Ascolta, poi predica

“Predica la Parola” (2 Timoteo 4:2). Tre parole che riassumono tutto, da uno zelo ambizioso a una forte insicurezza. Ogni settimana, la maggior parte di noi va da un estremo all’altro. Studiamo la Parola, ci entusiasmiamo per le intuizioni esegetiche e per lo studio delle parole nelle lingue originali, ma quando si tratta di assemblare i pezzi in un sermone in piena regola, il dubbio si insinua. “Sono stato fedele al testo?” “La mia applicazione tocca il cuore delle persone?” “Ho anticipato le obiezioni della cultura?” Come possiamo dunque predicare fedelmente la Parola in tempi così caotici?

Ascoltare la Parola

La risposta a questa domanda non consiste tanto nel predicare la Parola ma nel lasciare che la Parola predichi a noi. Quando ci arrendiamo all’azione martellante della Parola che avvertiamo durante la preparazione del sermone, accettiamo la debolezza e l’inadeguatezza. Ma quando prendiamo in mano il martello e rifiutiamo di posarlo, rimaniamo ai margini della Parola di Dio. Il movimento da martellare ad essere martellato, da sopra il testo a sotto il testo, è un movimento di preghiera. 

Nella preghiera, noi rispondiamo alla Parola di Dio riconoscendola come sua parola. Egli diventa il nostro Oratore santo. Le sue parole sollecitano suppliche disperate (“Aiutami, Signore!”), ravvedimento sincero (“Sono stato dispotico ed egocentrico questa settimana, perdonami”), gioia esuberante (“Gloria a Dio!”) o un benedetto senso di inadeguatezza. Quando mi trovo in un impasse omiletico, mi allontano dalla scrivania ed esco per fare una passeggiata: “Spirito, cos’è che non capisco? Che cosa vuoi che io ascolti? Quali sono i bisogni del tuo popolo? Parlami, Signore”. Le nostre chiese non hanno semplicemente bisogno di un sermone ben preparato ma di un predicatore ben consumato —un predicatore il cui cuore è stato rotto e ridotto in frantumi in modo che le parole preziose di Dio penetrino in lui e lo trasformino.

Predicare Cristo

Questo confronto tra la nostra inadeguatezza e la sufficienza infinita di Dio è una riproduzione in scala ridotta del ministero pastorale. Siamo stati chiamati a fare qualcosa che non siamo in grado di compiere. Noi annunciamo una notizia che trasforma i cuori pur non potendo trasformare nessuno. Questo è un buon problema. Se avessimo il potere di cambiare gli altri, finiremmo col trascurare coloro che ci offendono o ci feriscono. Trasformeremmo le persone in modo disomogeneo, non raggiungendo quelle aree che solo un Dio onnisciente può vedere. Di sicuro cambieremmo cose che non hanno bisogno di essere cambiate, come le personalità che ci danno molto fastidio. Desidereremmo un cambiamento immediato anziché graduale, portando i cristiani ad evitare il processo di santificazione faticoso ma gratificante che dura per tutta la vita. Non predicheremmo la Parola, ma le nostre intuizioni, le nostre storie, la nostra conoscenza, persino la nostra compassione—ma non Cristo.

Ma predicare la Parola significa predicare Cristo: non solo parole su Cristo ma la persona di Gesù. Noi proclamiamo un Cristo che non è venuto come un insieme incorporeo di idee ma come la Parola incarnata. Il missiologo Andrew Walls richiama la nostra attenzione alla specificità dell’incarnazione: “egli è diventato una persona che è nata in una particolare località e in un particolare gruppo etnico, in un particolare luogo ed epoca . . . egli è diventato un uomo condizionato dalla storia e dalla cultura ” (235). Analogamente, quando predichiamo, noi comunichiamo la Parola eterna e immutabile in una forma e in un linguaggio culturale temporaneo e mutevole. 

Predicare la Parola in tempi sovversivi 

Il famoso imperativo di Paolo in 2 Timoteo 4:2 viene pronunciato nel contesto di un conflitto di autorità, non nei confini di un’aula di seminario. È collocato tra un incarico divino e la creazione di un mito. Alcuni membri della chiesa di Timoteo stanno facendosi venire il prurito di udire: un’espressione che significa andare alla ricerca di informazioni interessanti e succose. Questo atteggiamento li rende inclini a privilegiare altri insegnanti agli anziani locali e ad andare dietro a miti invece che alla Scrittura.

Nell’era dell’informazione, questo atteggiamento è diffuso. Le obiezioni alla nostra predicazione spesso provengono da un podcast o da un video diffuso su YouTube che viene ascoltato da membri della nostra congregazione. Sebbene insegnanti esterni possano arricchire chi li ascolta, un’informazione che solletica le orecchie porta le persone ad una conoscenza elitista sganciata dalla Parola di Dio. “Predica la Parola” è un’esortazione urgente in tempi sovversivi.

Paolo impartisce l’ordine di predicare la Parola dalla corte divina, “in presenza di Dio e di Cristo Gesù” (v. 1), che insieme possiedono l’autorità di giudicare il mondo. Predicare la Parola è un atto divinamente autorizzato da Colui che ha autorità sui vivi e sui morti. Dovremmo quindi predicare sapendo di dovere rendere conto a Dio, adempiendo il nostro dovere con solennità.

A cavallo tra due mondi

Ma la predicazione non deve essere talmente rivolta verso il cielo da non avere alcuna utilità per la vita su questa terra. Non dovremmo predicare con un angolo di novanta gradi, proiettandoci nell’atmosfera teologica senza toccare terra. John Stott implora il predicatore di proclamare la Parola di Dio a 180 gradi. Parti dal mondo biblico, ma dirigi la tua predicazione al mondo presente. Devi conoscere le lotte reali delle persone che guidi e i miti culturali che sono tentate a credere. 

Il ministro della Parola sta tra questi due mondi. Congiungerli non è un compito facile. Per alcuni, la tentazione è quella di restare nel mondo biblico, buttandoci dentro un’applicazione occasionale o un abbellimento culturale. Per altri, l’esegesi culturale o l’applicazione pratica è più allettante dello scavare nel testo biblico. Sono tutte cose importanti, ma non esiste un mix perfetto nella predicazione. Piuttosto, dovremmo praticare l’ascolto della congregazione per discernere come meglio affrontare i miti culturali.

Ascoltare i cuori

L’ascolto della congregazione consiste nel partecipare alla vita della tua congregazione. Vuol dire sedersi con le persone e chiedere loro quali sono le loro lotte, non creare un elenco di applicazioni immaginarie. Dobbiamo ascoltarle per predicare ai loro cuori. Un pastore che ascolta la sua congregazione presta attenzione alle tematiche che riaffiorano al bar o nel suo ufficio. Egli ascolta ascolta attentamente le domande che vengono fatte nei piccoli gruppi e nelle relazioni di discepolato. Egli prende nota delle obiezioni frequentemente poste nei corsi sulla Bibbia e di teologia. Quali schemi stai osservando nelle persone? Quali particolari filosofie le fanno sviare? Ascoltare la tua congregazione ti permetterà di discernere quali questioni affrontare e quanto spesso affrontarle.

Sii sollevato. Non devi trovare un equilibrio perfetto tra due mondi quando predichi. Invece, ascolta la tua chiesa e lo Spirito, e poi predica la Parola.


Jonathan K. Dodson (M.Div, Th.M) è un pastore che ha fondato la chiesa City Life ad Austin (Texas) con sua moglie Robie e un piccolo gruppo di persone. Ha tre figli. È pure il fondatore di Gospel Centered Discipleship.com e autore dei libri Gospel-Centered Discipleship, Raised? Finding Jesus by Doubting the Resurrection e The Unbelievable Gospel: Say Something Worth Believing. Gli piace ascoltare M. Ward, fumare la sua pipa, guardare film di fantascienza e seguire Gesù.

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