Perché l’evangelicalismo riformato si è frammentato: quattro approcci alla razza, alla politica e al genere

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Non è un segreto che l’America sia sempre più divisa e polarizzata. Molti di noi sono preoccupati per l’aumento di animosità, belligeranza e violenza nella nostra classe politica. Ma a preoccuparmi ancora di più sono le divisioni nella chiesa, e in particolare il crescente fazionalismo nel mondo evangelico riformato conservatore di cui faccio parte. Che il problema sia la destra o la sinistra (o entrambe), ci sono pochi dubbi che la nostra tribù Giovane, Irrequieta e Riformata è meno giovane (e forse meno riformata?), ma di certo è irrequieta come al solito.

Se la memoria non mi inganna, secondo le mie stime, essendo stato nell’ambiente per gran parte della sua storia, dai primi anni del 2000 fino al 2014, si è assistito ad una notevole convergenza di diversi network riformati e più o meno riformati, ministeri e leader di chiesa. Naturalmente, la “risorgenza riformata” o “Nuovo Calvinismo” o “YRR” è sempre stato diviso su alcuni punti ovvi. Ci sono stati i soliti disaccordi sui sacramenti e sui doni spirituali, sulla forma e sugli approcci all’adorazione. Ma il “gruppo” è stato tenuto insieme da un certo numero di importanti convinzioni teologiche: l’ortodossia cristiana storica, l’inerranza, la sostituzione penale, la soteriologia calvinista, i sola della Riforma, il complementarianesimo e la centralità della predicazione espositiva. Lungo quasi un decennio di (apparente) unità, c’è stata anche una percezione condivisa di ciò che il movimento NON era: non eravamo liberali, né arminiani, né emergenti, né sensibili ai ricercatori spirituali, né fautori del Vangelo della prosperità, né egalitariani, né revisionisti dell’etica sessuale, né cattolici, né evangelici all’acqua di rose, né gente disposta a fare compromessi su verità dottrinali impopolari.

Per quasi un decennio, in modo sorprendente, sembrava che più pastori, più chiese e più network si unissero per condividere queste convinzioni. Non meno importante, molti fratelli e sorelle hanno abbracciato l’essere Nero e Riformato. L’hip hop cristiano è stato universalmente celebrato come ricco vino teologico versato in nuove otri. “La Teologia del Dio Grande” non era solo in crescita e in fermento; stava unendo persone che prima erano separate.

Eppure, al di là dei casi Ferguson (2014), Trump (2016), MLK50 (2018), coronavirus (2020–2021), George Floyd (2020), e ancora Trump (2020–2021), la sorprendente unione  sembra essere tutto fuorché lacerata. Senza dubbio, la questione principale è la razza e tutto ciò che riguarda la razza (per es., le sparatorie della polizia, la teoria critica della razza, Trump), ma non è solo la razza a dividerci. Sono più in generale i nostri diversi istinti e sensibilità, le nostre differenti paure e diffidenze, le nostre diverse inclinazioni intellettuali e culturali. Sì, ci sono anche importanti disaccordi teologici, che richiedono la massima attenzione da parte delle nostre menti e dei nostri cuori. Ma in molti casi, persone che sulla carta affermano gli stessi impegni dottrinali sono molto distanti nel loro atteggiamento e nella loro pratica.

Verso un modo di interpretare le nostre differenze

Perché?

Questo è ciò su cui ho riflettuto nell’ultimo anno e più. Non ho l’ultima parola su come affrontare il problema, e tanto meno sui passi successivi verso la soluzione del problema. Ma cercare di capire che cosa sta succedendo è un buon inizio.

Mi sembra che ci siano almeno quattro diversi “gruppi” al momento. Molti dei vecchi network e alleanze stanno per crollare ed essere ri-formate secondo nuovi criteri. Questi nuovi punti non sono dottrinali nel senso classico. Piuttosto, spesso essi colgono un clima culturale, una tendenza politica, o una sensibilità personale. Potremmo etichettare ciascun gruppo in base a ciò che esso considera il bisogno principale del momento, da quello che valuta essere l’impegno più urgente della chiesa in questo momento culturale. Assegniamo a ciascun gruppo un aggettivo corrispondente a questa valutazione.

  1. Contrito: “Guarda la complicità della chiesa nei mali passati e presenti. Siamo stati ciechi all’ingiustizia, al pregiudizio, al razzismo, al sessismo e all’abuso. Il mondo ha bisogno di vedere una chiesa che ammette i suoi peccati e che si adopera, con spirito contrito, per porvi rimedio e superarli”.

  2. Compassionevole: “Guarda a tutte le persone ferite e che soffrono in mezzo a noi e nel mondo. Ora è il tempo di ascoltare e imparare. Ora è il tempo di piangere con quelli che piangono. Il mondo ha bisogno di una chiesa che dimostra l’amore di Cristo”.

  3. Prudente: “Guarda alla confusione morale e al pressapochismo intellettuale che contraddistingue la nostra epoca. Facciamo attenzione al nostro linguaggio e alle nostre definizioni. Il mondo ha bisogno di una chiesa che attinga al meglio della sua tradizione teologica e indichi la via nel comprendere le sfide del nostro tempo”.

  4. Coraggioso: “Guarda al compromesso della chiesa con lo spirito di questo secolo (se non alla sua totale capitolazione). Questo è il momento di far squillare le trombe, non di tirarsi indietro. Il mondo ha bisogno di una chiesa che ammonisca il ribelle, avverta del pericolo, e che si ponga come un baluardo della verità, non importa quanto possa essere impopolare”.

Si noti che ogni “gruppo” è identificato con un termine positivo. Anche se mi avvicino di più al gruppo numero 3 più di ogni altra categoria, ho cercato di fare del mio meglio per indicare ciascun gruppo con un termine che esprima il buono che esso persegue. La maggior parte di noi leggerà l’elenco qui sopra e penserà: “Mi piacciono tutti e quattro i termini. Al tempo giusto, nel posto giusto e nel modo giusto, la chiesa deve essere contrita, compassionevole, prudente e coraggiosa”. Lo scopo di questo schema non è etichettare gruppi o persone, né quello di suggerire che se solo potessimo mettere insieme il 25% da ogni categoria allora tutti i nostri problemi sarebbero risolti. Sono consapevole che il pericolo di schemi come questo è che le persone potrebbero dividersi ancora di più mettendo altri in categorie rigide o di incappare nell’equivalenza morale come se non esistessero approcci corretti o risposte giuste.

Fatti queste opportune distinzioni, credo che i raggruppamenti concettuali possono aiutarci a vedere con maggiore chiarezza che i nostri disaccordi non vertono su un’unica cosa, ma hanno a che fare con l’atteggiamento di base e il modo in cui vediamo un sacco di cose. Anche se qualunque strumento di categorizzazione sarà generico, semplificato e imperfetto, può comunque essere utile, specialmente se capiamo che alcune categorie possono essere di sinistra (andando verso il numero successivo più basso) e di destra (avvicinandosi al numero successivo più alto).

Con questo in mente, pensiamo a come i quattro gruppi valutano una serie di questioni contemporanee in due categorie piuttosto ampie.

Tabella 1 (Razza)

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Tabella 2 (Politica e genere)

Qual è il punto?

Ribadisco, il punto di questo schema non è la rigidità o il relativismo. Non sto suggerendo che ogni cristiano più o meno riformato possa essere inserito in modo netto in queste tabelle, né sto suggerendo che siamo tutti ciechi di fronte ad un elefante, dove ogni persona non è più vicina a tutta la verità rispetto agli altri.

Uno dei motivi per cui ho elaborato questo schema è quello di fare un passo avanti verso la comprensione del nostro contesto attuale. Le voci più forti tendono ad essere quelle dei gruppi 1 e 4, il che ha senso perché essi tendono a vedere molte di queste questioni nei termini più netti e spesso si scontrano tra loro facendo molto rumore online. La 1 e la 4 possono inoltre essere le voci più separatiste, alcune delle quali (tra la 1) incoraggiano un esodo dagli ambienti evangelicali bianchi mentre altre voci (tra la 4) invitano a scomunicare gli attivisti. I gruppi 2 e 3 sono più propensi a fare appello all’unità, o almeno a chiedere di conoscere meglio tutte le parti, il che può farle apparire troppo “molli” agli occhi degli estremi opposti. Lo sforzo dei gruppi 2 e 3 di trovare un terreno comune è reso difficile dal fatto che molti nel gruppo 2 vogliono che i loro amici nel gruppo 3 sfidino i pericolosi del gruppo 4, mentre quelli del gruppo 3 vorrebbero che i loro amici tra le file del gruppo 2 fossero meno comprensivi nei confronti del gruppo 1.

Conoscere noi stessi è altrettanto importante che conoscere il nostro contesto. Ci piace pensare di essere arrivati a tutte le nostre posizioni attraverso un rigoroso processo di preghiera, riflessione biblica e decisione razionale. Ma se siamo onesti, tutti noi abbiamo anche certe tendenze. In virtù della nostra educazione, delle nostre esperienze, delle nostre ferite, della nostra personalità, dei nostri doni e paure, siamo attratti verso certe spiegazioni e spesso pensiamo in termini di modelli a noi familiari per quanto riguarda le questioni più complicate e controverse. Com’è possibile che sapere quello che uno pensa, per esempio, sull’uso della mascherina possa darti un’idea piuttosto precisa di cosa quella persona pensa del nazionalismo cristiano e del razzismo sistemico? Di certo, i gruppi di amici hanno il loro ruolo, come lo ha l’impatto totalizzante della politica ai nostri giorni. E tuttavia, le nostre particolari (e spesso prevedibili) sensibilità spesso hanno un ruolo più importante di quello che pensiamo.

Non saremo in grado di ricomporre tutti i pezzi del puzzle, e probabilmente alcuni pezzi non avrebbero dovuto essere incollati insieme fin dall’inizio. Ma se riusciamo a capire cosa sta succedendo, nei nostri network, chiese e cuori, saremo meglio equipaggiati per discepolare la nostra gente e tendere la mano, nella misura in cui è possibile, verso coloro che possono essere in disaccordo. Cosa più importante, forse saremo in grado di trovare un focus rinnovato, non sulle nostre sensibilità culturali e sulle nostre tendenze politiche, ma sulla gloria di Cristo, il Figlio di Dio incarnato, che è venuto dal Padre pieno di grazia e verità.


Kevin DeYoung è pastore senior della Christ Covenant Church di Matthews, North Carolina, presidente del consiglio d’amministrazione della The Gospel Coalition, e professore assistente di teologia sistematica alla Reformed Theological Seminary (Charlotte). Ha scritto numerosi libri, incluso Just Do Something. Kevin e sua moglie, Trisha, ha nove figli: Ian, Jacob, Elizabeth, Paul, Mary, Benjamin, Tabitha, Andrew, e Susannah.

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AttualitàPatrick Schreiner