La fondazione di chiese non è morta (e non morirà mai)

Molte persone oggi vivono la vita come un gigantesco buffet. Ma le loro scelte hanno implicazioni più profonde delle decisioni relativamente insignificanti come, per esempio, quale tipo di pizza mangiare o se prendere un gelato al cioccolato o alla vaniglia. Portiamo i nostri piatti e li riempiamo delle ideologie politiche, dottrinali e sociali che più si adattano alla nostra personalità. Non è una cosa del tutto negativa. Vivere in una nazione che permette una tale varietà di scelta è una cosa da celebrare.

Tuttavia, questa libertà di scelta è rispecchiata anche all’interno della chiesa, e i cristiani stanno progressivamente mescolando e abbinando la loro fede in modi inaspettati. Per esempio, l’attuale movimento “decostruzionista” ricorda a pastori e responsabili di chiesa che la fede cristiana è complessa.

Questa tendenza a prendere e scegliere ha peraltro enormi implicazioni nel decidere quali parti della nostra teologia tenere, quale stile di adorazione adottare, quale pastore o influencer seguire, e a quali attività ministeriali dare la priorità. Una cosa che purtroppo troppi cristiani stanno lasciando sul tavolo è l’unica cosa di cui hanno disperatamente bisogno: una vera comunità.

La chiesa è stata pensata da Dio per offrire ai credenti comunione fraterna, rendicontazione e insegnamento, e per essere da testimonianza a quelli che si trovano all’interno e all’esterno delle sue mura. Ci incontriamo per adorare Dio in gioiosa obbedienza. Tuttavia, alcune ricerche condotte nel primo trimestre del 2022 mostrano che le presenze in chiesa sono solo il 36-60 per cento di quelle pre-COVID. Infatti, le ricerche dicono che nonostante i culti in presenza stiano ritornando alla normalità, le persone che un tempo andavano in chiesa regolarmente non stanno necessariamente tornando in chiesa.

Se le persone non stanno nemmeno andando in chiesa, perché allora dovremmo fondare ancora chiese? Queste sono tre ragioni per le quali, nonostante il calo delle presenze, fondare chiese è più importante che mai.

1. Dio ci ha creati per la comunità.

Nel Nuovo Testamento, la parola Greca per “gli uni gli altri” o “reciprocità” (allelon) compare 100 volte. La pandemia ci ha mostrato che quando le persone sono isolate, si verificano effetti devastanti sotto forma di ansia, depressione e disagio crescente. La chiesa riunita è stata, e sarà sempre, lo strumento divino per essere in comunità e in missione insieme. Dio stesso è una comunione tra Padre, Figlio e Spirito Santo, ed egli ci chiama ad essere in comunione gli uni con gli altri, e ci ha donato la chiesa locale per soddisfare il nostro bisogno umano di relazione.

I primi credenti si riunivano insieme spesso e con uno scopo. Non c’è semplicemente nessun sostituto per le interazioni reali, principalmente nelle riunioni domenicali, ma anche nelle riunioni nelle case o nelle occasioni di preghiera a tu per tu. I fondatori di chiesa si ritrovano a dover fare i conti con un contesto decimato da due anni di isolamento. Non dobbiamo affrontare queste tempeste da soli. Come Tim Keller una volta ha osservato: “La comunità del Patto è come l’aria. Non ci manca finché non ne abbiamo bisogno”.

2. Solo in una comunità ci sentiamo veramente curati.

La tecnologia non è cattiva. Anzi, la tecnologia ha avuto un ruolo molto importante nelle nostre chiese durante la pandemia. Molti di noi hanno imparato come trasmettere dal vivo con almeno un minimo di professionalità. Abbiamo imparato l’arte di Zoom e come trasmettere in diretta le riunioni di preghiera serali e i culti domenicali con solo poche persone in sala oltre a noi.

Il problema è che molte persone hanno continuato con la chiesa virtuale anche quando le porte della chiesa reale sono state riaperte. Qualunque sia la ragione, è necessario ricordare che la tecnologia è un supplemento della chiesa, non un suo sostituto.

La tecnologia ci permette di ascoltare i nostri predicatori e insegnanti biblici preferiti quando vogliamo. Possiamo “partecipare” a concerti di adorazione via Facebook Live o ascoltare musica a pagamento. Ma quello che non possiamo ricevere online sono la cura concreta e la compassione autentica. Il mio predicatore online preferito non potrà mai prendersi cura di me come fa la mia comunità ecclesiale. Quando attraversiamo periodi di dolore e di perdita, la nostra chiesa locale sarà lì a piangere con noi e si farà carico del nostro dolore. Se non siamo disposti a tornare nella nostra chiesa, non sperimenteremo mai pienamente la bellezza e il potere della comunità cristiana. I fondatori di chiesa oggi hanno l’opportunità di essere le mani e i piedi di Gesù nella vita reale camminando a fianco di chi è ferito e zoppica.

3. La nostra testimonianza è più forte quando siamo insieme.

La chiesa in missione è generalmente più efficace di un individuo che è in missione da solo. Come Francis Schaeffer ha osservato: “Le nostre relazioni reciproche sono il criterio che il mondo usa per giudicare se il nostro messaggio è veritiero. La comunità cristiana è l’apologetica finale”. Quando una persona entra in una chiesa, dovrebbe sentire l’accoglienza e l’amore del popolo di Cristo in un modo che non sperimenta da nessun’altra parte.

Le nostre chiese dovrebbero essere dei rifugi per le persone che hanno il cuore spezzato. In altre parole, per tutti noi. Anche se i numeri dei contagi sono in calo, gli effetti sulla salute mentale della pandemia non lo sono. Viviamo in un mondo spezzato, e le persone ferite hanno bisogno di un posto dove andare. Senza chiese dove ci si incontra fisicamente, dove andranno?

La fondazione di chiese esiste per raggiungere i non praticanti e penetrare in comunità non toccate dal Vangelo. Questo non significa necessariamente un nuovo edificio o un posto che assomiglia a una chiesa, ma significa creare uno spazio di vita per i credenti, per coloro che mettono in discussione la loro fede, e per i futuri seguaci di Cristo affinché vengano e trovino accoglienza. Nel buffet della vita, chi non metterebbe questo nel suo piatto?


Brian Howard è il direttore generale di Acts 29. Brian ha oltre 30 anni di comprovata esperienza nella leadership come coach, dirigente di un ente non-profit, fondatore di chiesa, pastore e imprenditore. Brian ha conseguito un Master dalla Talbot School of Theology. È sposato da 27 anni con l’amore della sua vita, e ha quattro figli.

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