lo sia affermare che non lo abbia. Entrambe le affermazioni rispondono alla stessa precisa domanda: Che cosa rende in primo luogo gli esseri umani preziosi? E’ una domanda intrinsecamente religiosa senza un terreno neutrale. O si crede che ogni essere umano ha uguale diritto alla vita o non lo si crede. La posizione dei pro-life è che gli esseri umani hanno un valore intrinseco in virtù di ciò che sono. La posizione degli aborzionisti è che gli essere umani hanno valore solo in ragione di una proprietà acquisita come la coscienza di sé o senzienza. Notiamo che entrambe le posizioni—pro-life e aborzionisti—ricorrono alla riflessione filosofica per rispondere a una domanda per sua natura religiosa: Che cosa rende in primo luogo gli esseri umani preziosi? Pertanto, se la posizione pro-life è da escludere perché solleva interrogativi di tipo religioso, lo è anche quella aborzionista. La discussione non è su quale visione dell’aborto ha un fondamento religioso e quale no, ma quale visione del valore umano tiene meglio in considerazione i diritti umani e la dignità dell’uomo.
Infine, che cosa si intende per separazione della chiesa dallo Stato? Lo si intende nell’accezione più limitata secondo cui lo stato non dovrebbe creare una denominazione o in quella più ampia secondo cui i credenti di una religione non hanno il diritto di portare i loro valori nella pubblica piazza e rivendicarli come chiunque altro? Perché si insiste continuamente sulla separazione tra Stato e cristianità ma non sulla separazione tra metafisica secolare e Stato o tra teoria femminista e Stato? In sintesi, i credenti possono partecipare alla vita pubblica o questo diritto è riservato soltanto ai laici? Se è soltanto per i laici, dove sta scritto nella Costituzione?
Mito n°2: Gli uomini non hanno l’autorità morale per parlare di aborto.
Affermare che soltanto le donne possono parlare di aborto significa addurre argomenti contro la persona, ossia attaccare la persona anziché la tesi che ha presentato. Solleva inoltre una domanda problematica: Quali donne possono parlare? Come scrive Christopher Kaczor nel libro The Ethics of Abortion, non c’è una “prospettiva femminile” sull’aborto più di quanto non ci sia una prospettiva maschile o una prospettiva delle persone con gli occhi castani. La verità è che le femministe, per non parlare delle donne in generale, non hanno un unico punto di vista sulla questione. Questo è vero anche per le femministe che sostengono l’aborto. Per esempio, la femminista Naomi Wolf definisce l’aborto “una vera e propria morte”, mentre la femminista Katha Pollitt crede che abortire non sia diverso dal passare l’aspirapolvere a casa tua. In sintesi, se da un lato le prospettive di genere sull’aborto ci aiutano a capire le esperienze personali, non sostituiscono l’indagine razionale. Semmai, occorre avanzare delle argomentazioni e difenderle, e queste argomentazioni stanno in piedi o cadono in base alla loro fondatezza, non al genere di coloro che le appoggiano. Del resto, le donne pro-life sostengono le stesse argomentazioni degli uomini pro-life.
Anche in una cultura “#MeToo”, gli uomini cristiani hanno la straordinaria opportunità di modellare forza e grazia, pure su una questione che ha ferito molte donne. Supponiamo che a un apologeta pro-life venga detto che le sue posizioni sono offensive per le donne. Egli non si mette sulla difensiva, anzi, riporta garbatamente la discussione sulla condizione dell’embrione. Dice: “Hai sollevato un punto interessante. Se l’embrione non è un essere umano, sto privando una donna della libertà di abortire. Sto anche ingiustamente imponendo la mia visione sulla sua. Peggio ancora, la sto costringendo a stravolgere completamente la sua vita. Ti do ragione su questo. Ma se l’embrione è un essere umano, riesci a vedere le cose dal mio punto di vista? Ovvero, se tu condividessi la mia opinione che l’aborto uccide intenzionalmente un essere umano innocente, non faresti tutto il possibile per fermarlo? Non vorresti che la legge proteggesse i nascituri? Ovviamente mi rendo conto che non condividi il mio pensiero, perciò il mio punto è piuttosto semplice: la questione che ci separa non è che io odio le donne e tu le ami. A separarci è il fatto che io credo che gli embrioni siano esseri umani e tu no. Questa è la questione che spero possiamo discutere insieme”.
Mito n°3: L’unico modo per porre fine all’aborto è predicare il vangelo, perché al di fuori di Gesù le argomentazioni pro-life sono incomprensibili per i non credenti.
Le argomentazioni contro l’abuso dei bambini toccano i cuori dei non credenti? E quelle contro lo sfruttamento sessuale? In caso affermativo, perché le argomentazioni persuasive contro l’aborto non possono fare altrettanto?
Al Life Training Institute, l’istituto che dirigo, inseriamo il vangelo praticamente in ogni presentazione pro-life, ma non perché sia una condizione necessaria per capire le argomentazioni pro-life. Lo facciamo perché uomini e donne che sono passati per l’aborto hanno soltanto un rimedio per le loro scelte peccaminose: Gesù, il loro sostituto perfetto, che ha portato l’ira di Dio al posto loro. Invece di dire che al di fuori di Gesù le argomentazioni pro-life sono incomprensibili, dovremmo dire: “Al di fuori di Gesù, il perdono dei peccati è incomprensibile”.
Beninteso, anche quando le presentazioni pro-life contengono il vangelo, molti non vengono risvegliati spiritualmente. Ma alcuni vengono risvegliati moralmente, e questo è sufficiente per aiutare a salvare dei bambini. L’ex aborzionista Bernard Nathanson ha presieduto ad oltre 60.000 aborti prima di diventare pro-life pur dichiarandosi ancora ateo. Soltanto più tardi abbracciò il teismo. Il filosofo Hadley Arkes, un Ebreo agnostico convertitosi di recente al teismo, ha scritto una pregevole difesa della posizione pro-life e una critica pungente del relativismo morale. Da parte sua, l’editorialista e ateo Nat Hentoff ha coraggiosamente difeso la posizione pro-life per tutta la sua vita, senza mai convertirsi al cristianesimo.
Da parte mia, ho passato ventisette anni a fare presentazioni apologetiche pro-life in scuole superiori cattoliche e protestanti, università secolari, e in conferenze sulla visione del mondo. Ho visto argomentazioni convincenti pro-life funzionare con giovani del centro città che non conoscono Gesù e con giovani delle periferie che lo conoscono (e viceversa). La mia squadra di oratori riferisce gli stessi risultati. Ciò che funziona meglio è una convincente apologetica pro-life in grado di risvegliare l’intuito morale e coinvolgere la mente. Le immagini dell’aborto cambiano la sua percezione da parte della gente. Fatti e argomenti cambiano il loro modo di pensare. Entrambi sono essenziali nel cambiare il loro comportamento. In breve, la causa che presentiamo è accessibile a chiunque abbia una mente aperta, cristiano o no.
Mito n°4: I sostenitori del movimento pro-life devono adottare un programma più vasto per legittimare la loro attività.
Perché mai qualcuno dovrebbe pensare che, poiché sei contrario all’uccisione intenzionale di un essere umano innocente, devi occuparti di tutti i mali della società?
Come cristiani, ci dobbiamo occupare di molte questioni, non solo di alcune. Da ciò tuttavia non deriva che gli obiettivi operativi del movimento pro-life debbano essere altrettanto vasti e inclusivi. Immagina di dire all’AIRC: “Se foste davvero contro il cancro, vi batterestre contro le altre malattie con lo stesso slancio e con la stessa passione come fate per questa malattia!” O pensate con quale coraggio uno direbbe a Black Lives Matter: “A voi non importano le vite di tutte le persone di colore, ma soltanto di quelle che sono state uccise brutalmente dalla polizia”.
A dirla tutta, come mai il ragionamento del “programma più vasto” non è mai usato contro altri gruppi che prendono di mira specifiche forme di ingiustizia? Se un asilo nido accoglie bambini solo nei pomeriggi dei giorni feriali, lo critichiamo aspramente per non essere operativo 24/7?
Naturalmente l’aborto non è l’unica questione, più di quanto non lo fosse la schiavitù nel 1860 o lo sterminio degli Ebrei nel 1940. Entrambe però erano le questioni predominanti di quel periodo. Immagina di dire a un abolizionista nel 1860: “Non puoi essere contro la schiavitù se non ne affronti le cause sottostanti”.
La schiavitù è sbagliata. L’aborto è sbagliato. Nessuna delle due affermazioni richiede ulteriori qualifiche.
Come fa notare un mio collega, il Dott. Marc Newman: “Le persone e le organizzazioni la cui unica missione è quella di salvare questi esseri umani da una cultura decisa a massacrarli non hanno niente di cui doversi scusare. Non hanno bisogno di promuovere ulteriori cause; hanno bisogno di ulteriore supporto”.
Mito n°5: La chiamata della chiesa non è di occuparsi di questioni sociali, ma del discepolato.
Vero, la responsabilità principale della chiesa locale è quella di fare discepoli (Matteo 28). Che cosa significa questo? E l’aborto è collegato a questa responsabilità di fare discepoli? Facciamo questo ragionamento:
Premessa 1: Nel Grande Mandato (Matteo 28), Cristo dà alla chiesa il comando di andare e fare discepoli.
Premessa 2: Fare discepoli significa “insegnare loro a ubbidire” tutte le cose che Cristo comanda.
Premessa 3: Uno di questi comandi è che non dobbiamo versare sangue innocente (Esodo 23:7; Proverbi 6:16-17; Matteo 5:21).
Premessa 4: L’aborto è lo spargimento di sangue innocente, l’uccisione intenzionale di un essere umano innocente.
Pertanto,
Conclusione: L’aborto è collegato alla responsabilità della chiesa locale di fare discepoli.
Riassumendo, l’insegnamento biblico sull’aborto non è un diversivo dalla missione della chiesa, ma ne fa parte. Invece di evitare la questione, le chiese locali dovrebbero preparare i credenti a fare quattro cose:
Sostenere la causa dei nascituri in modo legittimo, limitando il male dell’aborto per quanto è possibile considerando l’attuale situazione politica.
Dialogare con la cultura presentando una causa per la vita persuasiva che si concentra sull’umanità dell’embrione e sulla disumanità dell’aborto.
Presentare alternative all’aborto facendo conoscere l’importante lavoro dei centri di aiuto alla gravidanza.
Servire i nostri connazionali colpiti dall’aborto, presentando il vangelo di Gesù Cristo come l’unica speranza per il male dell’uomo.
Note:
http://www.ignatiusinsight.com/features2007/beckwith_defendlife_dec07.asp
Scott Klusendorf è presidente di Life Training Institute, dove si occupa di formare i sostenitori pro-life per difendere in modo persuasivo le loro posizioni. Oratore appassionato e avvincente, le sue presentazioni sono comparse su Focus on the Family, Truths That Transform, e trasmesse da American Family Radio. Scott si è laureato a UCLA e ha scritto Pro-Life 101.
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