Affidarsi alle mani di Dio quando non riusciamo a vedere il Suo volto

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“Non riesco a respirare”.

Il giorno prima, la nostra primogenita era rimasta a casa per una semplice febbre. Quando Hannah ci chiamò dal suo appartamento, la febbre non si era abbassata e non riusciva a respirare.

“Vai al pronto soccorso”, le disse mia moglie, “e vedi cosa dicono”. Dissero che era polmonite, ma fu presto chiaro che stavano curando Hannah per una patologia peggiore. Le sue condizioni non stavano migliorando.

Due giorni dopo il suo ricovero in ospedale; un medico ci chiamò per farci sapere che i suoi polmoni non stavano fornendo ossigeno sufficiente al suo corpo. Se il team medico non l'avesse intubata prima della fine della giornata, l'arresto cardiaco sarebbe stato l'esito più probabile. Sulla base delle condizioni dei suoi polmoni, il medico comunicò che si trattava di COVID-19. Quando chiesi a un'infermiera se io e mia moglie potessimo far visita ad Hannah nel reparto di terapia intensiva, l'infermiera rispose: “Non la chiameremo per farle visita. Se le chiederemo di venire a trovarla, è perché il dottore pensa che non supererà la giornata”.

Una 23enne attaccata a un respiratore non era nulla di quello che avremmo potuto prevedere 17 anni prima, quando Dio fece entrare Hannah nella nostra vita attraverso l’adozione. I primi due giorni, Hannah era sufficientemente cosciente per una videoconferenza tramite il suo telefono, anche se non riusciva a parlare. Ma poi fu necessario che il team medico la sedasse e la distanza tra noi divenne silenziosa e fioca.

Fidarsi della mano del Padre

Il terrore ossessionante della pandemia non si limita alla possibile perdita della nostra vita o della vita di qualcuno che amiamo. Questo terrore è accompagnato dalla prospettiva agghiacciante di non poter stare con i nostri cari nel momento del dolore. Questo desiderio di stare con i nostri cari quando soffrono non è opportuno e non è coscienzioso, ma è inevitabile. Persino nei nostri giorni migliori, abbiamo bisogno della comunità; nei nostri giorni peggiori, ne abbiamo ancora più bisogno.

Durante quei giorni di separazione, mi sono ricordato di quando Hannah è arrivata per la prima volta a casa nostra: aveva 7 anni. Il processo di adozione era già in corso e iniziai ad entrare nella sua cameretta ogni mattina per svegliarla quando era ora di alzarsi. Per mesi, ogni mattina succedeva la stessa cosa. Quando le toccavo la spalla, il suo corpo si irrigidiva e i suoi occhi si aprivano di colpo. Si guardava spaventata in giro per la stanza per poi fissarmi in faccia. All'inizio non sembrava essere certa di dove si trovasse e di chi fossi io. Non c'era da meravigliarsi che si sentisse così. Finora nella sua breve vita, aveva già vissuto con almeno una mezza dozzina di famiglie diverse.

“Va tutto bene”, le sussurravo. “Sono io. Sei a casa adesso”.

Questa routine è continuata per quasi tre mesi. Ogni mattina si svegliava di soprassalto: con le braccia rigide, gli occhi spalancati e pieni di paura.

E poi, un sabato mattina, è successo qualcosa di diverso. Non si spaventò e non si guardò in giro per la stanza quando la toccai. Non aprì nemmeno gli occhi. Ma, semplicemente mi rotolò tra le braccia con gli occhi chiusi e sussurrò: “Buongiorno, papà. Ti voglio bene”.

Aveva imparato a fidarsi del mio tocco anche quando non riusciva a vedere la mia faccia.

È così che siamo chiamati a fidarci del nostro Padre celeste. Ed è quello che continuavo a ricordare durante quei lunghi e silenziosi giorni in cui il corpo di mia figlia necessitava di un respiratore per combattere un virus mortale.

Tutto quello che potevo fare era fidarmi della mano di mio Padre anche quando non riuscivo a vedere il Suo volto.

Pregare nel nome di Gesù

Non so cosa Dio stesse facendo nel permettere a mia figlia di contrarre il COVID-19. Né pretendo di capire cosa sta facendo Dio nel mondo mentre milioni di altre persone affrontano questa stessa malattia. Lo so: niente è al di fuori del controllo del nostro Padre celeste e possiamo fidarci della Sua mano anche quando non possiamo vedere il suo volto.

Questo è, ovviamente, vero in ogni momento della nostra vita. Eppure, è facile illuderci di avere il timone della nostra vita in mano quando siamo circondati da coloro che ci amano e le nostre vite sembrano procedere secondo i nostri piani. Ma quando affrontiamo circostanze che nessuno dei nostri sforzi può cambiare, tali illusioni spariscono. Possiamo solo confidare nella misericordia di un Dio che potrebbe avere un piano piuttosto diverso dal nostro.

Abbiamo pregato per la guarigione di Hannah e tali preghiere sono buone e giuste. Per molte sere, mentre Hannah giaceva in ospedale, ho ripetuto le parole che Iairo, il capo della sinagoga, disse a Gesù: “La mia bambina sta morendo. Vieni a posare le mani su di lei, affinché sia salva e viva” (Marco 5:23). Ma ho anche pregato questo “nel nome di Gesù”. Queste parole non sono un semplice motto che aggiungiamo per promuovere le nostre petizioni in prima classe o per aumentare la probabilità che Dio farà esattamente ciò che chiediamo. Pregare nel nome di Gesù significa abbandonare le nostre richieste a un piano più grande del nostro. Quando prego “nel nome di Gesù”, chiedo a Dio di fare qualunque cosa possa servire per farmi vedere in modo più chiaro la gloria e la maestà di Gesù, anche se quella risposta porta sofferenza e dolore.

La guarigione non ha sempre luogo in questa vita. Alcune guarigioni accadranno solo nella vita a venire. Ma non riponiamo la nostra fiducia nella guarigione; confidiamo nel Guaritore.

Forse l'espressione suprema di questo modello può essere ascoltata nelle parole di Cristo in punto di morte: “Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio” (Luca 23:46). Questa preghiera non lo ha salvato dalla sofferenza e dalla morte, né tale fiducia eviterà il dolore o la perdita nella mia vita o della tua. Ma questa preghiera riconosce che serviamo un Dio che ha un piano che va oltre il nostro dolore. La storia che viviamo ora non è l'unica storia. C'è una storia che deve ancora venire: una storia senza fine in cui, nelle parole di C. S. Lewis, “ogni capitolo è migliore di quello precedente”.

Sempre buono

Dopo tre lunghe settimane in ospedale e 11 giorni attaccata al respiratore, Hannah è tornata a casa. I medici non si aspettavano questo risultato durante i suoi primi giorni in terapia intensiva. Non ho parole per esprimere la gratitudine per il modo in cui Dio ha lavorato attraverso gli interventi dei medici per salvarle la vita.

Ma so anche questo: Dio non è meno buono se la sua guarigione avviene nella vita successiva, piuttosto che in questa vita. Anche quando non possiamo intravedere i contorni del piano del nostro Padre, Egli è ancora buono. Possiamo fidarci della Sua mano anche in quei momenti in cui non possiamo vedere il Suo volto.


Timothy Paul Jones è vicepresidente e professore del Christian family ministry presso il The Southern Baptist Theological Seminary. È autore ed editore di oltre dodici libri ed è pastore presso la Sojourn Community Church. Vive a St. Matthews, Kentucky, con sua moglie, Rayann, e le sue figlie Hannah, Skylar, Kylinn e Katrisha. Timothy scrive sul suo blog.

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