Quando essere ‘immedesimabili’ è dannoso
“Parlare con lei è piacevole, riesco sempre a immedesimarmi”.
“Mi piace il suo account su Instagram. E’ molto simpatico e relazionabile”.
“Lei è la mia insegnante preferita—mi posso riconoscere nei suoi aneddoti!”
Se vuoi fare un bel complimento a un’altra donna, chiamala “immedesimabile”. Il concetto dietro a questo termine di uso recente è proprio quello che uno si aspetterebbe: stabilire un punto di contatto con la persona con cui si sta parlando, identificarsi con le sue difficoltà o circostanze personali. Significa non mettersi su un piedistallo mentre tutti gli altri sono in basso. Significa essere normali (o anormali) e non fingere il contrario.
In un mondo digitale dove regnano filtri e feed ben curati, l’immedesimazione è spesso un antidoto. E’ un modo per sollevare il velo che nasconde tutte queste immagini perfette e dire l’ovvio: che il bucato esiste, che ci sono le giornate storte, che il lavoro è lavoro, che le nostre vite hanno spesso dei risvolti involontariamente comici, e che siamo tutti sulla stessa barca.
Nel migliore di casi, l’immedesimazione è un’umiltà trasparente che cerca di servire gli altri fornendo un punto di partenza per la relazione. Nel peggiore, essa nasce dal desiderio che gli altri minimizzino il tuo peccato. E’ una sorta di manipolazione.
Il lato pericoloso dell’immedesimazione
“Oh, anche tu urli ai tuoi figli? Che sollievo. Facciamoci una risata. Mi ci posso riconoscere”.
“Oh, ti versi un bicchiere di vino e dici al resto della famiglia che si devono arrangiare per la cena? Anch’io. Sono stufa di dover pensare sempre io alla cena per tutti. Hahahaha. Anch’io mi ci identifico”.
“Oh, fai un’abbuffata di Netflix per la quarta sera di fila perché non ce la fai più? Anch’io. Mi ci posso riconoscere”.
Ma questo modo di relazionarsi non solleva sufficientemente il velo perché qualcuno di noi possa davvero sentire il peccato dell’altro o possa camminare insieme all’altro per cercare il ravvedimento e la riconciliazione.
La condivisione dei “brutti momenti” è peraltro curata e scelta con attenzione. Spesso massimizza l’umorismo e minimizza le conseguenze. Lo scopo di condividere aneddoti autoironici è fare in modo di piacere di più alla gente, non meno.
Questa è la forza dell’essere immedesimabili. Ci piace relazionarci con persone (distanti da noi) che sbagliano come noi e che peccano allo stesso modo, solo che non sopportiamo di avere una vera relazione con le persone quando queste peccano contro di noi o quando siamo noi a peccare contro di loro.
Nella vita reale non è altrettanto divertente.
Relazionarci in Cristo
Le donne cristiane si relazionano tra di loro in un modo diverso, come donne che Dio ha messo da parte e che sperano in lui. Ci sono tentazioni e prove comuni che dovremmo confessare e condividere. La nostra trasparenza può aiutare altre donne, ma soltanto se essa ci conduce insieme al nostro Salvatore. Invece di farci una sana risata su come tutto sommato il nostro peccato sia comune e prevedibile, ci uniamo nella santità non comune che ci è stata data a causa del Figlio di Dio, che è venuto a salvarci da quei peccati (Galati 1:4; Tito 2:11-14). Ci relazioniamo le une alle altre perché di fatto siamo unite nella famiglia di Dio, mediante la fede nel suo Figlio.
La nostra lealtà più profonda non è nei confronti della solidarietà femminile dell’immedesimazione o del nostro peccato comune, ma nei confronti del nostro Padre, che ci ha liberate dal peccato e ci ha rese sorelle in Cristo mediante il suo sangue. Certo, anche le donne sante ridono, ma non del peccato mortale. Ridiamo per quello che sarà, ridiamo per quello che è stato, ridiamo di noi stesse, e ridiamo con una coscienza pura.
Paolo aveva un modo interessante di relazionarsi con la chiesa. Egli era pronto a essere trasparente sul suo passato, definendosi il primo dei peccatori (1 Timoteo 1:15), ma non aveva paura di chiamare le persone a imitarlo come egli imitava Cristo (1 Corinzi 11:1). Molte di noi tendono a pensare all’umiltà come a qualcosa che richiama l’attenzione sulle nostre mancanze. Paolo però ci mostra qualcosa di diverso. L’umiltà consiste nell’abbandonare le nostre vie peccaminose e seguire le vie sante di Gesù. Consiste nell’essere oneste sulla nostra incapacità di salvarci da sole e consiste nell’esaltare la vera e potente opera di Dio nelle nostre vite in modo che anche noi possiamo dire a una credente più giovane: “Imita me come io imito Cristo”.
Quando penso alle donne e agli uomini che hanno avuto l’influenza più profonda e durevole nella mia vita, non sono stati il loro umorismo disarmante e i loro aneddoti in cui potevo immedesimarmi ad avermi influenzato maggiormente. In molti casi, non potevo per niente relazionarmi alle loro esperienze. Non posso immedesimarmi nella contentezza di Betsy ten Boom in un campo di concentramento, o nel superamento di Elisabeth Elliot della perdita del marito ucciso mentre stava cercando di servire coloro che poi lo avrebbero trafitto, o anche nella rinuncia di John Piper al televisore. Riesco a malapena a immedesimarmi nell’incessante servizio di babysitting che mia madre svolgeva come se niente fosse o nel rifiuto di una mia cara amica di accostarsi a niente che abbia anche la minima traccia di pettegolezzo. Questa mancanza di “tipicità”—il fatto di non potermi immedesimare subito—è esattamente quello che mi distoglie dal desiderio di essere normale o immedesimabile o tipica e che mi sprona ad avere un maggior desiderio per la santità e per il Dio che dà la forza di vivere in modo così atipico.
Nella loro distinzione, queste persone mi richiamano a Cristo, il sommo sacerdote che simpatizza con le nostre debolezze, il quale si è immedesimato con noi nel modo più potente di tutti. Egli diventò uno di noi per mostrarci la via d’uscita dal nostro peccato comune e immedesimabile e l’ingresso nella sua non comune e gioiosa santità. Sorelle, seguiamo lui.
Abigail Dodds (@abigaildodds) è una moglie, una mamma di cinque figli e una laureanda al Bethlehem College & Seminary. Scrive regolarmente per Desiring God ed è l’autrice di (A)Typical Woman: Free, Whole, and Called in Christ (2019).
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