Perché il cristianesimo ha smesso di crescere in Corea
Se la Corea del Sud fosse una principessa Disney, sarebbe Cenerentola.
Oppressa e maltrattata per anni dai suoi parenti più vicini, il Giappone e la Cina, la nazione conquistò finalmente l’indipendenza nel 1952 dopo la Seconda Guerra Mondiale e la Guerra di Corea.
A quel tempo, era “una delle nazioni più povere e più dipendenti dagli aiuti” al mondo, con un reddito pro capite inferiore a quello di Haiti e dell’Etiopia. Ma grazie al Principe Azzurro del lavoro duro, del sostegno americano, e di governi abili in campo economico, la Corea del Sud scambiò i suoi stracci per un abito da ballo. Oggi è la 12^ economia del mondo.
La diffusione del cristianesimo in Corea del Sud ha seguito praticamente la stessa traiettoria. I primi missionari ebbero il permesso di entrare nella penisola nel 1884, ma il numero di conversioni non decollò fino al termine delle guerre.
Nel 1970, il 18 per cento della popolazione era cristiano; nel 2000, il 31 per cento (questi numeri includono protestanti e cattolici). Nel 2006, la Corea del Sud inviava all’estero più missionari di ogni altro paese tranne i ben più estesi Stati Uniti. Nel 2015, Seul era dietro solo a Houston e Dallas per numero di megachiese, ma quelle di Seul erano più grandi. (Negli Stati Uniti, una chiesa è considerata una megachiesa se ha almeno 2.000 membri. In Corea del sud, deve averne 5.000).
Sembrava un finale da “e vissero per sempre felici e contenti”. Con 50.000 chiese per 50 milioni di abitanti, “c’era chi credeva che la chiesa avrebbe saturato la popolazione”, scrisse Jae Kyeong Lee, presidente del Foreign Baptist Mission Board della Convenzione Battista Coreana. Poiché il numero di missionari sudcoreani era balzato da 1.200 nel 1991 a 13.000 nel 2006, l’obiettivo di inviare 100.000 missionari a tempo pieno entro il 2030 appariva difficile, ma non irrealizzabile.
Ma poi si entrò in una situazione in stallo. La crescita rallentò, e la presenze in chiesa iniziarono a ridursi.
Non è difficile capire che cosa sta succedendo. “La generazione più giovane sta lasciando la chiesa in modo allarmante”, ha detto Steven Chang, professore di Nuovo Testamento a Seul. I motivi sono complessi, e vanno dalla secolarizzazione occidentale, al materialismo, alla corruzione nella chiesa a cui è stato dato molto risalto.
Ma questi giovani sono anche una fonte di speranza. “Ci sono segnali di chiese giovani e leader di chiesa giovani che stanno lasciando i modelli di ministero basati su megachiese, sul vangelo della prosperità, e orientati sui doni per ritornare al semplice messaggio del vangelo”, ha detto Chang.
Circa 600 tra pastori e leader hanno partecipato nel 2017 alla prima conferenza pubblica City to City; l’anno scorso per la seconda conferenza erano più di 2.000 ad ascoltare Tim Keller. Gospel Coalition Corea lanciato un sito internet cinque mesi fa; sono attese più di mille persone alla sua prima conferenza che si terrà in ottobre.
“Durante il giorni trascorsi in Corea fui molto colpito dalla chiesa coreana”, ha detto Keller. “E’ indubbiamente il movimento evangelico di tutta l’Asia che ha prodotto più frutto negli ultimi cento anni, ma è disposto a umiliarsi, ravvedersi, e cercare nuovi modi di servire i suoi abitanti e il mondo nel 21°secolo”.
Presbiteriani a Pyongyang
Il primo missionario protestante residente in Corea fu un medico presbiteriano che si chiamava Horace Allen nel 1884, seguito l’anno successivo da Horace Underwood, un missionario presbiteriano ordinato al ministero che diresse i lavori per tradurre per la prima volta tutta la Bibbia in Coreano corrente.
La Corea era un terreno particolarmente fertile per il cristianesimo. In soli 15 anni, c’era già un numero sufficiente di presbiteriani per aprire un seminario a Pyongyang. (Uno dei bisnonni del dittatore della Corea del Nord Kim Jong-un frequentò una scuola missionaria da convinto presbiteriano; l’altro era un ministro presbiteriano).
Diversi fattori aiutarono il cristianesimo ad attecchire nella penisola. Uno di questi era la credenza della popolazione indigena in un essere supremo, che facilmente si tradusse nella fede nel Dio dei cristiani. Un altro era che i missionari seguirono spesso il consiglio del presbiteriano John Nevius, il quale raccomandava che le chiese si sostenessero da sole e fossero guidate da leader indigeni il più presto possibile. Terzo, i missionari portarono con loro la medicina e il sistema educativo occidentale. I loro ospedali, le loro scuole e le loro università (oltre ai valori americani e cristiani che essi rappresentavano) erano particolarmente attraenti per i giovani Coreani.
C’erano dunque tutte le condizioni favorevoli quando, nel 1907, ci fu un enorme risveglio, chiamato spesso la “Pentecoste Coreana” o il “Risveglio di Pyongyang”. Attraverso la predicazione e la confessione pubblica di peccato (sia di pastori coreani sia di missionari americani) la fede di migliaia di persone fu rinnovata. Nel 1910, oltre 200.000 dei 13 milioni di abitanti della Corea erano cristiani. Moltissimi di loro abitavano nella regione di Pyongyang (60.000) tanto che la città fu chiamata la “Gerusalemme dell’Est”.
“Il Grande Risveglio trasformò il protestantesimo da una religione straniera a una nuova religione nazionale”, ha scritto il professore di cristianesimo mondiale Kirsteen Kim su Christianity Today. Vero è che nonostante il risveglio fosse principalmente religioso, era anche intriso di nazionalismo, perché la Corea stava pian piano perdendo la guerra con il Giappone, che avrebbe annesso la nazione nel 1910.
Persecuzione
I cristiani americani si schierarono prontamente con la Corea nella sua lotta per riconquistare l’indipendenza. I missionari e i cristiani coreani promossero la Dichiarazione di Indipendenza della nazione (16 dei 33 firmatari erano protestanti), guidarono il suo governo provvisorio da Shanghai, e si rifiutarono di adorare l’imperatore Giapponese.
Essere un cristiano in Corea non era facile. Tutti gli studenti e i dipendenti statali erano obbligati a inchinarsi agli antenati degli imperatori nei templi scintoisti; tutte le chiese protestanti furono costrette a unirsi in modo che il Giappone potesse controllare i loro affari; e circa 50 cristiani furono imprigionati, torturati e uccisi.
Ma per molti coreani, il cristianesimo aveva il profumo della libertà, un profumo di casa. Non appariva imperialista o colonialista, come il Buddismo della Cina e lo Scintoismo del Giappone. Quando il Giappone fu sconfitto nel 1945, il 3 per cento della popolazione Coreana era protestante.
Ma la fine della Seconda Guerra Mondiale non fu a lieto fine per la Corea. Dal 1945 al 1953, Russia e Cina da una parte e gli Stati Uniti dall’altra si contesero il futuro ideologico della nazione, che alla fine si rassegnò a essere divisa in due.
Nel nord, Kim Il Sung (sostenuto dall’Unione Sovietica) attaccò ferocemente tutti gli oppositori politici e religiosi. I cristiani furono imprigionati, torturati e uccisi; migliaia di loro fuggirono al sud. (Si stima che 900.000 persone, il 10 per cento della popolazione nordcoreana, si spostò sotto il 38° parallelo tra il 1945 e il 1953).
“Lo sforzo della Corea del Nord per sradicare il cristianesimo da Pyongyang e dal resto del suo territorio è stato talmente spietato e sistematico che oggi in pochi fuori dalla Corea sanno che c’è stato il cristianesimo lì”, ha scritto lo storico Robert Kim. “E’ stata forse l’eliminazione più totale del cristianesimo mai successa nella storia, sicuramente nel 20° secolo”.
Prosperità
Intanto, nella relativa libertà della Corea del Sud, il cristianesimo era in piena espansione. Il milione e seicentomila cristiani nel 1950 furono più che triplicati fino ad arrivare a cinque milioni e settecentomila nel 1970, poi quasi triplicarono di nuovo a quattordici milioni e settecentomila nel 2000. Limitati dallo spazio (la Corea del Sud è grande quanto il Kentucky) e uniti da una cultura comune, i cristiani sudcoreani iniziarono a costruire megachiese. Oggi a Seul è possibile trovare le più grandi congregazioni mondiali di battisti, presbiteriani, metodisti, e delle assemblee di Dio.
Successivamente, la chiesa coreana si dedicò alla missione, mandando 1.200 missionari nel 1991, 13.000 nel 2006, e 27.000 nel 2017.
“La crescita dell’economia e quella della chiesa sono andate di pari passo”, ha detto Stephen Ro di City to City Asia Pacific. Questa correlazione ha un senso. I cristiani diligenti e disciplinati, che si sacrificano per altri, che hanno una buona etica del lavoro e buoni principi morali, diventano lavoratori produttivi. Ma questa correlazione ha anche permesso al vangelo della prosperità di infiltrarsi nella chiesa.
“C’è una linea sottile tra ‘Dio ci benedice’ e salute e ricchezza”, ha detto Ro. “Negli anni sessanta e settanta, c’erano molti segni e prodigi, oltre a molte chiese occidentali che facevano confluire denaro alle chiese coreane. I coreani lo interpretarono in questo modo: ‘Se sei una nazione cristiana come l’America, allora puoi diventare ricco’”.
E poi, in una svolta economica così veloce da essere ribattezzata “Il miracolo del fiume Han”, la Corea del Sud diventò ricca. Negli anni novanta, la nazione entrò nel club esclusivo delle economie mondiali più forti—nell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico e nel G20. Sede di aziende come Samsung, LG Electronics e Hyundai, nel 2018 la Corea del Sud entrò nella lista delle 25 nazioni più ricche per reddito personale e stabilì il record personale di 45 miliardari nell’elenco delle persone più ricche stilata dalla rivista Forbes Corea del Sud.
Sembrava che la teologia “salute e ricchezza” avesse effettivamente funzionato.
Che cosa succede quando il vangelo della prosperità funziona?
Negli ultimi due decenni, la crescita del cristianesimo (protestanti e cattolici) è proceduta a rilento. Il centro per lo studio del cristianesimo mondiale stima che crescerà soltanto dal 31 per cento al 33 per cento della popolazione tra il 2000 e il 2020, per poi assestarsi al 33 per cento nel 2050.
“I giovani stanno lasciando la chiesa”, ha detto David Park, presidente di TGC Corea. “Le scuole domenicali stanno chiudendo. Credo che stiamo vivendo la stessa situazione americana ed europea”.
Forse anche una situazione peggiore. La Corea del Sud viene dopo solo al Canada e alla Danimarca nella lista delle nazioni che hanno le maggiori differenze nel coinvolgimento religioso tra la generazione più vecchia e quella più giovane. Un po’ meno del 40 per cento di chi ha meno di 40 anni è affiliato a una religione, contro il 63 per cento di chi ha più di 40 anni. Meno giovani frequentano servizi religiosi ogni settimana (il 24 per cento contro il 33 per cento dei coreani più vecchi), pregano ogni giorno (19 per cento contro il 40 per cento), e dicono che la religione è molto importante per loro (8 per cento contro il 21 per cento).
Alcuni motivi sono universali, dalla crescente secolarizzazione alla scarsa efficacia del “credere a buon mercato” (o legalismo leggero) che viene spesso predicato. “Molti pastori guardano alla Scrittura più da un contesto tematico/sistematico che da un contesto biblico/teologico—il che si presta al moralismo”, ha detto Stephen Um, istruttore di Redeemer City to City e membro del consiglio direttivo di TGC. “Dicono: ‘Vedi, Abraamo fece questo, e quindi devi farlo anche tu’”.
Altri motivi sono specifici al contesto coreano. Il fallimento pubblico della leadership della chiesa, che succede dappertutto, può essere ingigantito dalle dimensioni enormi delle congregazioni. Un pastore è finito in prigione per avere violentato otto seguaci donne su “ordine di Dio”, un altro è stato accusato di essersi appropriato indebitamente di 12 milioni di dollari, un altro ancora è stato aspramente criticato per aver cercato di passare a suo figlio la sua chiesa di 100.000 membri.
Le generazioni più vecchie, influenzate dalla venerazione dei leader tipica del confucianesimo, possono essere fedeli quasi ciecamente a un pastore caduto nel peccato, ha detto Julius Kim, decano degli studenti del Westminster Seminary California e membro del consiglio direttivo di TGC.
Ro dice la stessa cosa. “Alcune persone anziane sono fanatiche della loro chiesa. Il pastore può farla franca per omicidio a causa di questa venerazione. La gente dice: ‘Perché dai tutta questa importanza a questa cosa? Ha fatto tantissime cose buone. Non sai che devi riverire il tuo leader?’”
Per la generazione più giovane, che è più distante dalla tradizionale adorazione degli antenati e più vicina all’individualismo occidentale, questo “non ha assolutamente senso”, ha detto Ro.
Anche il contesto di questi cambiamenti è diverso dalla minaccia incombente dell’occupazione Giapponese che ispirò il Risveglio di Pyongyang. Ora la Corea del Sud è un paese sviluppato e ricco. Seul, la capitale mondiale della cosmetica e della chirurgia plastica, “è come New York, ma cinque volte più pulita”, ha detto Um. “Tutto è nuovo, moderno e cablato”.
“In Corea sta vincendo il denaro”, ha detto Park. “I suoi abitanti vivono per diventare ricchi e per affermarsi. . . . I soldi sono adesso il nemico numero 1 del cristianesimo in Corea”.
Ro concorda. “L’idolo più grande che abbiamo in Corea è Mammona, i soldi. La nostra mentalità, la nostra visione del mondo, i nostri valori non sono riusciti a tenere il passo della rapida crescita dell’economia”.
Speranza
La ricchezza non è stata una buona salvatrice per la Corea. I bambini trascorrono fino a 16 ore al giorno tra scuola e ripetizioni private, studiando per iscriversi alle migliori università. I lavoratori fanno orari pesanti sotto un’enorme pressione. Dei 34 membri OCSE, la Corea del Sud è seconda per tasso di suicidi, e i suoi giovani sono i meno felici.
I pastori, più di chiunque altro, sono consapevoli sia del bisogno di membri sia del loro declino nelle chiese. Quando però Um organizzò la prima conferenza di City to City nel 2012, non andò bene.
“Vennero circa 150 pastori”, ha detto Um. “Non abbiamo offerto loro molta metodologia o suggerimenti pratici, quanto piuttosto una solida visione teologica. Il giorno dopo ne tornarono soltanto 100. Il giorno dopo ancora, 70”.
Um non sapeva che cosa stesse succedendo. “Non poteva essere perché il contenuto del nostro DNA del vangelo non era buono”, ha detto ridendo.
Gli organizzatori gli riferirono che i pastori stavano cercando qualcosa di nuovo e di tendenza che li avrebbe aiutati a crescere il numero di presenze in chiesa. “Il nostro team esecutivo disse che la cosa non avrebbe funzionato” ha detto.
Era strano, perché City to City era nata da Redeemer Presbyterian Church di New York City. E il protestantesimo in Corea è ancora in gran parte presbiteriano.
“Il cristianesimo coreano ha ancora categorie per la teologia Riformata, ma non è necessariamente vangelocentrico”, ha detto Um. “Imparano le categorie della teologia sistematica —per esempio, conoscono la predestinazione—ma non stanno mettendo in evidenza le implicazioni pratiche delle dottrine della grazia mediante l’opera compiuta da Gesù”.
I pastori possono dire che “la grazia precede la fede”, ma poi “predicano alla volontà invece che al cuore sottolineando quali sono le richieste della legge e dei comandamenti di Dio senza motivare prima di tutto il cuore con il vangelo”, ha detto.
Negli anni successivi, Um si dedicò ad altro.
“Poi, cinque anni fa, un rimanente di 20 pastori disse: ‘Ehi, ora siamo pronti’”, ha detto Um.
I pastori erano sulla cinquantina, e “abbastanza umili da dire: ‘Abbiamo una versione ghettizzata della chiesa. Dobbiamo essere più vangelocentrici’”.
Circa 10 di loro avevano già formato un gruppo chiamato “grande foresta”, in cui si incontravano ogni settimana per pregare. Il nome veniva dal loro desiderio di fondare chiese—una foresta fatta da tante chiese anziché da poche grandi megachiese.
“Parlai loro di Tim Keller e Redeemer, e ne furono piacevolmente colpiti e sorpresi”, ha detto Ro. “Loro erano quello che noi stavamo cercando; noi eravamo quello che loro stavano cercando”.
Il gruppo è diventato poi il nucleo di City to City Corea. Erano felici di leggere Tim Keller. Il suo intellettualismo e il suo presbiterianesimo attirano l’interesse di una nazione a cui piacciono entrambe le cose.
Sempre più pastori “si riunirono insieme, dicendo: ‘Sentite, non siamo più qui soltanto per la crescita della chiesa. Non funziona e non piace a Dio’”, ha detto Ro. “‘Siamo qui per il rinnovamento della città, per portare il risveglio’”.
Come i pastori del Risveglio di Pyongyang, alcuni di loro si sono ravveduti pubblicamente.
“Uno dei nostri consiglieri sui cinquant’anni, un leader di grandi capacità, ha dichiarato alla sua congregazione: ‘Non eravamo concentrati sulla centralità del vangelo, e dobbiamo cambiare’”.
Lui è uno dei 70 pastori “seriamente impegnati in questo network”, ha detto Um, che ha organizzato una decina di conferenze di insegnamento in Corea negli ultimi cinque anni. Seicento vennero alla prima conferenza pubblica City to City nel 2017; l’anno dopo, più di 2.000 si presentarono per ascoltare Keller alla seconda.
“Abbiamo un network solido e in crescita di circa 1.000 pastori, che sono interessati a creare network, alla formazione e alle risorse”, ha detto Um. Come vice presidente delle iniziative per la zona Asia-Pacifico di TGC, ha avviato TGC Corea, che ha lanciato il suo sito sei mesi fa.
I nove membri originari del comitato direttivo di TGC Corea sono diventati 14 e provengono da sei diverse denominazioni. “Stiamo pregando per avere 40 membri del comitato”, ha detto Park. “E’ un obiettivo possibile”.
Mettere insieme 40 pastori in Corea è come metterne insieme centinaia negli Stati Uniti. Ognuno dei 14 pastori guida una congregazione di 3.000 o più membri. (Qualche volta molti di più—per esempio, la Onnuri Community Church di Jae-Hoon Lee ha 75.000 visitatori ogni domenica).
“Stiamo assistendo a una rinascita attraverso il lavoro che stiamo facendo con TGC e City to City”, ha detto Um. A marzo è stato pubblicato The Gospel Changes Everything, curato da Um, con contributi di Keller e di altri pastori coreani. Si tratta sostanzialmente di un testo introduttivo contestualizzato per la Corea al libro di Keller Center Church. Dovrebbe fare bene: “I libri di Keller si vendono tantissimo”.
Un cauto ottimismo
“La mia lettura ottimistica di questo è: Credo che TGC Corea possa diventare un utile catalizzatore per la crescita del cristianesimo in Corea”, ha detto Kim. “Tuttavia, pur essendo ottimista, sono anche cauto, perché so che abbiamo a che fare con il peccato e i suoi effetti nei nostri cuori”.
Lo spirito di solidarietà dei coreani, la loro disponibilità a sacrificarsi per il bene comune, è uno dei maggiori punti di forza della nazione. Questo ha permesso alla nazione—e alle sue chiese—di prosperare rapidamente.
“Ma adesso non devi preoccuparti più di come procurarti il prossimo pasto o se sarai ucciso per la tua fede”, ha detto Kim. “Ora ti preoccupi di te stesso. La collettività inizia a essere meno importante”.
Tuttavia, così come lo spirito “siamo sulla stessa barca”, “non possiamo farcela da soli” ha attirato la Corea a Dio, così può la domanda “che cosa me ne viene” della prossima generazione.
Infatti, la tendenza a formare un gruppo è anche il “peccato culturale” caratteristico della Corea, che porta i pastori “semidei” di megachiese a ricercare potere e status invece della verità evangelica, e porta le congregazioni a darglielo, ha detto Kim. “Come i giovani in America, anche i giovani in Corea sono alla ricerca di un cristianesimo più autentico. Sono stanchi del cristianesimo dei loro genitori che a volte è più di facciata. Stanno chiedendo: ‘In che modo la chiesa può darmi benefici come individuo?’”
Il vangelo ha la risposta. E vedere dove le chiese sono andate fuori strada rende la direzione molto più chiara.
“E’ difficile, ma è più facile adesso di 20 anni fa quando il cristianesimo coreano era al suo apice”, ha detto Ro. All’epoca “tutti volevano essere il pastore di una megachiesa. Adesso siamo più semplici. Una volta che il vangelo li ha afferrati, i pastori capiranno che non devono essere pastori di una chiesa grande, e che possono avere entusiasmo per il vangelo più di quanto ne abbiano per il loro ministero personale”.
Il movimento per il rinnovamento in Corea è di piccole dimensioni, ma sta crescendo.
“Molti coreani stanno pregando”, ha detto Park. “Nella nostra chiesa ci riuniamo ogni mattina per pregare, e anche ogni mercoledì e venerdì sera. Preghiamo. E speriamo”.
Sarah Eekhoff Zylstra scrive per The Gospel Coalition. Ha conseguito il suo master in giornalismo alla Northwestern University.
Il presente articolo è un’opera di elaborazione di traduzione di IMPATTO ITALIA. Il suo utilizzo totale o parziale proibito in ogni forma previa richiesta e autorizzazione di Impatto Italia (impattoitalia@gmail.com). Il contenuto del presente articolo non è alterabile o vendibile in alcun forma.
L’uso del presente articolo sono autorizzate dall’editore originale © The Gospel Coalition. La risorsa originale può essere consultata al seguente link: https://www.thegospelcoalition.org/article/christianity-quit-growing-korea/
© IMPATTO ITALIA